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Digitale, leva per l’export. Crescere all’estero nel dopo-Covid

Articolo. Far ripartire il commercio internazionale in questa fase significa avviare una importante azione di digitalizzazione dei processi di vendita e di relazioni oltre confine. Gli strumenti sono numerosi, ecco come scegliere quello giusto

Lettura 3 min.

Un ampio ventaglio di soluzioni sostenibili

La ripartenza deve passare dall’export, anzi dal digital export. E se il commercio online deve diventare il vero motore del rilancio, è necessario che le imprese intraprendano convintamente un percorso di digitalizzazione. Nonostante l’impiego di strumenti online sia in crescita, secondo i dati dell’Osservatorio Export Digitale della School of Management del Politecnico di Milano solo il 40% delle aziende italiane sfrutta le potenzialità dell’e-commerce per vendere all’estero.

Ma che la digitalizzazione dell’esportazioni debba essere la leva della ripartenza, lo conferma anche il «Piano per l’export» da 1,4 miliardi del governo, documento che cristallizza le linee strategiche per il rilancio del commercio internazionale puntando sul made in Italy nella fase post-emergenza sanitaria, attraverso il rafforzamento degli strumenti di sostegno all’internazionalizzazione e un’ampia azione promozionale con strumenti e canali digitali.

Una volta sbarcati sul web per ogni azienda è anche necessario farsi trovare sono enormi le potenzialità dei siti aziendali a fronte di investimenti contenuti

È, dunque, ora il momento per le imprese di entrare in azione e dare una spinta a un processo fondamentale per ogni singola azienda. «In questo scenario che ha una dimensione globale, lo strumento digitale diviene indispensabile» spiega Federica Perletti, consulente e docente in Digital Business Development e Marketing Management per l’impresa internazionale nell’era dei new media e del digital marketing all’Università di Bergamo. «Anzi, non uno, ma più strumenti digitali – puntualizza l’esperta - perché attualmente la tecnologia offre un ampio ventaglio di soluzioni». Affinché la strategia funzioni, è fondamentale che sia efficace e realmente sostenibile. Alla base deve esserci un piano, elaborato partendo dagli obiettivi strategici per arrivare all’analisi delle possibili opzioni fino alla scelta dello strumento più efficace: «Una piattaforma di e-commerce di proprietà – sottolinea Perletti – ad esempio, permette una gestione diretta della promozione e della vendita all’estero. In alternativa, è possibile optare per i marketplace, piattaforme come Amazon ed Ebay, nel caso di canali multiprodotto e multimarca, che permettono all’azienda di accedere a una tecnologia già implementata e conosciuta».

 

Da non sottovalutare i website aziendali: «Certamente non sono un canale di vendita diretta – prosegue Perletti - con il quale non è possibile concludere in modo immediato una transazione, ma rappresentano uno strumento fondamentale per raccontare l’azienda, per farla conoscere all’estero e costruire la brand awareness, la conoscenza di un marchio. È questa una fase centrale del processo di avvio dell’esportazione, facendo conoscere un’attività, l’organigramma, i valori, i processi».

Gli strumenti aziendali per esserci all’estero

Perché una volta sbarcati sul web, è necessario farsi trovare e rendersi riconoscibili. Ed enormi sono le potenzialità dei siti aziendali, a fronte di investimenti contenuti, purché ci sia la cura dei contenuti che, nel caso dell’export, devono essere realizzati tenendo conto del mercato in cui verranno distribuiti e fruiti: «Anche in questo caso la tecnologia offre differenti possibilità, dai testi alle immagini, dalle animazioni grafiche ai video, questi ultimi estremamente potenti nel raccontare una storia aziendale o un processo produttivo».

Nel digital export giocano un ruolo di rilievo, poi, i social network: «Facebook, Instagram, Linkedin e Youtube consentono alle imprese di raggiungere il consumatore, instaurando un dialogo diretto con lui – aggiunge Perletti - Ma come nel caso dei social, sarà necessario investire sui contenuti, diversificati da social a social. Porto qualche esempio: su Linkedin non si può essere presenti solo con un profilo personale, per avviare un processo di internazionalizzazione, è necessario creare e alimentare una pagina aziendale. È una formidabile soluzione per intrecciare rapporti con figure chiave delle aziende estere, avendo la possibile di conoscere i loro nominativi e ruolo nell’impresa».

Non solo contenuti organici, ma anche sponsorizzati: «Con inserzioni pubblicitarie a pagamento – specifica – le potenzialità sono enormi, per la possibilità di profilazione gli utenti e di inviare messaggi a specifici pubblici, sia per temi di interesse sia per aree geografiche. Si possono creare sui singoli social, ma anche su Google attraverso Google Ads: permettono sia di intercettare i consumatori che sono alla ricerca di un prodotto, ma anche aziende alla ricerca di fornitori italiani per componentistica o fornitura di materie prima e macchinari. Un’ottima soluzione per il tessuto economico italiano caratterizzato dall’alta presenza di Pmi specializzate nella meccanica, nei settori della componentistica automotive, molto interessanti agli occhi dei buyer esteri», conclude Perletti.

 
Federica Perletti

Consulente e docente in Digital Export

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Lei suggerisce l’importanza, in una strategia, di individuare in prima battuta il risultato e di conseguenza lo strumento. Un esempio?

Nel corso del lockdown ho lavorato a un progetto senza fini di lucro che aveva come finalità di favore l’incontro tra i cittadini e le realtà economiche del territorio, anche quelle non online.
È nato così restartfromhome.it, una piattaforma gratuita che fa sapere ai cittadini quali sono le tante attività attorno a casa loro che possono fare consegne a domicilio.

La territorialità è il perno di questo progetto?

Esattamente, per questo non può essere definito un marketplace, perché c’è l’intermediazione della vendita senza una vera transazione e prevale la geolocalizzazione, cioè ricerca nella propria zona di residenza di un prodotto o di un servizio che verrà consegnato a casa da quell’attività.

Al di là di favorire le attività locali, quali altri effetti ha avuto?

Oltre a permettere alle attività che non potevano restare aperte al pubblico di continuare a operare con il delivery, ha aiutato molte attività ad avviare un processo di digitalizzazione.