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L’ apprendistato , strumento per formare i talenti dentro l’impresa

Articolo. È una sfida culturale. Una scommessa su cui puntare. Un contratto che spinge le aziende a entrare nelle scuole e di contribuire a una filiera formativa ed educativa in relazione ai propri bisogni professionali. Ed è una leva di risparmio sul costo del lavoro

Lettura 7 min.

Stiamo andando verso una carestia di competenze?

«In generale, tutti gli imprenditori che per risparmiare pochi soldi oggi non investono sui giovani, dei quali peraltro sono alla disperata ricerca, tra dieci anni saranno destinati a chiudere le loro attività, oppure a strapagare soggetti con un bassissimo profilo d’entrata pur di garantire la sopravvivenza delle loro aziende». È il commento lapidario che ci ha lasciato un lettore di Skille a un nostro approfondimento sul tema dell’apprendistato.
Severo, ma giusto. Soprattutto realista. Se consideriamo le ultime analisi demografiche riscontriamo la grande sofferenza che il mercato del lavoro sta già soffrendo per via del calo delle nascite che ha interessato l’Italia negli ultimi cinquant’anni. Secondo quanto riportato dall’Osservatorio dei conti pubblici italiani, queste «sono calate dalle 900.000 unità di inizio anni Settanta a poco più di mezzo milione tra la fine degli anni Ottanta e l’ultimo decennio, sino alla prevista discesa sotto le 400.000 unità nel 2021». Conti alla mano, non occorre essere Archimede per rendersi conto che ci saranno in giro sempre meno persone in età lavorativa pronte a prestare le proprie capacità e competenze, accentuando a dismisura quello che gli anglosassoni hanno chiamato lo skill shortage . Si tratta di una vera e propria carestia di competenze che (purtroppo) va a nozze con la difficoltà delle università e delle scuole di stare al passo con i fabbisogni di competenze e di professionalità richieste dalle imprese, dal mercato del lavoro e dai territori.

 

Lasciando però alle istituzioni competenti le politiche familiari per aumentare il numero delle culle, si vuole qui proporre qualche spunto per far sì che le aziende si accaparrino al più presto i giovani talenti che rimangono sul mercato. Tra questi l’apprendistato può senz’altro giocare un ruolo cruciale nel far fronte alle sfide presenti e future in tema di ingaggio dei talenti.

Le opportunità offerte dai contratti

Come ben spiegato dalla scheda predisposta da Adecco, va ricordato che in Italia esistono ben tre tipologie contrattuali di questo tipo:

  • Apprendistato per la qualifica o il diploma professionale (1° livello), per giovani di età compresa tra i 15 e i 25 anni; questa tipologia di apprendistato porta al giovane apprendista al conseguimento del titolo di studio previsto nel proprio contratto di lavoro, alternando momenti di formazione prevalentemente teorica svolta a scuola e formazione di carattere operativo realizzata in azienda, attraverso la collaborazione tra aziende e istituzioni formative.
  • Apprendistato professionalizzante (2° livello), o contratto di mestiere, destinato a giovani di età compresa tra i 17 e i 29 anni; finalizzato ad apprendere una specifica professionalità o mestiere attraverso l’attività lavorativa e la formazione professionalizzante svolta interamente in azienda (on the job o in aula).
  • Apprendistato di alta formazione e ricerca (3° livello), per giovani di età tra i 18 e i 29 anni; finalizzato al conseguimento di titoli di studio universitari e dell’alta formazione, compresi i dottorati di ricerca, i diplomi relativi ai percorsi degli istituti tecnici superiori, per attività di ricerca nonché per il praticantato per l’accesso alle professioni ordinistiche.

A fare spesso gola alle imprese è anche il notevole risparmio sul costo del lavoro. Per le aziende sono infatti previsti sgravi contributivi fino all’anno successivo alla fine del periodo di formazione, ancor più convenienti nel caso di apprendisti di I livello assunti dalle imprese con meno di nove dipendenti (sgravio totale dei contributi per i primi tre anni di contratto. Per gli anni successivi al terzo, l’aliquota contributiva è del 10%). Ci sono anche benefici economici derivanti dalla possibilità di inquadrare l’apprendista fino a due livelli inferiori o in alternativa di percentualizzare la retribuzione. Non mancano poi i benefici normativi e incentivi per la formazione degli apprendisti, a livello regionale e tramite fondi interprofessionali.

Un elemento cardine dell’apprendistato, professionalizzante o duale che sia (primo e terzo livello), è poi la presenza del piano formativo individuale. Una vera e propria road map del percorso che il giovane deve intraprendere per diventare un lavoratore qualificato al servizio dell’azienda di cui nel frattempo ha appreso metodo di lavoro, valori e obiettivi. Se poi parliamo di apprendistato di primo o terzo tipo hanno un ruolo attivo nella progettazione e nell’implementazione del piano formativo anche le scuole, le Università, gli enti di formazione regionale e gli ITS.

Primo obiettivo: la qualificazione professionale

Del grande potenziale dello strumento è convinto anche Giuseppe Cavallaro, Direttore generale di Engim Lombardia che da circa vent’anni è in prima linea su questi temi. Tra i principali motivi per cui un’azienda dovrebbe prendere un giovane in apprendistato vi è il fatto che «è un contratto di lavoro che ha come obiettivo la qualificazione professionale (II livello) o il conseguimento di un titolo di studio (I e III livello). Con questo contratto le aziende hanno la possibilità di risolvere in modo strutturato il problema del reclutamento di figure competenti, partendo da giovani formati in modo specifico secondo i propri bisogni».

Giuseppe Cavallaro

Direttore generale di Engim Lombardia

Nel caso dell’apprendistato duale, l’impresa ha poi l’opportunità di co-progettare il piano formativo di un giovane con l’istituto scolastico-universitario di riferimento. «Essere partner di una scuola o di un ente formativo con l’apprendistato duale rappresenta per l’azienda un vantaggio enorme, in quanto ha la possibilità di accedere al bacino di giovani anticipando i propri competitors e facendo leva su una formazione specifica molto attrattiva in quanto consente all’apprendista di ottenere un titolo di studio (fino alla laurea!). In questo senso – continua Cavallaro - l’azienda accompagna in modo efficace la risorsa umana ad una crescita personale e professionale con concrete ricadute positive su tutto il suo capitale umano. Inoltre, l’azienda acquisisce una importante expertise sul fronte formativo in un momento in cui l’aggiornamento e la formazione interna del personale risultano centrali per affrontare i continui cambiamenti del mercato».

Nonostante i grandi vantaggi sulla carta, a confronto con altri paesi europei, l’Italia risulta essere fanalino di coda nell’attivazione di apprendistati di tipo duale. «Si sente molto da parte delle aziende la lamentela sugli aspetti burocratici ma si vede anche tanta fatica sul fronte della gestione delle risorse umane in termini di valutazione, formazione, aggiornamento, sviluppo delle potenzialità. Questa “debolezza” - sottolinea Il Direttore di Engim - è principalmente alla base del mancato utilizzo dello strumento. Da una parte, i responsabili HR sono poco pronti a coglierne il valore e quindi non sono in grado di “aprire gli occhi” al management. E dall’altra parte, in generale, i processi HR sono più sbilanciati a favore degli aspetti amministrativi a scapito dei processi di valutazione delle competenze e di upskilling/reskilling ».

Le imprese del futuro saranno veri e propri agenti di educazione e formazione accanto alle scuole e agli enti di formazione

Sullo sfondo c’è sempre l’ombra delle transizioni digitale ed ecologica su cui l’Italia e le imprese si giocano la faccia per gran parte dei finanziamenti del Pnrr e per cui l’apprendistato duale potrebbe giocare una leva formativa e occupazionale di grande importanza. «L’apprendistato ti porta in casa i giovani e le loro provocazioni. Le nuove sfide Green e Digital del mercato vedono sempre più al centro “la persona”, il diritto di stare bene e di vivere in un ambiente sano dove la tecnologia libera tempi e spazi per il sé e per le relazioni. Questa è una sfida culturale che non può essere accettata senza investire sulla formazione e sull’educazione. Le imprese – ammonisce Cavallaro - devono sempre più fare i conti con i giovani, con i loro desideri, con i loro stili e profili e non solo con le loro competenze specialistiche. Le aziende devono prepararsi a prendersi carico dell’intera persona per un mercato che ha al centro la persona stessa. L’apprendistato con le ore obbligatorie di formazione e con il partenariato forte con scuole, enti di formazione e università rappresenta uno strumento d’eccellenza per stare al passo con i tempi. Perché le imprese del futuro saranno veri e propri agenti di educazione e formazione accanto alle scuole e agli enti di formazione».

Il valore della filiera formativa

Ragionare solo sugli strumenti e non sugli obiettivi che si vogliono raggiungere rischia di appiattire il dibattito su aspetti secondari. Un contratto come l’apprendistato, che comporta un notevole risparmio sul costo del lavoro, può dare il massimo se pensato in un’ottica di filiera formativa con altri strumenti come i tirocini curriculari, i tirocini extracurriculari e l’alternanza scuola-lavoro. «Partire a freddo con un contratto di assunzione come strumento “unico” rischia di non essere coerente rispetto alla grande varietà di imprese e alla diversità di stili di apprendimento/insegnamento di ciascuno. L’apprendistato è uno strumento che va bene sin da subito in certi casi ed in altri no. È funzionale anche che possa essere preceduto da altre forme di apprendimento in contesto lavorativo (alternanza scuola-lavoro). Più strumenti ci sono e più probabile è raggiungere gli obiettivi».

Parlando di numeri, in Italia al 2018 (ultima rilevazione disponibile) i contratti di apprendistato duale attivi erano poco meno di 11 mila per il primo livello e 960 per il terzo livello. Su tutt’altra unità di misura si collocava invece l’apprendistato professionalizzante di II livello con oltre 482 mila contratti attivi. Non che questa tipologia di apprendistato sia da denigrare. Tuttavia, risulta evidente per la stessa struttura del contratto come la mancanza di dialogo con un’istituzione formativa e di istruzione esterna per la progettazione congiunta del piano formativo rappresenti un minus per superare il mismatch formativo spesso lamentato dalle imprese.

 

Lo strumento su cui scommettere

A fronte di questa situazione occorre pensare a come dare una svolta. Su questo tema è impegnata anche la 11ª Commissione permanente (Lavoro pubblico e privato, previdenza sociale) del Senato che negli ultimi giorni ha udito le parti sociali anche in tema di apprendistato e mercato del lavoro giovanile. Nel corso delle audizioni, Emmanuele Massagli, Presidente associazione Adapt, ha affermato che non c’è dubbio sul fatto che sia l’apprendistato duale di primo e terzo livello lo strumento su cui scommettere. Occorre però migliorarlo con alcune proposte, uscendo dal loop di una riforma continua della disciplina, senza mai arrivarne a una. «La normativa - ammonisce l’esperto - ha bisogno di assestarsi e di essere compresa e metabolizzata dagli operatori, favorendo anche la diffusione di buone pratiche».

Emmanuele Massagli

Presidente associazione Adapt

«Innanzitutto, - afferma il presidente di associazione Adapt - l’esperienza ci dice che l’accelerazione della diffusione dei contratti è maggiormente dovuta a piccole e mirate iniziative di sostegno introdotte proprio dal Ministero dell’Istruzione attraverso bandi che finanziano i progetti di apprendistato nelle scuole. Queste iniziative sono state un grande moltiplicatore delle esperienze di apprendistato. Inoltre – continua Massagli – anche la contrattazione collettiva può giocare un ruolo essenziale nella regolazione e nella promozione dello strumento, anche se spesso si limita alla regolazione del secondo livello professionalizzante».

«Un terzo aspetto di rilievo – continua Massagli - è la connessione con le imprese. Una più forte alleanza tra apprendistato e aziende può realizzarsi all’interno dei finanziamenti regionali su industria 4.0 e transizione digitale ed ecologica, prevedendo che si possa finanziare, oltre alla strumentazione tecnologica, anche il coinvolgimento dei giovani introducendoli all’utilizzo delle tecnologie e a un modo diverso di lavorare. L’apprendistato permette infatti di legare innovazione tecnologica e formazione del capitale umano. Il primo e il terzo livello, in virtù della stretta connessione con il sistema formativo e di istruzione, sono un grandissimo strumento di formazione e ricerca e sviluppo».

«È importante scommettere sulle filiere di apprendistato che – conclude Massagli – a normativa vigente possono già essere implementate. Oggi un giovane potrebbe incominciare con un contratto di apprendistato a quindici anni nell’istruzione e formazione professionale, conseguire un titolo di studio triennale a diciassette anni nella IeFP, continuare con un contratto di apprendistato di I livello per il quarto anno che permette di conseguire il diploma. Continuare sempre con un contratto di apprendistato di I livello per conseguire il quinto anno in IFTS e poi svolgere tutto il percorso di laurea o di ITS in apprendistato di III livello. Ad oggi la normativa permetterebbe di creare una vera e propria filiera formativa tutta svolta in apprendistato duale, o di primo o di terzo livello».