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Tirocini in arrivo una stretta su due milioni di stage avviati nelle imprese

Articolo. Nella legge di Bilancio il vincolo che potrebbe impedire ad oltre mezzo milione di imprese di usufruire di una risorsa a basso costo sia per scopi formativi on the job sia per attività strettamente lavorative, anche senza reali prospettive di assunzione

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Prospettive più per i tirocini

È in arrivo una stretta sui tirocini extracurriculari che le imprese possono attivare. Una stretta che si potrebbe abbattere al momento su circa due milioni di stage avviati. È questo infatti il numero di tirocini extracurriculari che secondo il monitoraggio Anpal sono stati attivati in Italia tra il 2014 e il 2019. Uno strumento, meglio conosciuto appunto come stage, che ha permesso ad oltre mezzo milione di imprese di usufruire di una risorsa a basso costo sia per scopi formativi on the job, utile ad inserire giovani promettenti in azienda, ma anche, inutile nasconderlo, per attività meramente lavorative senza reali prospettive di assunzione.

Non è un caso che nel 79% dei casi si trattava di tirocini avviati nei confronti di persone under 30 che, per il 45%, hanno visto in questo strumento una prima via di ingresso nel mondo del lavoro. Guardando alla categoria dei tirocinanti è poi possibile notare come la stragrande maggioranza dei tirocini siano stati attivati nei confronti di disoccupati/inoccupati (69,1%) e soltanto per il 17% da casi questi siano stati rivolti a neo-qualificati/diplomati/laureati/dottorati. La cifra però più significativa, non tanto per il peso numerico ma per ciò che potrebbe diventare il tirocinio, e che dovrebbe far intimorire quelle imprese che ne attivano a gogo per avere manovalanza a basso costo, è rappresentata dal numero di stage attivati in favore di persone con difficoltà di inclusione sociale prese in carico dai servizi sociali e/o sanitari, ossia poco più di 60 mila tirocini per circa il 3% del totale.

 

La possibilità di assistere ad un drastico ridimensionamento delle attivazioni di tirocini da parte delle imprese non è infatti uno scenario così remoto. Il recente intervento in legge di Bilancio ha previsto (art. 1, comma 720-276) che la conferenza Stato-Regioni dovrà prevedere una nuova disciplina dello strumento entro giugno 2022 adottando come criterio di riforma della normativa il fatto che lo stage possa essere predisposto soltanto per i soggetti con difficoltà di inclusione sociale.
Le conseguenze di questo intervento, che possono scaturire da una interpretazione più o meno restrittiva della dicitura “soggetti con difficoltà di inclusione sociale”, sono almeno due: una sostanziale abolizione dello strumento del tirocinio per come lo conosciamo o, al contrario, un (quasi) nulla di fatto.

Un criterio nuovo per avviare i tirocini

Considerando il primo scenario, quello più temuto dalle imprese, la situazione che ipoteticamente verrebbe a crearsi vedrebbe un ristringimento dell’utilizzo dei tirocini soltanto a quelli disciplinati dalle Linee guida del 2015 in favore di persone prese in carico dal servizio sociale professionale e/o dai servizi sanitari competenti finalizzati all’inclusione sociale, all’autonomia e alla riabilitazione.
Questi stage rappresentato ad oggi soltanto il 3,1% del totale dei tirocini attivati. Ciò significa che si rischierebbe di passare da un’attivazione di stage milionaria ad una di poche decine di migliaia (circa 60 mila), sottraendo alle imprese una leva lavorativa (nonostante il tirocinio non sia un contratto di lavoro) su cui, nel bene e nel male, hanno sempre contato per via del basso costo (non si pagano i contributi, si riconosce solo un’indennità di poche centinaia di euro) e delle garanzie pressoché pari allo zero che si debbono al tirocinante.

Guardando invece al secondo scenario, la tanto acclamata riforma degli stage potrebbe tramutarsi in un fuoco di paglia. Ad alimentare questa possibilità è stato (paradossalmente) lo stesso Ministro del Lavoro Orlando nel corso della sua audizione alla XI Commissione del Senato quando ha affermato che i beneficiari della misura dovranno essere coloro “con maggiore distanza dal mercato del lavoro (in questo senso va intesa la dicitura “difficoltà di inclusione sociale”), e cioè con maggior necessità di formazione professionale”. Risulta quindi difficile vedere come i giovani, per i quali finora è stato attivato il 79% dei tirocini e che sono necessariamente in bisogno di formazione professionale, non possano essere ricompresi in questa categoria di soggetti con difficoltà di inclusione sociale. Vien da sé che continuando a considerare i giovani nell’alveo dei beneficiari significa, nei fatti, appena appena scalfire l’impianto attuale della misura, appunto per l’elevato numero attuale di tirocinanti giovani.

Tirocini al bivio, nessuna via di mezzo

Al momento non sembra quindi trasparire nessuna via di mezzo: o abolizione o status quo. Non c’è dubbio che un radicale ridimensionamento del campo di applicazione della misura creerebbe non poche grane alle imprese nell’immaginare e mettere in pratica percorsi alternativi di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. L’apprendistato (soprattutto quello duale) è ancora poco utilizzato ed è ben lontano dal rappresentare uno strumento rodato per le imprese nell’ingaggio dei giovani, sia per il costo più elevato rispetto a un tirocinio sia per uno sforzo formativo maggiormente impegnativo per le aziende, a cui in molti casi faticano a stare dietro. Eppure, questo strumento potrebbe fare da tandem con il tirocinio curriculare attraverso il quale le aziende possono ospitare giovani iscritti a istituti di formazione professionale, scuole, università e ITS, creando una vera filiera formativa su cui dovrebbero essere loro le prime ad investire per assicurarsi competenze e giovani leve.

Al di là di come andrà a finire, il dibattito attuale sta mostrando come il tessuto produttivo, come anche le istituzioni di istruzione e formazione e gli operatori del mercato del lavoro, siano stati poco efficaci in questi anni nella costruzione di un sistema di transizione scuola-università-lavoro funzionante, tanto che il tirocinio (che non è un contratto di lavoro!) è sempre più spesso diventato il cuscinetto per molte imprese per arruolare giovani, compromettendo molte volte la sua vocazione formativo-orientativa (giustamente finalizzata ad una prospettiva occupazionale) ed adoperandola semplicemente come mano d’opera a basso costo.