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L’ intelligenza artificiale fa crescere la maturità digitale delle imprese

Articolo. Cresce il percorso di transizione delle piccole e medie aziende. Lo studio del Digital Innovation Hub Lombardia in collaborazione con le Antenne Territoriale ha mappato la crescita delle 250 imprese più rappresentative. E L’IA diventa tecnologia trasversale e strategica a tutte le funzioni aziendali

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Non più solo leva di competizione, ma di crescita aziendale

Un buon livello di maturità digitale, comune e trasversale a tutte le dimensioni d’impresa. Una strada che non è comunque libera da ostacoli, soprattutto per le più piccole che, per come prima difficoltà indicano l’accesso a capitali o i limiti a rapportarsi con i grandi fornitori tecnologici. Su tutti i problemi resta però quello delle difficoltà sempre più generalizzata nel reperire le giuste competenze necessarie e gestire, quando non a guidare, l’intero processo di trasformazione digitale: un divario tra competenze richieste e disponibili che rischia di ingrandirsi ancora quando invece la pressione del progresso tecnologico avanza a ritmi superiori al tasso di formazione di figure qualificate. Affrontare questo problema e limitarne l’impatto il più possibile significa determinare il livello di “sopravvivenza per le imprese”.

È una prima cornice. Ci sono altre due fotografie di partenza, due punti di osservazione diversi, ma non distanti nelle loro conclusioni. Il primo sguardo si posa sulle imprese lombarde: il nuovo livello di maturità digitale è cresciuto, con un approccio sempre più orientato a incrementare e a completare un percorso di transizione digitale, con un occhio specifico soprattutto per le tecnologie trainanti come l’Intelligenza artificiale, tecnologia e motore di applicazioni di avanguardia che, oltre a semplificare la vita quotidiana, consentono di accelerare la crescita e lo sviluppo industriale.

Non solo: la tecnologia come l’intelligenza artificiale, più di altre, è già traversale a diverse funzioni aziendali (R&D, Produzione, Manutenzione, Qualità, Logistica, Supply Chain, Marketing e Risorse Umane). E questo significa che le tecnologie dell’Industria 4.0 si sono estese a tutti i settori e a tutte le funzioni aziendali anche non direttamente industriali. Non sono più solo leve di semplice vantaggio competitivo sul mercato, ma al contrario ricoprono un compito divenuto ormai necessario per garantire la continuità del business e, certamente, per continuare a competere.

 

È questo sta già succedendo soprattutto nelle imprese delle filiere della meccatronica e dell’automotive. I numeri dell’ultima indagine del Digitale Innovation Hub Lombardia, pubblicata oggi, sono chiari. Primo dato: l’intelligenza artificiale non è solo una “cosa” da grandi, quasi nove piccole imprese su dieci (l’88%) la considerano sempre più “un fattore strategico”. Fra piccole, medie imprese e industria, c’è un quadro abbastanza omogenea e traversale, con punte di maggiore applicazione su processi come la personalizzazione del prodotto e la flessibilità organizzativa. Nelle classifiche Eurostat,nel 2020, l’Italia si è piazzata al nono posto per percentuale di imprese (con almeno 10 dipendenti) che utilizzano l’intelligenza artificiale.

Vittorio Colao

Ministro della Transizione digitale

Dall’altra, il monito di ieri mattina: “siamo in ritardo, ma non in ritardissimo” del ministro della Transizione digitale, Vittorio Colao, davanti alle commissioni riunite Trasporti e Attività produttive della Camera. Il dato di partenza fa riferimento alla spesa complessiva per i sistemi di Intelligenza artificiale, nel 2021 ha raggiunto gli 85 miliardi di dollari, mentre la previsioni (dati International data corporation) stimano che nel 2025 questa spesa supererà i 200 miliardi di dollari. L’Italia, quindi, secondo Colao: “La stima per il mercato italiano dell’IA è di appena 380 milioni di euro, un dato di partenza sul quale dobbiamo riflettere. In questo contesto positivo – ha chiarito – Europa e Italia devono mantenere il passo con uno sviluppo molto rapido”, sempre però ricordando che “le tecnologie sono un mezzo e non un fine”, e la scelta “non deve essere se avviare questo grande motore, ma il come, il quando e soprattutto quanta forza dare per accelerare la trasformazione che l’intelligenza artificiale permette”. Concludendo che “dobbiamo essere onesti. Rischiamo di essere in ritardo, sia in Europa che in Italia, ma non siamo drammaticamente in ritardo“.

 

L’Intelligenza artificiale come obiettivo strategico rafforzare il settore industriale e il sistema Italia in ambito europeo. Un obiettivo che il focus dello studio del Dih Lombardia ha misurato sulle imprese lombarde, prevalentemente medio-piccole (81% del campione di cui il 51,6% sono piccole aziende). Undici i settori analizzati (Alimentare, Automotive, Tessile Carta e Plastica, Chimica, Energy, Edilizia, Industria pesante, Meccatronica, Life Sciences, altra Industria manifatturiera e Industria non manifatturiera) e pesati lungo un metro di maturità digitale verso l’IA, fra lo 0 e 5 (massima maturità).

Un primo sguardo d’insieme prima dell’approfondimento su Meccatronica e Automotive: il quadro è molto omogeno circa l’approccio “strategico” delle varie dimensioni aziendali verso l’intelligenza artificiale. I valori sono tutti vicini al 3, con personalizzazione prodotto e flessibilità organizzativa che si avvicinano al 3,5. “Questi risultati sono significativi – sottolineano gli analisti del report -, perché sono prova di un equilibrio vantaggioso per le aziende. Ma dedicarsi esclusivamente a una delle cinque dimensioni identificate e trascurare maggiormente le altre, infatti, potrebbe rivelarsi non efficace per la strategia delle aziende verso l’intelligenza artificiale”. Entrando allora più nel dettaglio dei risultati, le imprese mostrano poi una maturità digitale minima verso la centralità del modello B2B (2,77), mentre sale ancora verso la digital capability e l’ecosistema dell’intelligenza artificiale (con valori leggermente sopra il 3).

Gianluigi Viscardi

presidente del Digital Innovation Hub Lombardia

«La nostra analisi conferma che le imprese lombarde sono già orientate alla completa trasformazione digitale e all’adozione di soluzioni di intelligenza artificiale. Le opportunità sono ancora molteplici - ha spiegato Gianluigi Viscardi, presidente del DIH Lombardia - e, cogliendole, avremo un impatto significativo sulla competitività dell’intero sistema economico regionale. In quest’ottica il ruolo del DIH Lombardia sarà strategico così come lo sarà il supporto costante della Regione».

Sempre restando al quadro generale, lo studio ha messo in evidenza ben altri elementi di significatività: oltre all’omogeneità tra le varie dimensioni e a un orientamento trasversale verso l’intelligenza artificiale soprattutto su Personalizzazione Prodotto e Flessibilità Organizzativa, le aree in cui l’intelligenza artificiale è più sviluppata, l’analisi indica che nel tessile, nel settore carta e plastica, poi vi è un buon utilizzo dell’intelligenza artificiale in particolare per la flessibilità organizzativa e la personalizzazione del prodotto. La chimica anche in questo studio si conferma sempre più industria d’avanguardia sulla transizione sia ecologica sia tecnologica, con un livello di maturità digitale omogeneo in tutte le funzioni aziendali e con «diffuse opportunità di miglioramento». Anche il settore Alimentare ha significativi margini di miglioramento, soprattutto sul versante tecnologico. Mentre l’industria pesante evidenzia risultati particolarmente elevati in particolare per la personalizzazione del prodotto e la flessibilità organizzativa. Ampio utilizzo e diffusione dell’intelligenza artificiale soprattutto nella personalizzazione del prodotto anche nel settore Energy anche se evidenzia «ampi margini di miglioramento per gli altre funzioni». Edilizia è la cenerentola della classifica: ultimo settore, infatti, e decisamente in ritardo in cui l’intelligenza artificiale è molto limitata.

 

Automotive e Meccatronica in testa alla classifica. Il primo in particolare è uno dei settori più completi per quanto riguarda l’implementazione dell’Intelligenza Artificiale. Le imprese della meccatronica spiccano invece per capacità di proposte e soluzioni innovative, prime nelle funzioni di R&D, Produzione e Qualità con un livello di maturità digitale elevato. La capacità organizzativa eccelle, conseguenza di un’elevata attenzione verso le dinamiche organizzative. Ma le imprese della meccatronica spiccano anche per una grande flessibilità organizzativa, sempre più strutturata, così da rendere elevata anche l’integrazione fra le varie funzioni aziendali, decisive poi nella gestione di cambiamenti.

La personalizzazione del prodotto è decisamente il valore aggiunto del settore, superiore anche al valore medio del totale delle imprese e “indice del grande orientamento di questa industry verso il topic”. Sempre più qualificante del settore è la capacità ormai strutturata di gestione del processo di sviluppo di nuovi prodotti e la capacità di rispondere alla crescente domanda di personalizzazione: anche in questa funzione il livello di maturità è superiore (3,39) a quello del totale (3,30).

Significativo in questo senso, va letto anche il dato sugli investimenti, anche qui superiore a quello medio del totale delle imprese (2,87) e tutti da leggere in chiave di filiera: molti di questi investimenti sono già stati realizzati dalle aziende del settore, infatti, essenzialmente per interagire e collaborare con ulteriori imprese della catena di valore, creando ed ottenendo valore. Se resta uno spazio ancora da colmare, questo riguarda la condivisione dei dati. Elemento centrale se si pensa che, nel modello BtB, la raccolta dati, l’integrazione di pianificazione e vendite, forecasting e monitoraggio sono già molto significativi.

Un capitolo a sé è stato dedicato ai macroprocessi industriali, dalla progettazione alla produzione, alla qualità. Una differenza tra i valori dei tre cluster, particolarmente maturi rispetto ad altri processi, che nel settore non appare particolarmente marcata rispetto alla dimensione d’impresa: la progettazione in particolare è il macroprocesso che presenta la minore differenza tra piccole, medie e grandi imprese, anche qui segno di una buon grado di preparazione al cambiamento. Se c’è qualcosa in particolare su cui lavorare di più, sottolinea lo studio, questo se mai riguarda il Marketing, Vendite e Customer Care (3,01) e Risorse Umane (2,94). Ancora di più invece nelle aree Manutenzione (2,70), Logistica (2,63) e Supply Chain (2,48), aree in cui è molto simile l’omogeneità tra piccole, medie e grandi imprese.

 

In una prospettiva di filiera industriale e di catena di fornitura si inserisce il rapporto con le imprese del settore automotive, anch’esso fortemente orientato a logiche di “personalizzazione del prodotto” e di focalizzazione su un percorso spinto di trasformazione digitale. Con una specificità in più: è il settore con una cultura del dato molto più diffusa e sviluppata tipica da approccio di imprese data-driven. Anche qui, ne deriva un ottimo il livello di flessibilità organizzativa, risultato di un alto livello di interazione e integrazione tra le funzioni.

Tutto questo alla fine «contribuisce ad una buona velocità decisionale – spiega lo studio – ed è un posizionamento tra i più elevati del settore». Molta attenzione verso la Centralità del modello B2B, che significa un forte orientamento delle imprese del settore verso l’integrazione con gli altri attori della supply chain: qui il valore è il più elevato rispetto a tutti gli settori industriali dello studio.

 

Due ultimi capitoli, nell’ampia analisi presentata dallo studio dell’Innovation Digitale Hub Lombardia, riguardano le risorse umane e la supply chain. Nel primo ambito, le piccole e le medie imprese ottengono entrambe valori nell’intorno del 2 (rispettivamente 2,44 e 2,11): un limitato livello di preparazione alla trasformazione digitale. Notevolmente superiore invece il livello delle grandi aziende (3,22), indice di una più che discreta maturità digitale. La differenza deriva dal fatto che le grandi aziende hanno spesso “formalizzato una leadership relativa al percorso di trasformazione digitale”, mentre le piccole e medie presentano ancora «più ruoli formalizzati». Inoltre, le grandi aziende hanno definito programmi di formazione dedicati al personale, coerenti con le competenze disponibili e con quelle necessarie all’impresa. Le Pmi, invece si trovano spesso in una fase intermedia, avendo mappato solo parzialmente le competenze senza specifico riferimento al digitale.

Marco Taisch

Presidente Made Competence Center Industry 4.0

Un tema centrale che Marco Taisch, presidente Made Competence Center Industry 4.0, rimarca spiegando che la trasformazione digitale «non sta cambiando semplicemente le operations di fabbrica e la loro gestione, ma sta avendo un effetto pervasivo sull’intera società coinvolgendo appunto, come primo attore, l’uomo e le sue competenze. Le strategie aziendali – sottolinea - si modificano al fine di introdurre nuove tecnologie che supportino l’uomo da un punto di vista cognitivo e fisico; si sta diffondendo sempre più il concetto di “cognitive automation”, secondo il quale l’operatore viene chiamato a svolgere compiti più specializzanti e che richiedono una conoscenza elevata della materia, lasciando alla macchina e ai suoi algoritmi il compito di adempiere ad attività più ripetitive che quindi non rappresentano delle attività a valore aggiunto per l’operatore». Per questo motivo, in un percorso digitale che vede sempre più l’allineamento tra le risorse interne della fabbrica, quali macchinari, tecnologie e persone, per Taisch diventa necessario «avviare training specifici, che siano parte integrante della strategia aziendale, al fine di intraprendere un percorso strutturato verso la trasformazione digitale».

 

E poi c’è la costruzione della filiera, della catena della fornitura in un’ottica nuova. Lo studio del Dih, evidenzia una discreta differenza della supply chain tra le categorie, in due segmenti principali. Da una parte, il percorso di trasformazione digitale ha coinvolto in maniera limitata la revisione delle filiere nelle piccole aziende. Dall’altra, le medie e le grandi imprese registrano migliori performance in termini di frequenza e di capacità di analisi e un maggior grado di integrazione tecnologica e organizzativa, presentando così un buon grado di maturità digitale.

Un “ritardo” che va colmato visto che le stesse imprese agiscono in un contesto sempre più ampio e in cui è sempre più fondamentale sapersi coordinare con altri stakeholder, a cominciare dalle imprese delle altre filiere. Diventa essenziale così un buon livello di collaborazione, non solo dentro la stessa filiera, ma anche tra le varie filiere, guardando proprio alla nuova complessità delle transizioni ecologica e digitale in atto. Maggiore collaborazione potrebbe essere, quindi, il punto di partenza. «La globalizzazione delle filiere è un ulteriore elemento di contesto insieme al trend in atto di riconversione verso filiere più corte e flessibili. La tendenza degli ultimi decenni – spiega Marco Taisch - è stata di estendere e globalizzare le filiere basandosi primariamente su driver di minimizzazione del costo in condizione di normale operatività. Tuttavia, i recenti avvenimenti hanno dimostrato come crisi sanitarie o una semplice nave incagliata possano vanificare tali vantaggi. Ciò sta spingendo le imprese a pensare a nuove modalità di gestione che contemplino la gestione strategica del rischio. Ciò sta comportando un ridisegno delle supply chain, con un aumento dei fenomeni di reshoring e nearshoring dei processi chiave, da un approccio basato sul total cost of ownership di azienda a uno di filiera e dunque a configurazioni locali su scala globale, ovvero glocal supply chains». Una maggiore vicinanza a tutta la filiera può essere quindi anche fonte di vantaggio competitivo per le imprese. E vicinanza fisica «significa spesso anche comunanza di cultura, valori e formae mentis» conclude Taisch.

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