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«Il passaggio alla mobilità elettrica non è un’alternativa, è un obbligo»

Articolo. «Le potenze mondiali devono riorganizzare le loro economie per un futuro verde o l’umanità sarà condannata». Il segretario dell’Onu, Antonio Guterres, valuta molto duramente la risposta internazionale alla pandemia, ammonendo i governi ad acuire l’attenzione sul taglio delle emissioni di gas serra che alterano il clima ed esortandoli a usare la crisi in atto come trampolino di lancio per lanciare politiche «trasformative», volte a svezzare le società dai combustibili fossili. I trasporti sono il settore dove sono necessari i maggiori progressi nella transizione alle fonti rinnovabili.

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L’auto elettrica è il futuro della mobilità

Il Green Deal, l’iniziativa politica della Commissione europea presieduta da Ursula von der Leyen, auspica una riduzione delle emissioni, nel settore della mobilità e dei trasporti, del 90 per cento entro il 2050. Il passaggio alla mobilità elettrica è il più urgente da compiere nel passaggio all’energia rinnovabile. Roberto Sposini, esperto di mobilità, già direttore responsabile di testate nazionali del settore, oggi è chief mobility editor e responsabile del coordinamento editoriale in LifeGate, il media network che è un punto di riferimento per lo sviluppo sostenibile.

L’evoluzione si gioca sull’autonomia più che sulle prestazioni

Roberto Sposini

L’evoluzione della mobilità elettrica – spiega Sposini – si gioca sull’autonomia più che sulle prestazioni pure. Gli attuali 400 chilometri di media offerti da quasi tutti i modelli sono da ritenere un buon punto d’arrivo, anche se, a tendere, il dato dovrà quasi raddoppiare. La Formula E, nata nel 2014 e dedicata alle auto elettriche, è uno degli “strumenti” evolutivi più interessanti per i costruttori, perché permette di acquisire dalle gare conoscenze mirate su efficienza, sostenibilità e progresso tecnologico, da riproporre per i veicoli di serie». «Il primato tecnologico e numerico per utenti – osserva – rimane, comunque, alla Cina, dove anche molti brand europei hanno centri di sviluppo e ricerca e siti produttivi. Il cuore dell’evoluzione, però, sta tutto nelle batterie, mentre la volontà o no di promuovere l’adozione della mobilità elettrica è nelle mani dei governi». Quei governi che Antonio Guterres richiama all’urgenza della transizione energetica. «La mobilità elettrica – evidenzia correttamente Sposini – è senza dubbio lo strumento più efficace per l’abbassamento delle emissioni di gas a effetto serra, a cominciare dall’anidride carbonica, generate dai trasporti e per lottare contro il riscaldamento globale. Ormai l’obiettivo dell’industria è quello di offrire una sempre più ampia gamma di modelli elettrici, o almeno elettrificati. Anche l’idrogeno è un’alternativa interessante, a patto di disporre dell’infrastruttura di rifornimento e di produrlo in modo sostenibile. Tutti i costruttori convergono su un punto: la mobilità sarà sempre più autonoma e connessa, elettrica e condivisa. La mobilità elettrica è fondamentale anche per raggiungere i target sulle emissioni medie della flotta, fissati dall’Unione europea, pari a 95 g/km. Insomma, più che un’alternativa, l’elettrico è un obbligo».

Energia rinnovabile e smaltimento delle batterie

Per la produzione di auto elettriche sono necessarie materie prime. Sono riciclabili? «Il tema è dibattuto da anni. L’auto elettrica, da sola, non basta, se si vuole rendere davvero sostenibile la mobilità. Le condizioni necessarie sono due: la produzione di energia per la ricarica, in primo luogo, deve provenire da fonti rinnovabili; poi si deve pensare seriamente, da subito, al destino delle batterie, in particolare del litio, del nichel, del cobalto e del manganese che le compongono. I costruttori hanno già l’obbligo e la responsabilità ambientale dello smaltimento. Il problema è il costo dell’intero processo di trattamento e riciclo. Il litio, in particolare, è un elemento fondamentale per le batterie, in attesa di altre tecnologie, come le batterie allo stato solido, e rimane un “ingrediente” fondamentale della mobilità elettrica. Il dibattito sul suo impiego, sui metodi di estrazione e sulle prospettive future legate, in generale, allo sfruttamento delle materie prime è più che mai acceso. Il litio, secondo gli esperti, continuerà a essere importante per i prossimi dieci o vent’anni. La produzione annua totale dei principali Paesi produttori è passata, dal 2008 al 2018, da 25.400 a 85mila tonnellate. L’obiettivo a lungo termine è arrivare a riciclare oltre il 90 per cento delle materie prime che compongono le batterie: oggi siamo circa a metà strada. La buona notizia? Fra i molti progetti europei nati per la gestione delle batterie a fine vita, il primo impianto pilota di recupero e riciclo totale, nato dalla collaborazione fra Cobat e Cnr, dovrebbe nascere presto in Italia».

Le batterie delle auto elettriche possono diventare un modo per immagazzinare l’energia prodotta dalle fonti rinnovabili? «Gli attuali pacchi batteria garantiscono una vita utile di otto-dieci anni, al termine della quale la loro efficienza supera, comunque, l’80 per cento. Una soglia ampiamente sfruttabile. Ci sono molte sperimentazioni che mirano ad allargare il perimetro all’uso di batterie di seconda vita e al cosiddetto “smart charging”, sfruttando le caratteristiche di ricarica bidirezionale presenti a bordo di molti modelli di auto elettriche. Le auto elettriche, in pratica, possono anche cedere la loro energia alla rete quando è necessario. L’obiettivo delle future smart city è proprio quello di liberarsi dalla dipendenza dai combustibili fossili. E i sistemi “vehicle-to-grid” possono essere molto preziosi, perché sono capaci di modulare la capacità di caricarsi e scaricarsi delle batterie in funzione delle esigenze degli utenti e dell’offerta di elettricità disponibile; in questi casi, le batterie di seconda vita recuperate da veicoli elettrici usati possono essere impiegate come efficaci sistemi di stoccaggio per stabilizzare la rete, in particolare quando è alimentata da fonti “variabili” come il solare o l’eolico. L’auto può immagazzinare il surplus di elettricità prodotto, mettendolo poi a disposizione o cedendolo alla rete di distribuzione in un secondo momento: in questo senso, un recente decreto del ministero dello Sviluppo economico ne ha finalmente regolamentato l’adozione anche nel nostro Paese».

L’Ecobonus non basta, servono più agevolazioni

Quali sono in Italia i principali ostacoli alla diffusione dell’auto elettrica? «L’Ecobonus così com’è, nemmeno con le integrazioni previste dal ministero dello Sviluppo economico a fine luglio, da solo non basta. Incentivare l’acquisto di veicoli a basse emissioni è una via indispensabile per promuovere la mobilità sostenibile. Ma servono anche più agevolazioni per l’installazione delle colonnine elettriche private e, in genere, investimenti più ingenti per lanciare la mobilità a zero emissioni nel nostro Paese, sul modello di quanto compiuto recentemente da Francia e Germania. In Italia oggi sono presenti quasi 14 mila punti di ricarica in oltre 7 mila stazioni accessibili al pubblico, di cui il 73 per cento in infrastrutture pubbliche ad accesso libero e il 27 per cento su suolo privato a uso pubblico. Dati incoraggianti, ma ancora insufficienti». «Il prezzo – sottolinea Sposini – si aggiunge a frenare la diffusione di modelli elettrici. Malgrado il progressivo calo dei costi delle batterie, le auto elettriche, secondo gli analisti, rimarranno significativamente più costose da costruire almeno ancora per un decennio: servono maggiori politiche di sostegno. Poi bisogna consentire a chi sceglie l’e-mobility di poter affrontare anche gli spostamenti autostradali con facilità, o di poter ricaricare il proprio veicolo anche in spazi privati, come un garage o nei parcheggi condominiali».

Biglietto da visita di chi adotta uno stile di vita sostenibile

Per un secolo l’auto è stata anche un status symbol. Lo diventerà anche l’auto elettrica? «L’auto elettrica è già uno status symbol, lontano, però, dal concetto effimero del termine. È il nuovo biglietto da visita di chi adotta uno stile di vita sostenibile. Basti pensare al fenomeno Tesla. La questione è un’altra. Ieri lo status era basato sul costo di un’auto, la potenza, gli accessori o il marchio, più o meno prestigioso. Nell’era della mobilità elettrica – evidenzia Sposini – gli stili di vita fanno la differenza. L’auto elettrica si sceglie con altri criteri: dove si vive, dove si lavora, le opportunità di ricarica. L’ecosistema privato fa la differenza. L’autonomia, dunque, pesa più della potenza, l’efficienza più del brand. Insomma, l’auto come status resisterà ancora a lungo, per fortuna con valori e caratteristiche evoluti. La sostenibilità, come è emerso dall’ultimo Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile di LifeGate, è ormai una priorità per 36 milioni di italiani e la mobilità elettrica è sempre più una scelta consapevole, almeno nelle grandi città, dove vantaggi come accessi alle ztl e parcheggi gratuiti sono più tangibili».

L’incremento dopo il Covid circoscritto ai Paesi più ricchi

Quali sono i Paesi dove l’auto elettrica è più diffusa? «In Europa, sebbene le vendite di veicoli elettrici si confermino in costante crescita, l’incremento post emergenza Covid rimane circoscritto ai Paesi più ricchi. Nei primi tre mesi di quest’anno, il 98 per cento delle vendite europee di veicoli elettrici è avvenuta nei 14 Paesi più ricchi dell’Unione, oltre a Regno Unito e Norvegia. La Norvegia, dove da tempo sono previsti forti incentivi governativi, dove la rete di colonnine è più estesa e dove c’è una popolazione più ricettiva, si conferma il mercato di riferimento, mentre nei 27 paesi membri dell’Ue le politiche molto diverse hanno finito per influenzare anche le vendite durante la pandemia. Se, infatti, Paesi come Francia e Germania hanno puntato su politiche volte a valorizzare la mobilità elettrica come fulcro di programmi più attenti all’ambiente, non tutti i Paesi – Italia inclusa – hanno compiuto scelte altrettanto lungimiranti. E i risultati si vedono: le quote del mercato elettrico a giugno hanno raggiunto il 26 per cento in Svezia e il 9 sia in Germania sia in Francia, mentre Italia e Spagna si fermano al 3 per cento».

Il car sharing si diffonde con i mezzi elettrici e ibridi

L’auto elettrica sarà accompagnata dal superamento del concetto dell’auto di proprietà e dall’introduzione di quello di «transportation as a service» con la diffusione del car sharing? «Il car sharing in Italia piace e continua a crescere. Secondo i dati emersi dall’ultimo Osservatorio nazionale della Sharing mobility nel 2019, si sono registrati 2 milioni e mezzo di iscrizioni ai servizi di car sharing nelle città italiane, segnando un +28,7 per cento rispetto all’anno precedente. Roma e Milano registrano i numeri più alti: insieme le due metropoli contano circa 10 milioni di noleggi con veicoli sempre più spesso elettrici e ibridi. In crescita anche le flotte dei gestori: il 30 per cento in modalità “free-floating” e il 70 per cento in “station based”. Fatto salvo l’inevitabile crollo durante il lockdown di marzo e aprile, già a maggio è ripartita la tendenza positiva, che proseguirà certamente. La diffusione del car sharing non solo riduce il traffico cittadino – un veicolo in condivisione sostituisce fino a otto auto private – ma ha un impatto positivo anche nella riduzione dell’inquinamento atmosferico. Inoltre, la mobilità elettrica declinata nelle formule offerte dalla sharing mobility può offrire un apporto significativo alla riduzione di inquinanti come monossido di carbonio, ossido di azoto e idrocarburi incombusti. L’auto come servizio è già parte del nostro futuro, specie nelle grandi città, per questo molti costruttori si stanno preparando a diventare fornitori di servizi di mobilità. Così come non c’è dubbio che l’obiettivo delle grandi città debba essere la riduzione del numero di auto circolanti, a prescindere dalla tipologia o dalle forme di proprietà, per restituire spazio ai cittadini, alla mobilità ciclabile e agli spazi verdi, come Oslo ha già scelto coraggiosamente, chiudendo l’intero centro alle auto, elettriche incluse».

Dal 2030 si potranno compiere i primi voli in elettrico

La mobilità elettrica non riguarda solo l’automobile. Si va dal monopattino al trasporto pesante. Quali sono i mezzi più promettenti per il futuro? «I fronti caldi della mobilità a “zero emissioni” sono molteplici. Se non si ridurranno le emissioni di anidride carbonica di tutto il trasporto su gomma, non sarà possibile per l’Europa rispettare l’Accordo di Parigi. Non solo. Per riuscire a decarbonizzare l’economia europea entro il 2050, oltre a ridurre drasticamente le emissioni di tutto il trasporto pesante, sviluppando combustibili alternativi e biocarburanti avanzati, l’elettrificazione e l’eliminazione graduale dei combustibili fossili dovrà riguardare le altre forme di trasporto. È vero: l’elettrificazione riguarda ormai l’intera mobilità, dai monopattini ai camion elettrici, con limiti e problemi diversi. Anche colossi dell’aviazione, come Airbus e Boeing, stanno guardando all’elettrico. Wright Electric, start-up americana partner di EasyJet, ha annunciato che, dal 2030, si potranno già compiere i primi voli in elettrico. Anche il trasporto marittimo sta puntando sull’elettricità, grazie a corposi investimenti privati e pubblici: sia per il trasporto mercantile sia per quello dei passeggeri, si moltiplicano i progetti e le iniziative per rendere più sostenibile il settore. Un fatto è certo: le crescenti preoccupazioni per l’ambiente spingeranno sempre più persone a considerare l’impronta di carbonio del mezzo di trasporto prescelto, con un’inevitabile impulso all’evoluzione dell’intero comparto dei trasporti».