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La forza delle «piccole», motore di competitività del territorio

Articolo. La classifica di «Skille 1000» rimette in luce una pattuglia di piccole e medie imprese campioni di crescita. La dinamica di ricavi e utile testimoniano che aziende più piccole solo per dimensioni, sono invece capaci di stare al passo con i ritmi di crescita pari ai primi Gruppi industriali della classifica. Ecco alcuni esempi.

Lettura 7 min.

I Campioni nascosti della crescita: motore di competitività

Leggi che la Tesla – in rampa di lancio verso Marte - ha una capitalizzazione pari a Ford e Gm messe insieme. Difficile che venga in mente come associazione di idee Grassobbio. Nemmeno Terno d’Isola, o poco più in là Stezzano o Carvico, alcuni dei luoghi della nuova frontiera spinta della meccatronica più avanzata per l’automotive. Eppure anche da lì arriva benzina al motore di una crescita in cui, più in generale, commesse, acquisizioni e innovazione fanno riferimento a realtà d’imprese molto diverse fra loro come Impala, Cpz, Tesmec Automation o Fai Officine di Carvico. E questo senza andare a sbirciare nelle valli, dove realtà come Smi Group, guardando al Brembo, o Comelit per il Serio, o Diapath volgendo lo sguardo alla Bassa sono testimonianze tutte di una realtà incontrovertibile: una capacità delle piccole e medie imprese di eccellere sui mercati interni e globali con la stessa forza competitiva delle big. Un po’ fa effetto. E molto fa riflettere. Se si parla di crescita va constatato che forse sono ancora poco conosciuti i meccanismi dell’economia che stanno facendo crescere il territorio del post-crisi, dove realtà piccole e medie sono le reali protagoniste di fenomeni d’eccellenza ma che si fa ancora fatica a stimare e a conoscere. Altro che segmento fragile.

Lo sguardo alla classifica di Skille sulle aziende medio-piccole (le prime 20 nel grafico a fianco), e quindi da un punto di vista altro che non sia solo la semplice classifica per fatturato, riesce a combinare per capacità di crescita di ricavi, di balzo dell’utile e per creazione di valore aggiunto realtà d’impresa estremamente diverse per tipologia di produzione in cui si concentra l’eccellenza e che è qualcosa di unico che i concorrenti non possono offrire, di servizi e strategie d’export.
La nuova classifica di Skille 1000, con le prime mille imprese per fatturato, racconta anche di un filo conduttore: quell’orgoglio del produrre sul territorio, tratto fortemente caratteristico di questo pianeta di piccole e medie imprese di successo. Il tutto succede all’interno di una classifica in cui il 10% di imprese – il dato è in continua discesa – ancora fa fatica e chiude i conti in rosso (sono stati 92 nel 2018). E una pattuglia estremamente più numerosa che invece presenta nuovi record di fatturato, di risultati netti, di crescita dell’occupazione. Valori tutti che ormai sono andati ben oltre i numeri del livello pre-crisi. Protagoniste di un successo “nascosto”. E per questo convince su un aspetto: vale la pena di ripartire dalle loro storie aziendali.

L’evidenza maggiore è che puntare lo sguardo ai gradini più alti della classifica, fa perdere spesso di vista le tante eccellenze che comunque affollano la parte ritenuta meno “nobile” della graduatoria. E che invece è affollata di soggetti che possono vantare tassi di crescita pari se non superiore ai big di testa. Le performance di Impala, di Efferre, di Fast o di Surface Technological Abrasives, per citarne solo alcuni, non si discostano affatto dalla media generale di crescita sia per fatturato sia per utili delle grandi. Crescita anche a tre cifre, spesso a due cifre in un solo anno. Poi un’occhiata all’Ebitda e agli utili. Si scopre che le piccole hanno registrato profitti almeno del 10% del loro giro d’affari. Che la crescita dei risultati netti finali è stata a ritmi anche superiori delle grandi imprese, certamente con altri problemi proporzionali alla taglia e su scala globale. Ma anche per indici di bilancio ancora più significativi come il valore dell’Ebitda, l’indice che rende conto della crescita del margine operativo lordo e che dà l’idea di quanto la gestione efficiente di una impresa sia motore di redditività. In rapporto al fatturato le pmi figurano con rapporti dove la media viaggia attorno al 15-20%. Risultati numerici importanti, che hanno aiutato ad allargare anche il perimetro dell’occupazione: l’anno scorso il sistema Bergamo ha creato oltre 5mila posti di lavoro in più.

Una crescita del 116% dei ricavi, passando da 35 a quasi 77 milioni solo nell’ultimo anno, dimostra che la Fai Officine Meccaniche di Carvico, un sito web rigorosamente solo in inglese, una presenza globale in undici nazioni, in poco tempo ha saputo trasformarsi in leader nella produzione di sistemi di screening di aspirazione acqua di mare, e di condutture di alta qualità con materiali innovativi in grado di resistere a pressioni elevate per condutture e componenti in pressione. Strategie avanzate di internazionalizzazione, gli hanno permesso di scoprire nuovi mercati e di presidiarli con la forza della competitività.

La stessa forza che ha fatto crescere Cpz di Costa di Mezzate, ricavi a oltre 141 milioni, più che triplicati, per capacità di offrire lungo l’intera catena della logistica un servizio ai clienti estremamente personalizzato che arriva fino a seguirli all’estero. La Bergamo che corre, per quanto piccola, è fatta anche di protagonisti che hanno continuato a investire in innovazione e in aggiornamento tecnologico. Il principio vale molto per la Tesmec Automation di Grassobbio, fatturato passato 8 milioni (+119%), 4 sedi in Italia, controllata del Gruppo Tesmec (quotata in Borsa) è sempre in prima linea nell’investire in tecnologie per la progettazione, produzione, l’efficientamento e la gestione delle reti che trasportano energia elettrica, dati e materiali.

Sono un po’ questi i profili dei «Campioni nascosti» del territorio. Per i quali la prima sfida resta ancora quella di consolidare (con pazienza) l’eccellenza del loro prodotto, presidiando la loro dimensione manifatturiera, il loro “fare”.

Le storie d’impresa / 1
Diapath: «Non c’è innovazione senza investimenti in ricerca e sviluppo»

di Elisa Riva
Dieci anni fa commercializzava prodotti medicali terzi. Ora è un brand affermato nella progettazione, nello sviluppo e nella distribuzione di strumenti, reagenti e consumabili tecnologicamente avanzati. Diapath è oggi sinonimo, a livello internazionale, di eccellenza nell’anatomia patologica. Un salto competitivo, sul mercato interno ed estero, confermato dai numeri: 2019 chiuso con un volume d’affari di 18,3 milioni (sui 17 milioni del 2018) e con un +21% per l’export.

 

A spiegare la rapida ascesa di una Pmi che da Martinengo guarda al mondo è il Dna vocato all’innovazione. Una spinta sostenuta da forti investimenti: l’azienda, 110 collaboratori e 15 brevetti registrati, destina l’8% del fatturato a ricerca e sviluppo. Un valore innovativo che a Diapath è valso il riconoscimento dell’Europa: l’Ue finanzierà con 2 milioni, a supporto di un investimento totale di 4 milioni di euro, un rivoluzionario progetto nella diagnostica in anatomia patologica, con un focus sulla diagnosi sicura e legato alla medicina di precisione. «I fattori che contribuiscono alla continua crescita sono molti, a partire dalla lungimiranza del nostro presidente, Vladimiro Bergamini – spiega Alberto Battistel, Chief operating officer di Diapath – e da una grande passione condivisa da tutti. Vogliamo essere il brand globale più innovativo nell’anatomia patologica. Per questo investiamo quote significative del nostro business in ricerca e sviluppo».

Pur avendo assunto un assetto manageriale con Alberto Battistel, Chief operating officer, Carmelo Lupo, responsabile del settore Innovazione, Paolo Danzi, Operations Manager, e le figlie del presidente Federica Bergamini, responsabile del Marketing e Customer care, e Alessandra Bergamini, Export area manager, Diapath mantiene i tratti distintivi di un’impresa familiare «che guarda al lungo periodo – sottolinea Battistel – e trae soddisfazione dalla crescita e dal valore dell’azienda, senza mettere al primo posto il profitto, ma la voglia di fare sempre meglio e di rendere soddisfatti i clienti».

Strutturare l’azienda dandole un cuore strettamente manageriale non significa far perdere la forza di azienda dalle caratteristiche e controllo familiare

All’innovazione Diapath ha dedicato un reparto interno, diretto da Carmelo Lupo: «L’utilizzatore finale dei nostri prodotti – evidenzia - non è un cliente, ma un partner con cui dialogare costantemente per far emergere i bisogni. In sinergia con il reparto Ricerca e Sviluppo, tutti i nostri talenti lavorano poi per individuare la soluzione più innovativa, in grado di perfezionare i percorsi di diagnosi a beneficio del paziente». I tre pilastri di Diapath, sottolinea Federica Bergamini, «sono processo, prodotto e risorse umane. Crediamo fortemente nel valore delle persone e nelle loro competenze, condividiamo principi e obiettivi, per creare un ambiente sano e piacevole. Sosteniamo i talenti e la loro crescita con la nostra Diapath Academy, per la formazione interna, ma anche per distributori e clienti». Radici nella provincia bergamasca , Diapath investe sia sul territorio sia oltre confine: nei mercati esteri sono previste nuove filiali commerciali e produttive, nel sedime del quartier generale è iniziato l’ampliamento della sede (5,5 mila metri quadrati) con un impegno da 5 milioni.

Le storie d’impresa / 2
Bmi Biomediacal: «L’export obbliga a una costante ricerca di nuovi mercati»

di Astrid Serughetti
Tra i «piccoli motori» più interessanti che spingono la crescita, nella classifica, la realtà di Bmi Biomedical International, impresa con sede a Curno, ma con un fortissimo orientamento internazionale, spicca in modo significativo.
La Biomedical International, infatti, è attiva dal 1994 con una forte specializzazione nella produzione e nella vendita di apparecchiature mediche, soprattutto per unità radiologiche.

Davide Greco

Ceo e Direttore commerciale di Bmi Biomedical

Negli ultimi tre anni l’azienda ha avviato un ampliamento, suggellato dalla recente acquisizione di una nuova impresa, una carpenteria meccanica di Vimercate, investimento a sostegno di un aumento del proprio portfolio di prodotti. Ma soprattutto per ampliare il reparto di ricerca e sviluppo, come spiega lo stesso Davide Greco, Ceo e direttore commerciale di Bmi: «Nel settore della radiologia, per quanto riguarda i macchinari usati, non si sono registrati grandi progressi tecnologici, ciò che è cambiato radicalmente, invece, è la rielaborazione dell’immagine a scopi clinici, che è stata fortemente digitalizzata e sulla quale subiamo la concorrenza delle multinazionali del settore fotografico, come la ex Kodak o la Konica Minolta che hanno un fortissimo know how di elaborazione dell’immagine». La ricerca di nuovi spazi di mercato risulta quindi una strategia quasi obbligata. E la spinta nello sviluppo che Greco sta cercando di dare alla sua azienda, va proprio in questa direzione: migliorare la qualità e la gamma dei propri prodotti per aprirsi ad ulteriori e nuovi mercati.

 

«Attualmente - spiega Greco - il 95% del nostro fatturato è generato dall’export, soprattutto Africa, Medio Oriente ed Europa dell’Est. Il resto dell’Europa, così come gli Stati Uniti, rappresentano una fascia di mercato più alta in cui puntiamo di inserirci con una nuova tipologia di prodotti».

La competitività è data da lla capacità di far crescere con regolarità il livello di innovazione. Le collaborazioni con le Università aiutano a crescere nuove competenze

Per arrivare a questi obiettivi, oltre a integrare tutta la fase produttiva, la Biomedical International conta sull’esperienza decennale dei propri ingegneri e sta avviando collaborazioni con gli istituti superiori di Bergamo e con il Politecnico di Milano per far crescere al proprio interno nuove leve. Da questa fase di sviluppo deriva l’aumento di fatturato registrato dall’azienda che chiuderà il 2019 ancora in crescita, con 9,8 milioni.

Ma per la realtà bergamasca l’andamento del proprio fatturato non può dipendere solo dalle proprie possibilità, come sottolinea Greco: «Lavoriamo principalmente con commesse pubbliche per cui il nostro mercato dipende molto dalla stabilità politica dei Paesi e dalla loro capacità di investimento. In anni passati abbiamo registrato un fatturato anche migliore grazie al mercato russo che trainava le nostre commesse, quest’anno è facile prevedere invece che l’Iran sarà un mercato ben più difficile».

 

La classifica di «Skille 1000»

Il nuovo volume di «Skille 1000» con la classifica delle prime mille aziende della provincia di Bergamo, è in edicola, in abbinata all’Eco di Bergamo.
Il nuovo numero di «Skille 1000» raccoglie i bilanci 2018 delle prime mille imprese del territorio, ordinati per valore del fatturato, e riqualificati secondo 14 indici finanziari del conto economico.
Il volume offre inoltre una mappa e un’analisi approfondita per ogni settore industriale.

 

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