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Il Pnrr guarda alle reti d’impresa per accelerare filiere, competenze e innovazione

Articolo. L’Osservatorio registra un aumento perché favoriscono relazioni, performance di mercato e acquisizione di tecnologie e competenze digitali. Strumenti efficaci anche per misurare gli interventi e condividerli come best practice

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Strumento per riqualificare le catene di fornitura

Le competenze digitali spingono e preparano il terreno anche al Pnrr. Lo stanno facendo diventando motore di uno strumento finora forse poco attivato, ma ora decisivo in una prospettiva di riorganizzazione e riqualificazione delle filiere e di integrazione produttiva: le reti d’impresa . Sostenibilità e digitalizzazione sono i due pilastri di questa trasformazione, per questo le reti si sono rivelate il terreno più fecondo per condividere e riprogettare insieme nuovi percorsi di open innovation. Lo conferma la fotografia del terzo Rapporto 2021 dell’Osservatorio nazionale sulle reti d’impresa (a cui partecipano InfoCamere, RetImpresa e il Dipartimento di Management dell’Università Ca’ Foscari Venezia), che spiega anche come lo strumento della rete sia stato utilizzato non solo per affrontare la crisi congiunturale, ma anche, in termini di investimenti sostenuti, per far “evolvere alcuni elementi strutturali” come la digitalizzazione e la trasformazione tecnologica, relazioni interne ed esterne, organizzazione del lavoro, nuove competenze, valorizzazione e crescita del capitale umano. Con un dato in più molto richiesto dall’Europa come principio guida per l’attuazione del Pnrr: il cosiddetto fattore di accountability, approccio che consente di misurare gli effetti degli interventi e di rendicontare i risultati dei progetti. Tutto in una prospettiva ulteriore di condivisione delle modelli più efficaci.

 

I dati: i contratti di rete sono in crescita del 13,3% nell’ultimo anno, con imprese di ogni dimensione, ma anche e soprattutto fra grandi industrie e startup innovative e tecnologiche. L’Osservatorio enfatizza quest’ultimo aspetto, il ruolo della rete come veicolo di acquisizione di tecnologie e competenze digitali, proprio perché in questo passaggio si rimarca il ruolo della grande impresa anche in rete e il ruolo della rete come “incubatore” delle nostre startup.

L’insieme favorisce relazioni, performance di mercato e acquisizione di tecnologie e competenze digitali. Con una innovazione importante: la tendenza delle imprese in rete a confermare nel tempo l’utilizzo di questo modello, che ben si adatta alla struttura industriale italiana e alle sue esigenze, anziché optare per diverse e più tradizionali forme di aggregazione.

L’automotive e i settori “in bilico”

Ed è per questo che si stanno rivelando anche un modello strategico per la ripresa economica, ma in particolare come veicolo per intercettare le opportunità offerte del Pnrr. E la posta in gioco al momento, vale a dire subito, vale almeno 1,7 miliardi. Sono i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Missione 1 del Pnrr, “Competitività e resilienza delle filiere produttive”, ha come focus il sostegno di le catene di fornitura dei settori industriali attraverso un primo strumento del credito fiscale. Si tratta di fondi che vanno a incentivo di investimenti nelle nuove tecnologie 4.0, per accompagnare la trasformazione delle industrie e introdurre sistemi di connettività, di sviluppo di processi digitali puntando su intelligenza artificiale, per provvedere alla sicurezza dei sistemi digitali da attacchi informatici (cybersecurity ). Una transizione digitale che deve fra l’altro puntare a supportare a sua volta, sotto il profilo industriale e dell’aggiornamento tecnologico, l’altro grande passaggio che è la transizione energetica ed ecologica.

 

Le reti d’impresa si inseriscono in questa prospettiva, anche perché questo primo step di finanziamento si rivolge a sei filiere considerate strategiche dal Mite : design-moda arredo; microelettronca-semiconduttori e metalli-elettromeccanica a cui sono destinati il 60% delle risorse del pacchetto Pnrr. Altri 300 milioni andranno a chimica-farmaceutica e ad agrindustria. Segue il settore dell’automotive, filiera particolarmente sotto pressione con il passaggio dalla produzione endotermica a quella elettrica. Il Mise ha appena diffuso una sua mappa sulla trasformazione del settore mettendo in evidenza come l’abbandono dei motori termici entro il 2035 e la riconversione industriale avranno un impatto sul sistema delle imprese: la stima è che saranno almeno 101 le tipologie di imprese coinvolte in base alla loro fornitura di componenti all’auto “tradizionale ”. In ginocchio finiranno inoltre anche quasi il 20% dell’occupazione del settore.

La spinta a un percorso di reskilling o di riqualificazione di competenze anche di questo settore è stato l’ulteriore fattore a dare slancio ai nuovi contratti di rete fra imprese, non solo per fronteggiare la crisi produttiva da pandemia e accompagnare quindi la ripresa economica . Ma per favorire le performance delle singole imprese, la condivisione di percorsi di riconversione industrial e migliorare insieme la trasformazione tecnologica. Tassello finale di queste “sinergie” sono stati il rafforzamento delle relazioni e delle contaminazioni di processo e, diretta conseguenza, l’acquisizione di nuove competenze digitali in particolare.

 

Le leve di competitività delle reti d’impresa

Il nuovo Osservatorio guarda avanti e indica nella crescita costante, anche dell’ultimo anno di questi accordi, un nuovo scenario di collaborazione nel progettare strategie e percorsi di internazionalizzazione. Per i numeri, i contratti di rete sono aumentati del 13,3%, un +885 nuovi contratti rispetto al 2020, e le imprese in rete del 10% (+3.849 rispetto al 2020). Dominano questo scenario le “reti contratto” con una quota dell’85%. In totale, al 31 dicembre 2021 si contano 42.232 imprese in rete per un totale di 7.541 contratti di rete.

Tiziana Nisini

Sottosegretario al ministero del Lavoro e delle Politiche sociali

Numeri che mettono in evidenza come sempre più le «reti d’impresa rappresentano un innovativo modello di organizzazione del lavoro – ha commentato Tiziana Nisini, sottosegretario al ministero del Lavoro e delle Politiche sociali - e possono contribuire a rafforzare le competenze e i livelli di specializzazione all’interno delle filiere. È evidente che parlare di rete significa parlare di gruppo, vuol dire unire competenze per creare sinergia, vuol dire proporre soluzioni di elevata qualità e professionalità, anche per favorire il mantenimento dei livelli di occupazione e sostenere politiche attive del lavoro e ricambio generazionale».

 
Fabrizio Landi

Presidente di RetImpresa

Ma Nisini ha anche annunciato, ufficializzando la notizia anche un po’ a sorpresa, che il decreto sulla co-datorialità per i contratti di rete è stato registrato dalla Corte dei Conti e le procedure di attivazione per le aziende che ne faranno richiesta saranno pubblicate sul sito del ministero del Lavoro nei prossimi giorni. Una svolta e un’opportunità che assegna così al contratto di rete «u n ruolo ancor più decisivo nel nostro sistema produttivo anche grazie proprio a questa attuazione della co-datorialità - ha spiegato Fabrizio Landi, presidente di RetImpresa -. E questo fatto insieme a tutti gli indicatori che emergono dalla ricerca – ha detto Landi - ci spingono a continuare a lavorare con le istituzioni per promuovere e sostenere modelli di partenariato efficienti e qualificati in grado di intercettare le opportunità di sviluppo e, in particolare quelle del Pnrr, e di rendere più competitivo il sistema imprenditoriale italiano».

Si amplia ulteriormente, quindi, questo nuovo spazio andando oltre la pattuglia di imprese già maggiormente coinvolte nei contratti di rete e di settore industriale. Oggi dominano l’agroalimentare (22%), il commercio (14%) e le costruzioni (12%), con il Lazio (24,3%) che primeggia subito prima di Lombardia (10,5%) e Veneto (7,8%).

Incubatori di startup e di alleanze industriali

Ma ci sono ancora risvolti significativi da segnalare: le reti più performanti, efficaci, coese e resistenti alla pandemia sono dotate di risorse e competenze complementari - soprattutto intangibili –, raggruppano imprese che sono anche simili come mercato di riferimento e considerano importanti le tecnologie legate ai dati e all’automazione, soprattutto nel made in Italy. Dall’analisi, invece degli specifici focus su temi come la digitalizzazione, il ruolo delle startup e delle grandi imprese in rete e la filiera delle scienze della vita, è evidente come emerge il ruolo delle reti come “incubatore virtuale” che permette alle startup di crescere mettendo a disposizione delle imprese più tradizionali le proprie competenze tecniche, know how, innovazione e creatività. E facendo crescere, in questo modello di condivisione sia di conoscenza, sia tecnologica, anche le industrie “vecchio” modello.

E con riferimento agli obiettivi, le reti oggetto della ricerca mostrano una maggiore propensione rispetto al passato per l’aumento del potere contrattuale, la riduzione dei costi di produzione, la formazione e la partecipazione a bandi e appalti. Resistono, seppure con meno forza, i temi dell’innovazione, dell’internazionalizzazione e del marketing in rete, anche per effetto del proseguire della crisi pandemica.

Paolo Ghezzi

Direttore generale di Infocamere

«L’analisi delle filiere che emerge dall’Osservatorio – ha poi spiegato Paolo Ghezzi, Direttore generale di InfoCamere - consente di cogliere aspetti di grande interesse per sostenere l’evoluzione del tessuto imprenditoriale del Paese in questa fase di ripresa. Una lettura più consapevole, attenta e puntuale dei dati del Registro delle Imprese sui fenomeni più dinamici della nostra economia, come quello delle reti, è condizione indispensabile anche per sfruttare al meglio le risorse del Pnrr, attuando quel principio di accountability che ci viene chiesto dall’Europa per rendicontare i risultati dei progetti e promuovere il riuso delle best practice».

 
Anna Cabigiosu

Docente Università Ca’ Foscari di venezia

Ma c’è poi anche la ricaduta sul territorio e l’eco-sistema imprese locale in termini di progetti messi in campo, che secondo Anna Cabigiosu, docente dell’Università Ca’ Foscari Venezia e responsabile scientifica del Rapporto «rafforzano il ruolo del contratto di rete sul territorio: è uno strumento unico, agile e snello, che permette ad imprese grandi e piccole di fronteggiare ambienti turbolenti e complessi condividendo risorse complementari e una stessa visione strategica. Reti performanti – spiega Cabigiosu - sono costituite da partner con risorse complementari, soprattutto intangibili, ma simili come mercato di riferimento di cui condividono una buona conoscenza e comprensione».

La rete svolge anche la funzione alle imprese coinvolte di sviluppare nuove competenze, tanto più efficaci se queste sono complementari. «Ma la rete permette solo in parte ai singoli di imparare a svolgere internamente e in autonomia alcune attività̀ precedentemente svolte solo in rete . La rete – precisa ancora la docente di Ca’ Foscari - resta dunque il luogo dove condividere e mettere a sistema risorse e competenze, e le imprese che hanno fatto esperienza di rete sono propense a continuare la loro collaborazione usando ancora una volta l’istituto giuridico della rete e non altre forme di aggregazione. Il contratto di rete sembra quindi aver colto le esigenze delle imprese italiane che cercano forme di collaborazione efficaci ma allo stesso tempo leggere e in grado di salvaguardare la loro individualità ».

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