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Filiere export più corte, più tecnologia nelle catene globali del valore

bianca. La crisi e l’emergenza sanitaria hannoi ridefinito il concetto e il modello di internazionalizzazione. Ecco una riflessione e una via per ripensare le supply chain globali: più corte, più vicine ai mercati e più ricche di tecnologia digitale

Lettura 7 min.

Un recupero record con tante incognite

Filiere industriali a prova di futuro. Consapevoli che saranno supply chain molto diverse da prima, molto più corte, con dentro molta più tecnologia 4.0 e innovazione digitale come leva di rapporto con i mercati esteri e con i fornitori, dall’approvigionamento al modello di distribuzione.
In realtà si tratta di un processo che le imprese e le filiere di prossimità, sui territori, hanno già avviato, durante e subito dopo l’emergenza sanitaria. La filiera dei distretti industriali resta un importante fattore di competitività per le imprese che ne fanno parte.
Ma per mantenere questo vantaggio, in una prospettiva soprattutto di internazionalizzazione post-Covid, si sono riorganizzate per accorciare la catena di fornitura e scongiurare nuovi rischi da approvigionamento a cominciare dalla filiera sul territorio. Questo ha significato ridurre le distanze dai propri fornitori, accordiando queste distanze in medi anche di oltre 50 chilometri, ha significato scegliere nuovi partner, sostituire in parte i rapporti esistenti. Così per esempio nel sistema moda le distanza dei fornitori sono scese dai 155 km fino ai 120-130 km; per il sistema arredo-casa dai 162 km si è scesi fino a 109 km. La metalmeccanica ha accorciato la propria catena di fornitura sul territorio da 150 km a 100 km.

Una strategia su cui si è iniziato a riflettere anche in chiave internazionale, rivedendo in chiave più corta le catena globale dei fornitori. Ma, in tutto questo quadro, facendo attenzione a una incognita di questa transizione.

 

Il rimbalzo record e le stime di crescita

Le previsioni di un ampio recupero dell’export, pur con significative differenze geografiche e, complessivamente, con una crescita sostenuta, ma non fra le più brillanti in Europa, si stanno effettivamente verificando. Il «significativo balzo» è nei dati: a Bergamo 3,9 miliardi di scambi a fine marzo 2021, in linea con gli anni precedenti, e con un secondo trimestre definito «da record».

Aniello Aliberti

Vice presidente di Confindustria Bergamo con delega alla Internazionalizzazione

Bene i numeri. «Ma è un rimbalzo congiunturale. Se si guarda un po’ più avanti nel tempo, qui finiscono le note positive – spiega Aniello Aliberti, vice presidente di Confindustria Bergamo con delega alla Internazionalizzazione -. La cautela è il sentimento più diffuso, tutto è bloccato. Gli investimenti sono fermi, le assunzioni, al netto dei profili che non si trovano, sono molto rallentate. L’attesa è per un assestamento ma che duri non meno di 4-5 mesi».

Lucia Tajoli

Responsabile scientifico dell’Osservatorio Export digitale del Politecnico di Milano

I commenti a due studi, il primo di Confindustria Bergamo strettamente declinato sul territorio, il secondo curato dagli Osservatori del Politecnico di Milano, parlano di «incertezza», di molta «cautela» sul trend che verrà. «Incognite in attesa di capire come si abbatteranno sulla quota rilevante degli scambi commerciali basate sulle catene globali del valore, le filiere internazionali della produzione – spiega Lucia Tajoli, responsabile scientifico dell’Osservatorio export digitale del Polimi -. Queste filiere hanno risentito della crisi pandemica. E le nostre imprese sono molto coinvolte nelle catene globali in diversi settori importanti, tanto che se questa partecipazione ha aumentato l’esposizione agli shock mondiali, ha fatto crescere anche la resilienza delle nostre imprese grazie alla diversificazione».

 

I dati di Bergamo confermano come questa capacità sia diventata forza di competitività. Oltre otto imprese su dieci hanno attivato più di una modalità di rapporto con l’estero, fra esportazioni, importazioni, franchising, uffici di rappresentanza, produzione, joint ventures, investitori stranieri. Lo scambio diretto è la modalità privilegiata: le esportazioni coinvolgono il 91% delle imprese, le importazioni di materiali, componenti, impianti o tecnologia sfiorano il 60%. L’86% delle aziende esportatrici si interfaccia direttamente con il cliente finale (il 60% in modalità esclusiva), solo il 14% vende esclusivamente tramite subfornitura. Ma queste catene oggi sono finite anche al centro di un importante ripensamento: i dati dell’indagine di Confindustria Bergamo hanno acceso la spia. Il 36% delle imprese ha già modificato (di queste il 7%) o sta già procedendo (il 29%) a sostituire in via temporanea o definitiva i vecchi fornitori della loro filiera.

 

Inizia la riflessione sul cambio fornitori

Aniello Aliberti, Confindustria Bergamo, al rientro da Parma dopo un incontro nazionale fra imprenditori di Confindustria: «Incertezza economica, incertezza sanitaria e incertezza sugli approvigionamenti. Sono le grandi incognite con cui stiamo facendo i conti noi imprenditori guardando al futuro, e che rendono problematica ogni programmazione. Ed è proprio questa la sensazione più diffusa: la crisi pandemica e le conseguenze sui consumi hanno ridisegnato tutti i mercati internazionali.
Un solo esempio, l’automotive, settore in cui l’export bergamasco è fortissimo, ma oggi è fermo. Non è tutto – continua Aliberti -, sta cambiando la domanda e i prodotti legati a questa produzione: se finora – spiega Aliberti - occorrevano 1.150 componenti per una vettura tradizionale, l’auto elettrica ne monta non più di 180. Molti prodotti sono spariti. Non è quindi in discussione l’internazionalizzazione in sé, ma certo cambiano il modo e il modello di fare export in questa nuova fase storica».

Cogliere meglio le nuove opportunità

La sfida è emersa chiaramente dall’indagine di Confindustria Bergamo. Ed è quindi sul tavolo. «È interessante notare come oltre alle criticità, per lo più temporanee, la pandemia ha avviato anche una riflessione fra le imprese sulla struttura e l’articolazione delle proprie filiere – spiega Aliberti -, che sono ovviamente un elemento di grande rilevanza nel ciclo del business. Una piccola fetta degli imprenditori ha già introdotto dei cambiamenti e poco meno di un terzo sta avviando o conta di avviare un ripensamento della propria rete di fornitori, seguendo una strategia di accorciamento della supply chain, forse in parte anche legata alle crescenti tensioni in termini di quantità e prezzi di materie prime e componenti, ma probabilmente anche per riposizionarsi su più alti livelli tecnologici. In ogni caso questo ripensamento è un segnale importante della vitalità e della reattività del sistema manifatturiero bergamasco».

Ripensamento della filiera in chiave tecnologica anche per essere più vicini ai clienti finali e poter sfruttare la flessibilità della tecnologia nella manifattura e iperpersonalizzare i prodotti.

 

Più tecnologia nelle filiere che saranno più corte, ma anche più capacità di cogliere al meglio le opportunità di canali come l’e-commerce e il digital marketing. Sarà decisivo portare «modifiche di adattamento alle catene globali del valore, attraverso l’adozione e l’assegnazione di un ruolo sempre più crescente alla tecnologia - spiega Tajoli -. Maggiore dovrà essere l’utilizzo delle tecnologie digitali in tutti gli scambi, inclusi quelli tradizionali e all’interno delle filiere globali: un trend che è stato accelerato».
Ma non abbastanza se oggi le strategie di internazionalizzazione legate ai canali di e-commerce B2B e B2C restano un punto dolente per due terzi delle imprese (66%): la quota oscilla tra il 40% delle grandi e il 75% delle micro a non essere né attrezzate né interessate. Le altre si stanno attrezzando (il 14%) o ha già l’e-commerce in atto (il 21%).

 

Le scelte strategiche per presidiare i mercati globali

  • Un export in difficoltà che ha rallentato molto nel 2020
    L’impatto della pandemia è stato pesante per l’export bergamasco: nel 2020 sono stati persi 1,9 miliardi. Il totale è stato di 14,4 miliardi contro i 16,3 del 2019. Una caduta superiore al dato regionale e nazionale.
  • Ma anche una forte capacità reattiva già nel 2021
    Ilrecupero è stato immediato: già dal terzo trimestre 2020 la ripresa ha consentito un riassestamento ai valori di trend, nel primo trimestre 2021 l’export è tornato a correre fino al record del secondo trimestre.
  • La varietà del presidio dei mercati esteri
    L’81% delle imprese ha almeno un tipo di rapporto con l’estero: importazioni, franchising, uffici di rappresentanza, produzione, joint ventures, investitori. Ciò dipende dalla dimensione aziendale.
  • La diversificazione dei rapporti con i mercati internazionali
    Le imprese del territorio, in media, hanno rapporti commerciali con 20 mercati internazionali, con un salto di diversificazione che separa le aziende più strutturate dalle aziende minori.
  • Il divario per quota di fatturato in base al tipo di presidio
    Il divario aumenta considerando il solo presidio diretto del primo mercato di riferimento: il valore medio è del 9,2%, ma con ampie oscillazioni in base alla classe dimensionale delle imprese.
  • I servizi più richiesti dalle imprese
    Le strategie sono concentrate sui mercati più vicini. Ma la ricerca di controparti estere e gli incontri B2B sono i servizi maggiormente richiesti dalle imprese di qualsiasi dimensione in questo post-Covid.

Internazionalizzazione: strategie e competitività

Imprese reattive sui mercati con strategie innovative e soprattutto con una modalità privilegiata: lo scambio diretto. Le esportazioni oggi infatti coinvolgono il 91% delle imprese, le importazioni di materiali, componenti, impianti o tecnologia sfiorano il 60%. L’86% delle aziende esportatrici si interfaccia direttamente con il cliente finale (il 60% come modalità esclusiva), mentre solo il 14% vende esclusivamente tramite subfornitura.
Questa prevalenza di esportatori diretti è una conferma della competitività delle imprese lombarde, e bergamasche in particolare. Un ulteriore approfondimento deriva dalla scomposizione delle strategie in base alla dimensione aziendale, che evidenzia come una scala operativa più strutturata consenta forme di internazionalizzazione più complesse.

Un secondo aspetto legato alle strategie di internazionalizzazione è quello relativo ai canali di e-commerce B2B e/o B2C. Due terzi delle imprese (66%) rispondono di non essere né attrezzate né interessate: la quota oscilla tra il 40% delle grandi e il 75% delle micro. Le restanti si dividono tra chi si sta attrezzando (il 14%) e chi ha già in essere soluzioni di e-commerce (il 21%).
Nel 2020, complice anche la pandemia, le imprese hanno concentrato gli sforzi di mantenimento del mercato nel principale Paese di riferimento: la quota di fatturato estero realizzata nel primo Paese di vendita si attesta infatti in media al 27%.
Il quadro complessivo segnala una concentrazione sui mercati europei più vicini: il principale Paese per vendite (calcolato come percentuale di imprese internazionalizzate che lo indica fra i primi cinque per importanza) è la Germania per quasi metà delle imprese rispondenti, seguito da Francia e Spagna.

 

Gli effetti della pandemia sul fatturato export

La quota di fatturato realizzato all’estero da parte delle imprese bergamasche internazionalizzate in media è del 47% nel 2020. La quota è in relazione alla dimensione aziendale, arrivando al 73% per le grandi imprese. La diminuzione rispetto al 2019 è stata contenuta (un punto percentuale, dal 48,1% al 47,2%) e la stima sul 2021 prevede, secondo l’indagine di Confindustria Bergamo, un recupero pieno del livello pre-pandemia, e «addirittura un rimbalzo di crescita per le grandi imprese». Una conferma in questo senso viene anche dal 77% delle imprese che dichiara di aver mantenuto o incrementato le quote di mercato.

Guardando i valori assoluti, oltre la metà delle imprese (55,3%) ha segnalato una diminuzione, con incidenze anche importanti, sebbene la metà (il 25% del totale) sia riuscita a contenere il calo sotto del 10%.

Aniello Aliberti

Vicepresidente Confindustria Bergamo con delega alla Internazionalizzazione

talk

Aniello Aliberti, Vicepresidente Confindustria Bergamo con delega alla Internazionalizzazione, parte dagli ultimi dati per guardare avanti, alle nuove sfide in chiave internazionalizzazione. Ma è anche consapevole che una parte della strategia seguita fin ora, va ridisegnata in coerenza con el caratteristiche delle nuovi mercati. E spiega così, in questa breve intervista, quali dovrebbero essere le mossa da mettere in campo. A cominciare da nuovi canali digitali.

Diversificare le relazioni con l’estero è un punto di forza delle imprese...

E conferma la maturità delle imprese bergamasche che per la gran parte hanno in attivo una o più modalità di rapporto con l’estero. Non a caso la vocazione all’export è una delle caratteristiche vincenti del nostro manifatturiero e si è intensificata negli ultimi anni, posizionandosi anche su livelli qualitativi più alti.

Ma non è una caratteristica di tutte le imprese, le più piccole faticano ancora...

Esiste una diretta correlazione con la dimensione: se la propensione è quasi totale per le grandi imprese, non è così per le piccolissime che spesso non sfruttano mercati potenzialmente interessanti. Una criticità che ci spinge a un ulteriore impegno in questo ambito per ampliare e diversificare i servizi di supporto offerti dalla nostra associazione.

In quale direzione andate?

Potranno essere meglio analizzate le opportunitàdei canali e-commerce, oggi ampiamente sottodimensionati, soprattutto fra le micro-imprese che per il momento non intravedono concrete opportunità in questo ambito e per alcune tipologie di prodotti.

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