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L’economia circolare è il nuovo modo di produrre

Articolo. La strada per uscire dalla crisi ambientale è un grande salto in avanti, non una fuga all’indietro, con materiali e tecnologie nuovi. Opportunità preziosa per le aziende: gli scarti generano prodotti, il design cambia

Lettura 5 min.

Lo sviluppo riparte salvando l’ambiente

L’economia circolare non è solo una questione di produrre meno rifiuti e riciclarli bene. È un ripensamento globale dell’economia. Comporta usare le materie prime in modo più efficiente, ideare, distribuire, vendere secondo un’altra concezione della creazione del valore, passando da una logica di prodotto a una di servizio. «La scommessa è questa: la strada per uscire dalla crisi ambientale non è una fuga all’indietro, ma un grande salto in avanti, con materiali e tecnologie nuovi», spiega Antonio Massarutto, docente di Economia Applicata all’Università di Udine e Research fellow del Centro di ricerca «Green» alla Bocconi.

Antonio Massarutto

Docente di Economia Applicata all’Università di Udine

Siamo di fronte a una rivoluzione culturale, prima che economica. Nel modello circolare, ogni prodotto riprende vita e rinasce in un’altra forma, in modo che il processo industriale non sia più costretto ad attingere a risorse destinate altrimenti ad esaurirsi. Il «Pacchetto economia circolare» dell’Unione Europea del 2018 introduce innovazioni fondamentali nelle politiche comunitarie in materia. Parole come «rifiuti» e «smaltimento» sono bandite, per lasciare il posto al frasario dell’economia circolare: riciclo, rinnovo, riuso, riparazione, condivisione. La nuova mentalità economica copre ogni fase del processo industriale: materiali, progettazione, commercializzazione, logistica, uso dei prodotti, fine vita.

Un’adozione sistematica dei principi dell’economia circolare può garantire una parte consistente della riduzione delle emissioni di anidride carbonica necessaria per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Più riciclo salva il pianeta. Ogni anno nella vita quotidiana consumiamo miliardi di tonnellate di risorse naturali per produrre beni di consumo. Aria, acqua, minerali, suolo, foreste non sono inesauribili. È necessario riusare materiali e oggetti per preservare le risorse naturali del pianeta dal sovrasfruttamento. Anno dopo anno, l’«Earth overshoot day», il giorno in cui l’umanità va in debito,intaccando il capitale terrestre e progredendo verso il collasso ecologico, arriva sempre più presto. Nel 2019 è stato il 29 luglio. Il cambio di rotta per salvare l’ambiente è indifferibile.

Un’adozione sistematica dei principi dell’economia circolare potrebbe garantire una riduzione consistente delle emissioni di gas a effetto serra

Le direttive europee del 2018 fissano gli obiettivi: entro il 2035 il riciclo urbano dei rifiuti deve raggiungere il 65% e il ricorso alle discariche scendere al di sotto del 10%. Sono traguardi impegnativi per l’Italia, dove ora il riciclo è a poco di più del 50% e in discarica va ancora il 25%. Nel nostro Paese, nel 2016, il Collegato ambientale ha definito disposizioni per promuovere la «green economy» e lo sviluppo sostenibile, introducendo i principi dell’economia circolare nel nostro ordinamento. La strada da percorrere è ancora lunga.

Progettare pensando al riuso. Materie prime, la vita si allunga

Il cambiamento nella fase della progettazione è un aspetto chiave per incrementare modelli produttivi circolari. È anche quello più complesso, perché incide in modo rilevante non solo sulle caratteristiche del prodotto, ma anche sui processi e sulle modalità d’uso da parte del cliente.

È importante incentivare le aziende a investire nel design, perché permette di anticipare, riducendola, la generazione di scarti. Un prodotto progettato con questa filosofia si potrà riutilizzare e recuperare più agevolmente. I progetti delle aziende in questa direzione sono molti, così come sono numerose le start-up che stanno nascendo proprio a partire da quest’idea.

Laura Maria Ferri

Ricercatrice all’Alta Scuola Impresa e Società Università Cattolica di Milano

«Esperienze interessanti esistono già nell’agroalimentare, nel chimico-tessile, nelle costruzioni, nelle materie prime», sottolinea Laura Maria Ferri, ricercatrice dell’Alta Scuola Impresa e Società dell’Università Cattolica di Milano. «La fase in atto è quella della ricerca e dello sviluppo. La strada da compiere è ancora lunga e sicuramente non facile, ma si può percorrere. È interessante da diversi punti di vista, sociale, ambientale, aziendale».

Le possibili modalità attraverso cui l’economia circolare può essere realizzata sono diverse. Una prima modalità può essere un processo attraverso cui raccogliere gli scarti di materia prima e reinserirli nella produzione: si pensi, ad esempio, a un’impresa di costruzioni che recupera quanto generato dalle fasi di lavorazione e posa e lo riutilizza per realizzazioni successive. Un’altra modalità è recuperare componenti di prodotti a fine vita per rinnovarle o rigenerarle: esempi esistono nel settore delle stampanti per ufficio, con il recupero di toner o di macchine per la stampa che sono riutilizzati – i primi – e aggiustate – le seconde – e poi reimmessi sul mercato come prodotti di seconda mano, a prezzi più bassi, ma ancora performanti.

La nuova mentalità industriale copre ogni fase della produzione: materiali, progettazione, commercializzazione, logistica, uso, fine vita

Si può parlare di economia circolare anche quando un’azienda offre servizi a supporto della riparazione del proprio prodotto, disincentivando l’acquisto di nuovi beni e la generazione di rifiuti di prodotti ancora potenzialmente utili. Forme più complesse di economia circolare riguardano il ripensamento del design dei prodotti, passando, ad esempio, a progettazioni basate sulla modularità, grazie alle quali è possibile sostituire, aggiornare, personalizzare solo alcuni moduli, riducendo gli scarti. In questa modalità è coinvolta, per esempio, la produzione di lavatrici e lavastoviglie.

Anche passare dalla vendita del prodotto alla vendita del diritto di utilizzo del prodotto può essere una soluzione, che si fonda sulla massimizzazione dell’utilizzo del bene e la riduzione della quantità di beni venduti e, al termine del ciclo di vita, dispersi nell’ambiente. Tutte queste modalità devono essere valutate attentamente dalle aziende, perché richiedono investimenti rilevanti, cambiamenti nella concezione del prodotto, sostituzioni di materiali.

I sei benefici economici e sociale dell’economia circolare

 

L’economia circolare rappresenta quello che la stella cometa ha rappresentato per i Re Magi: una bussola che segna in modo chiaro la direzione di marcia da intraprendere – e da intraprendere senza indugi – purché sua chiaro che l’obiettivo del viaggio non è lanciare un razzo per raggiungere la stella cometa medesima, ma portare dei doni a un bambino un po’ speciale.

Ecco i sei principali benefici economici e sociali dell’economia circolare, tenendo presente che all’utopico traguardo dei «rifiuti zero» non si arriverà mai.

Maggiore innovazione e progresso tecnologico
Si deve cambiare il modo di produrre, consumare, disporre dei prodotti. Ben vengano tutti i materiali, le tecnologie, i processi produttivi che possano facilitare l’avvento dell’economia circolare.

Nuove opportunità commerciali e occupazionali
Bisogna passare dall’ottica dell’acquisto di un prodotto a quella dell’acquisto di un servizio. L’economia circolare offre un ventaglio di occupazioni nell’ingegneria, nel design, negli impieghi manuali.

Risparmi nei costi dei materiali
Sono un obiettivo e una «conditio sine qua non». Si spende meno se la qualità delle materie prime di seconda vita raggiunge lo stesso livello. Si evita il rischio di subire la penuria di materie prime da Paesi in crisi.

Riduzione dell’uso delle risorse naturali
Per esempio, si allunga la vita del legno: se si rigenera, non c’è la necessità di tagliare nuovi alberi. Vale anche per le fibre tessili. L’economia circolare usa le materie prime in modo più efficiente.

Valorizzazione dei rifiuti e taglio dei loro costi di gestione
I rifiuti diminuiscono e mantengono un valore intrinseco. I costi della circolarità non devono essere sostenuti solo dal produttore, mentre i benefici vanno solo a chi ricicla. Devono essere distribuiti equamente.

Riduzione dell’inquinamento e dei gas climalteranti
Se si sostituiscono prodotti chimici pericolosi con altri prodotti, si riduce l’inquinamento. Se si limita la quantità di plastica monouso, si tagliano le emissioni di CO2 necessarie per la produzione della plastica.

Paola Migliorini

Capo unità aggiunto Economia circolare Commissione europea

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Qual è la differenza tra sviluppo sostenibile ed economia circolare?

Lo sviluppo sostenibile è un obiettivo in sé, l’economia circolare no. È un modello per arrivare allo sviluppo sostenibile. Finora l’economia circolare riguardava solo aspetti economici e ambientali. Oggi in Europa intendiamo integrare anche aspetti sociali.

L’Italia può raggiungere gli obiettivi europei?

Innanzitutto gli obiettivi sono il risultato di un compromesso. In Italia ci sono già esempi virtuosi, che hanno raggiunto l’80, 90% di riciclo, come Contarina, impresa partecipata della provincia di Treviso. Ma nel nostro Paese resiste un’ampia forbice tra le aree migliori e quelle peggiori.

Serviranno ancora termovalorizzatori?

Ci sono mille altre scelte da compiere. Un impianto costa come cinque ospedali. Nel 2035 gli obiettivi sono il 65% di riciclo e meno del 10 in discarica. Ma è un compromesso. Ci sono già realtà che li superano. Non possiamo affermare che si devono ridurre i rifiuti e investire denaro nei termovalorizzatori che, poi, sono da alimentare.

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