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La crisi climatica è irreversibile
Non c’è economia senza natura

bianca. L’avverbio «inequivocabilmente» era stato la parola chiave, nell’agosto scorso, della prima parte del nuovo rapporto sui cambiamenti climatici: il riscaldamento globale, con i connessi eventi meteorologici estremi, è provocato «inequivocabilmente» dalle emissioni umane di gas serra. La parola chiave della seconda parte del rapporto è «irreversibili»: molti impatti innescati dal riscaldamento globale di origine antropica sono «irreversibili».

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Nel Mediterraneo e nel Sud Europa preoccupa la possibilità di siccità sempre più pesanti

L’avverbio «inequivocabilmente» era stato la parola chiave, nell’agosto scorso, della prima parte del nuovo rapporto sui cambiamenti climatici: il riscaldamento globale, con i connessi eventi meteorologici estremi, è provocato «inequivocabilmente» dalle emissioni umane di gas serra. La parola chiave della seconda parte del rapporto è «irreversibili»: molti impatti innescati dal riscaldamento globale di origine antropica sono «irreversibili».

Le oltre tremila pagine del rapporto «Cambiamenti climatici 2022: impatti, adattamento e vulnerabilità», presentato il 28 febbraio, sono basate su oltre 34mila articoli scientifici, sono la seconda parte delle tre del «Sesto Rapporto di valutazione», che sarà completato entro quest’anno, sono stilate da 270 scienziati esperti del settore radunati nell’Ipcc, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, e sono state approvate dai 195 Paesi dell’Onu. Gli scienziati dell’Ipcc dimostrano come il riscaldamento globale di 1,1 gradi, raggiunto a causa delle emissioni di gas serra, abbia già sconvolto gli equilibri naturali e sia già critico per «uno sviluppo resiliente al clima» e contenere i disastri.

In pericolo un futuro vivibile

La «Sintesi per i decisori politici» di una trentina di pagine elenca i rischi per l’umanità, le aree del mondo in cui possono incidere maggiormente, i necessari interventi di «adattamento», indicando che «è urgente un’azione ambiziosa e accelerata per adattarsi ai cambiamenti climatici, con più fondi, riducendo nel contempo in modo rapido e profondo le emissioni di gas serra». «Qualsiasi ulteriore ritardo farà perdere una finestra di tempo, che è breve e si chiude rapidamente» e con essa «un futuro vivibile».

Guerra, pandemia, crisi climatica

La pubblicazione del nuovo rapporto dell’Ipcc è avvenuta in un momento in cui l’attenzione è tutta rivolta alla guerra in Ucraina. L’angoscia di fronte al conflitto bellico, alla sua possibile espansione, al suo eventuale e catastrofico esito nucleare segue la tragedia mondiale della pandemia, che non è affatto esaurita. Il nuovo allarme sulla crisi climatica è, in realtà, una notizia più grave, anche se, per l’ennesima volta, sottovalutata dalla politica e dai mezzi di comunicazione. La guerra, anche se devastante, può essere fermata. La pandemia può essere arginata grazie ai vaccini. La crisi climatica è come un male incurabile che procede in modo progressivo e inesorabile. È un problema che non solo non ha confini, ma non può essere affrontato in modo settoriale. Gli scienziati, infatti, guardano alla Terra come a un’unica entità e lanciano il messaggio che solo la cooperazione riuscirà a risolvere i problemi globali. La visione è quella di un’umanità fraterna, che non agisce a scapito degli altri ma in modo interconnesso.

Serve uno sviluppo resiliente al clima

«Per la prima volta il rapporto – osserva Antonello Pasini, fisico e climatologo del Cnr – mette in relazione il sistema geofisico e l’uomo mostrando una dinamica di interazione che abbraccia anche la sfera sociale. Il dominio inanimato, gli oceani, le terre, l’atmosfera, quello animato, gli ecosistemi e gli organismi, noi siamo nodi della stessa rete. Nessuna soluzione è possibile se queste tre componenti non sono prese in considerazione insieme». Il rapporto spinge ad attuare uno «sviluppo resiliente al clima», che integri mitigazione delle emissioni e adattamento ai cambiamenti, e risulti un miglioramento del benessere umano e naturale, un concetto che ricorda strettamente quello di ecologia integrale di Papa Francesco. Tutto ciò si può ottenere solo lavorando insieme, con la cooperazione e il dialogo, mettendo insieme politici, portatori di interesse e semplici cittadini: solo così si possono ridurre insieme i rischi fisico, ecosistemico e umano, tenendo in conto i concetti di giustizia, equità, sviluppo sostenibile.

I rischi maggiori per l’Europa

Il rapporto si sofferma sulle peculiarità delle singole aree del pianeta. Per l’Europa i rischi maggiori vengono da ondate di calore su popolazioni ed ecosistemi; scarsità di risorse idriche; conseguenze per la produzione agricola; maggiore frequenza e intensità di inondazioni. Nel Mediterraneo e nel Sud Europa preoccupano l’innalzamento futuro del livello del mare e la possibilità di siccità sempre più pesanti. Negli scenari peggiori si potrebbero raggiungere i limiti di adattabilità. Si aggiungono i rischi che si ripercuotono sulle nostre zone per quanto avviene altrove, in particolare per le migrazioni da aree come il Sahel, sempre meno abitabili proprio a causa della crisi climatica antropica.

Scetticismo sulle soluzioni tecnologiche

Nel sommario per i politici, il capitolo sulle possibili soluzioni prova a mettere qualche punto fermo. L’Ipcc mette in guardia dall’eccessivo affidamento sulla tecnologia per risolvere la crisi climatica. La cattura diretta di anidride carbonica dall’aria, sostiene il rapporto, può avere effetti controproducenti. La ricetta è uno «sviluppo climaticamente resiliente», che passi dal ripensare le città per adeguarle al calore, al rischio di alluvioni e alla disponibilità idrica, dal ridurre le emissioni, dal garantire la vivibilità nelle aree più compromesse, da azioni che privilegino la giustizia affrontando le diseguaglianze.

Punto di non ritorno oltre 1,5°C

L’Ipcc ribadisce che l’incremento delle temperature atmosferiche di 1,5°C segna il punto di non ritorno, particolarmente per la sicurezza idrica e per l’agricoltura, che diventerà impossibile in molte regioni della Terra con 2°C di aumento, anche in Europa e nel Mediterraneo. La regione mediterranea si è riscaldata e continuerà a riscaldarsi maggiormente della media globale, particolarmente in estate. Questo vale sia per l’ambiente terrestre che per quello marino, sia per le temperature medie che per le ondate di calore. E il Mediterraneo diventerà più arido per l’effetto combinato della diminuzione della precipitazione e dell’aumento dell’evapotraspirazione. Allo stesso tempo in alcune aree le alluvioni improvvise aumenteranno. Il livello del mare aumenterà in modo irreversibile e progressivo su scala plurisecolare. I modelli climatici, criticati dagli scettici per essere troppo negativi, si sono dimostrati, in realtà, ben al di sotto della realtà, che prevede, con 1,8°C in più, circa la metà della popolazione umana esposta a condizioni potenzialmente letali di calore e umidità.

Nessuna economia senza natura

Lo scenario è paragonabile alle conseguenze di un conflitto nucleare, con la differenza che non sarà evitabile all’ultimo istante. Il rapporto mette in guardia sulle conseguenze del non fare nulla e soprattutto urla al mondo che non ci sarà nessuna economia se non si salvaguarderà e rafforzerà la natura. Ma purtroppo, mentre il pianeta brucia, gli uomini pensano a farsi la guerra.

L’Italia più esposta, ma in ritardo

L’Italia è in ritardo. Sono passati quattro anni dall’elaborazione del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, ancora in attesa di approvazione della Valutazione ambientale strategica, nonostante la nostra penisola sia esposta a un rischio climatico elevato, caratterizzato da possibili inondazioni e ondate di calore più frequenti. Già ora in Italia le perdite economiche dovute alla siccità sono di circa 1,3 miliardi di euro.

«Forse solo un bollettino dei morti quotidiani per il clima, come è stato per il Covid, ci spronerà a passare all’azione», osserva Riccardo Valentini, docente di Ecologia forestale, scienziato autore dei precedenti rapporti Ipcc.

Quelli che Naomi Oreskes chiama i «Mercanti di dubbi» troppo a lungo hanno diffuso informazioni false, per ostacolare la transizione energetica ed ecologica e impedire il cambiamento che, se compiuto quarant’anni fa, quando tutto era già chiaro, ci avrebbe evitato le conseguenze più traumatiche.

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