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La guerra rende ancora più necessaria e urgente la transizione ecologica

bianca. La transizione ecologica è l’ultima occasione per mitigare la crisi climatica e ambientale, determinata inequivocabilmente, come gli scienziati dell’Ipcc dimostrano, dalle emissioni di gas serra, di cui tre quarti provengono dalla produzione e dal consumo di energia, e per cambiare il modello economico stesso e renderlo sostenibile. «Non può esistere una crescita economica infinita su un pianeta finito», ammoniva il Club di Roma già nel 1972.

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La transizione ecologica è l’ultima occasione per mitigare la crisi climatica e ambientale

La transizione ecologica è l’ultima occasione per mitigare la crisi climatica e ambientale, determinata inequivocabilmente, come gli scienziati dell’Ipcc dimostrano, dalle emissioni di gas serra, di cui tre quarti provengono dalla produzione e dal consumo di energia, e per cambiare il modello economico stesso e renderlo sostenibile. «Non può esistere una crescita economica infinita su un pianeta finito», ammoniva il Club di Roma già nel 1972.

Transizione ecologica, non verniciata di verde

La transizione ecologica non è una verniciata di verde per continuare con il «business as usual», «gli affari come al solito», ma è un cambiamento del modello economico. La transizione energetica, in particolare, si fonda sulle rinnovabili, che sono un beneficio per l’ambiente, sono convenienti, mai come in questo momento, sono democratiche, perché superano lo schema novecentesco che lega alle grandi centrali di produzione collegate alle reti che conducono l’energia. Le rinnovabili rivelano anche un valore strategico rispetto alle grandi centrali, che sono tra i primi obiettivi in caso di conflitto.

Ma la sfida resta aperta ad esiti diversi

La transizione ecologica, d’altra parte, resta una sfida aperta ad esiti diversi. Lo era già prima della guerra: verniciata di verde o cambiamento autentico. Ancora più ora. I tremendi scenari bellici rendono ancora più necessaria e urgente l’agenda della transizione ecologica. La guerra, mostrando la necessità e l’urgenza di ridurre la dipendenza dal gas russo, getta luce sulla più ampia fragilità dovuta alle importazioni di fonti fossili. La dipendenza dall’estero espone alla volatilità dei prezzi, agli shock delle forniture, a una guerra, come quella in atto, alimentata dagli stessi nostri soldi pagati per il gas.

C’è chi conferma la necessità e l’urgenza di continuare sulla via del cambiamento, intrapresa grazie alla crescente consapevolezza diffusa dai movimenti giovanili, recepita dall’Unione Europea, con il Green Deal, il Next Generation Eu, il vincolo di destinazione a misure per il clima del 37 per cento dei fondi del Pnrr, obiettivi per cambiare, anche se in modo graduale, il modo di produzione e di consumo di energia.

Oggi la motivazione geopolitica si aggiunge alle prime motivazioni della transizione ecologica: abbandonare gas e petrolio non solo serve a tagliare le emissioni e a limitare i danni progressivamente devastanti del riscaldamento globale, ma anche a renderci indipendenti da regimi non democratici e a contrastare la povertà energetica. Il commissario europeo per gli affari economici e monetari, l’italiano Paolo Gentiloni, ha dichiarato: «Proteggere i più deboli non significa rallentare gli investimenti sulle energie rinnovabili. Se perdessimo di vista la strada del Green Deal da qui al 2030, commetteremmo un delitto nei confronti delle future generazioni». Elettricità Futura, l’associazione delle imprese che operano nel settore elettrico italiano, ha annunciato di essere in grado di mettere in campo 60 GW in tre anni a un prezzo inferiore rispetto a quello dei combustibili fossili.

Il rischio: trascurare la riduzione delle fonti fossili

Esiste il rischio, d’altra parte, che non solo la transizione si fermi, ma che si torni indietro. Il segretario dell’Onu, Antonio Guterres, teme che i Paesi possano concentrarsi sulla carenza di combustibili fossili, così da trascurare le politiche necessarie e urgenti per ridurli. C’è chi, dal mondo della vecchia economia fossile, può mirare a sfruttare il conflitto in atto per rinviare il proprio declino, dopo avere già contribuito a ritardare per decenni la necessaria e urgente transizione, imbrogliando le carte e negando l’esistenza stessa della crisi climatica o la sua origine antropica. Già l’inserimento del gas nella tassonomia energetica dell’Unione Europea, anche se non a lungo temine, era stato un segnale di rallentamento. Ora si levano le voci di chi chiede di rivedere il «Fit for 55» della Commissione Europea, il piano che prevede il taglio del 55 per cento delle emissioni nel 2030 rispetto al 1990 ed emissioni nette zero nel 2050. E in Italia di rivedere il Pnrr. Un paradosso. La crisi climatica e la crisi energetica sono causate dalla dipendenza dalle fonti fossili. Non si può risolvere un problema con gli stessi strumenti che lo hanno generato, come insegna Einstein. La regola si applica perfettamente alla situazione attuale.

Proposte per la povertà energetica

L’Rse è la società di ricerca sul sistema energetico controllata dal Gse, la società di gestione dei servizi energetici italiani interamente partecipata dal ministero dell’Economia e delle Finanze, alla quale è attribuito l’incarico di promozione e sviluppo delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica. Esperti dell’Rse denunciano i limiti dell’approccio alla povertà energetica basato sui bonus e propongono da un lato detrazioni fiscali incrementate sulla base del reddito e della tipologia di abitazione, dall’altro requisiti minimi per poter affittare un appartamento, con l’obiettivo di sollecitare maggiormente i proprietari di edifici obsoleti.

La povertà energetica, negli ultimi anni, ha assunto una dimensione rilevante anche nell’Unione Europea, che ha inserito misure adeguate nel pacchetto «Energia pulita per tutti gli europei». Un indicatore di povertà energetica è un’elevata incidenza della spesa energetica sul reddito complessivo del nucleo familiare. I cittadini che non sono stati in grado di acquistare i beni energetici minimi necessari al proprio benessere, secondo l’Osservatorio della Commissione Europea, sono stati 54 milioni. L’Italia è tra i Paesi europei dove le famiglie hanno più difficoltà a pagare le bollette di luce e gas: il 14,6% delle famiglie non riesce a mantenere la propria casa riscaldata in modo adeguato, secondo i dati del 2018, ben prima degli enormi rincari degli ultimi mesi. Il contrasto alla povertà energetica è presente negli obiettivi 1, 7 e 11 dell’Agenda 2030 dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, che impegna ad «assicurare a tutti l’accesso a sistemi di energia economici, affidabili, sostenibili e moderni».

La novità delle comunità energetiche rinnovabili

In Italia oggi i consumatori di energia elettrica possono associarsi per produrre localmente, tramite fonti rinnovabili, l’energia elettrica necessaria al proprio fabbisogno e condividerla. L’energia elettrica condivisa beneficia di un contributo economico riconosciuto dal Gse. Le comunità energetiche rinnovabili sono una delle soluzioni per contrastare la povertà energetica, consentendo di monitorare e rendere più efficienti i consumi energetici delle famiglie, riducendone la spesa.

Cambiamenti del sistema, non solo individuali

Lo studioso americano Michael Mann, in «La nuova guerra del clima», avverte che l’enfasi sulla responsabilità individuale, gli appelli, legittimi, a ridurre i consumi e a evitare gli sprechi sono stati trasformati in una potentissima arma di distrazione di massa, capace di distogliere l’attenzione dai combustibili fossili, su cui grava la maggiore responsabilità del riscaldamento globale. L’efficienza e la riduzione dei consumi sono fondamentali per la transizione energetica, ma devono coinvolgere tutto il sistema di produzione e di consumo dell’energia e non basarsi sulla responsabilità individuale, distogliendo l’attenzione dalla necessità e dall’urgenza di passare alle fonti rinnovabili.

L’Italia ha recepito solo nel 2020 le direttive europee sull’efficienza energetica e la prestazione energetica nell’edilizia. Il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, il Pniec, del 2019 deve essere ancora adeguato ai nuovi obiettivi europei più ambiziosi del «Fit for 55».

Dieci proposte per liberare l’Italia dai fossili

Greenpeace Italia, Legambiente e Wwf Italia hanno steso un decalogo di dieci proposte per il governo, nel tentativo di affrontare in modo strutturale la dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento del gas. Ecco l’elenco delle 10 proposte.

1) Aggiornare entro giugno 2022 il Pniec, valutando l’obiettivo della produzione del 100% di energia elettrica da fonti rinnovabili entro il 2035.

2) Fissare entro aprile 2022 un tetto ai profitti delle aziende che estraggono e trasportano gas fossile o petrolio.

3) Autorizzare, entro marzo 2023, nuovi impianti a fonti rinnovabili per 90 GW di nuova potenza installata, pari alla metà dei 180 GW in attesa di autorizzazione, da realizzare entro fine 2026. Sarà necessario, inoltre, accompagnare questo sviluppo con quelli degli accumuli e della rete, che deve essere potenziata per poter ricevere e scambiare i flussi energetici.

4) Attivare entro giugno 2022 il dibattito pubblico sugli impianti a fonti rinnovabili al di sopra dei 10 MW di potenza installata.

5) Sviluppare la produzione di biometano da frazione organica dei rifiuti solidi urbani, scarti agricoli, fanghi di depurazione e reflui zootecnici, programmando parallelamente una riduzione dei capi allevati e senza entrare in competizione con l’uso di terreni per la produzione di cibo.

6) Escludere entro aprile 2022 l’autorizzazione paesaggistica per il fotovoltaico integrato sui tetti degli edifici non vincolati dei centri storici.

7) Rivedere entro dicembre 2022 i bonus edilizi, cancellando gli incentivi per la sostituzione delle caldaie a gas.

8) Anticipare al 2023 l’eliminazione dell’uso delle caldaie a gas nei nuovi edifici.

9) Istituire entro giugno 2022 un fondo di garanzia per la costituzione delle comunità energetiche.

10) Attivare entro maggio 2022 una strategia per efficienza e innovazione nei cicli produttivi e sulla mobilità sostenibile.

L’attivismo dei giovani induca a cambiare rotta

L’attivismo è fondamentale. I movimenti giovanili hanno costretto i governi a fare i conti con la realtà della crisi climatica davanti ai nostri occhi: dalla siccità alle alluvioni. Non saranno compiuti sforzi significativi, se non ci saranno pressioni dal basso.

Noam Chomsky, in un’intervista a Telmo Pievani, ha denunciato: i media americani hanno concesso al viaggio spaziale di Jeff Bezos, definito da Chomsky «uno spreco disgustoso», la stessa copertura in un giorno data al riscaldamento globale in un anno. E i ricchissimi dei Paesi più ricchi sono i maggiori responsabili delle emissioni.

In Francia una manifestazione con 80mila persone, di cui 32mila solo a Parigi, ha denunciato che nei dibattiti per le elezioni del prossimo presidente della Repubblica la crisi climatica non è considerata. Solo l’1,5 per cento degli argomenti, scelti dai mezzi d’informazione tra il 28 febbraio e il 6 marzo per coprire il tema delle elezioni, aveva al centro il clima. Un quadro simile a quello che portò Greta Thunberg a scioperare da scuola nell’ormai lontano agosto di quattro anni fa, quando iniziò la protesta davanti al parlamento svedese, alla vigilia delle elezioni politiche, per chiedere ai politici del proprio Paese più azione contro la crisi climatica.

La manifestazione dei Fridays for Future, in programma il 25 marzo a tre anni dalla prima grande manifestazione, non è solo uno sciopero per il clima ma anche uno sciopero contro la guerra, perché le connessioni tra guerra e crisi climatica sono molteplici. Solo una mobilitazione globale e imponente dei giovani può indurre il mondo a cambiare rotta.

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