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Miami, Florida, Usa: le nuove porte d’ingresso per l’export del made in Italy

Articolo. Crescono fermento e interesse delle imprese nazionali in vista della prossima edizione di ottobre di Fitce 2023:il salone evento internazionale per i prodotti e le creazioni italiani, e fiera strategica per impostare nuove relazioni e partnership commerciali con il sistema aziende degli Stati Uniti

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Nuove opportunità per l’export italiano

Saranno gli Usa, primo partner commerciale dell’Italia fuori dall’Europa e il secondo in assoluto dopo la Germania, il motore-leva per accelerare la crescita e lo sviluppo dell’industria italiana. E per molti prodotti, visti i rallentamenti di Germania e Francia, sarà anche la via per compensare oltreoceano la penalizzazione in Europa degli scambi commerciali. Ma il mercato americano è oggi fattore nevralgico, e lo sarà sempre più, per rafforzare la competitività anche delle piccole medie imprese della manifattura: prodotti digitali, beni ambientali, articoli green, tecnologie della sostenibilità sono i nuovi ingredienti del commercio internazionale, driver di crescita dei prossimi anni. Gli investimenti in transizione sostenibile, come certificano i nuovi flussi, sono la nuova leva per trarre profitti dai cambiamenti in atto. Il Rapporto Export 2023 stima una bilancia commerciale che a fine anno si fermerà ai 660 miliardi con un +6,8% e che proseguirà nel 2024 a un +4,6% e del +3,8% medio annuo nel biennio successivo.

Gli ultimi dati pubblicato da uno studio dell’ambasciata d’Italia Washington affidato all’Università di Brescia, sull’impatto degli investimenti italiani negli Usa rafforza il legame fra Italia e Stati Uniti: il valore dell’impatto generato da investimenti italiani in Usa è superiore alle rilevazioni delle statistiche ufficiali. Secondo i dati emersi, infatti, l’Italia è il settimo Paese europeo per numero di dipendenti in imprese americane controllate. Negli Stati Uniti sono attivi 1.826 investitori italiani che hanno quote di partecipazione in 3.519 imprese negli Usa - di cui 3.187 partecipazioni di controllo -, sostengono circa 260.000 posti di lavoro e fatturano 143,7 miliardi di dollari.

L’export fai-da-te oggi è insufficiente se non si conoscono dinamiche e tendenze del mercato

Più nel dettaglio, la fotografia rivela quanto sia profondo il peso e il rapporto commerciale Italia-Usa: oggi sono 1.451 imprese italiane che hanno una sola filiale o joint venture negli Usa, mentre 375 hanno più partecipazioni. La maggioranza delle aziende opera nell’industria manifatturiera (522 partecipate di cui 479 con partecipazione di controllo): il 22,8% nella meccanica strumentale, seguito dalla metallurgia, computer e prodotti elettronici, industria alimentare e delle bevande, settore automotive, difesa, commercio all’ingrosso e al dettaglio, e ristorazione. Le imprese a partecipazione italiana con almeno 100 dipendenti si trovano principalmente nella costa Est. Oltre tre quarti degli investitori italiani provengono da Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte. Da queste regioni provengono gli investitori italiani per oltre i due terzi delle imprese partecipate e il 90% circa di dipendenti e fatturato.

Una crescita sempre più importante

Ultimo scatto di questo presentazione: l’Italia vanta uno stock di investimenti negli Usa superiore a quello americano in Italia. Secondo i dati dello US Department of Commerce, l’interscambio commerciale bilaterale di beni e servizi ha raggiunto nel 2022 la cifra record di 117,3 miliardi di dollari, con una crescita del 23,5% rispetto al 2021. Le esportazioni italiane negli Stati Uniti hanno raggiunto 80,5 miliardi. Gli Usa generano oltre il 50% del surplus commerciale netto dell’Italia nel mondo. E il trend cresce ancora, nel primo trimestre 2023, l’interscambio di beni cresce dell’11,4% con un export italiano che a fine marzo 2023 ha superato la cifra di 17 miliardi, con un aumento del 12,9%.
Rapporti, scambi e cifre che non fanno altro che rafforzare l’impronta del sistema Italia negli Stati Uniti come forte, dinamica e destinata a crescere, in particolare nell’attuale scenario globale in cui è fondamentale rafforzare i legami, anche economici, tra Paesi che condividono valori e visione per il futuro.Italia quindi sempre più partner affidabile per gli Usa.

Affidarsi a un advisor presente da anni sul mercato degli Stati Uniti evita di disperdere budget, tempo e persone senza generare risultati e profitti

Le piccole e medie imprese della manifattura sono chiamate a investire e a strutturarsi meglio per cogliere la nuova opportunità. Sapendo che la reale occasione di crescita oggi è Oltreoceano, negli Usa, passando da Miami e dalla Florida del sud: sono i nuovi tech-hub di attrattività (insieme a Austin in Texas) per startup e imprese ad alto contenuto tecnologico e alimentate da costanti e nuovi finanziamenti. Miami oggi è già considerata la nuova capitale dell’innovazione.
La Silicon Valley resta al primo posto, ma il livello di investimenti di venture capital (ormai il più basso dal 2012) sta fortemente vacillando. L’ondata di licenziamenti delle big tech e la fuga di oltre 250mila persone hanno determinato il resto.La Florida non solo sta attraendo profili e competenze di alta professionalità (dopo i 490mila nuovi posti lavoro creati rispetto al periodo pre-Covid, le previsioni sulla fine del 2023 indicano che ci saranno altri 260mila occupati in più, un Pil che cresce al tasso del 4% annuo, pari a quello della Spagna e ormai prossimo all’Italia), favorendo lo spostamento a Est di competenze, conoscenze e di molta nuova ricchezza. Ma la Florida è ormai anche il primo mercato negli Stati Uniti per capitale raccolto e investimenti di venture capital: negli ultimi tre anni sono aumentati del 278% a 5,4 miliardi di dollari nel 2022, l’81% in più del volume di accordi.

 

Questo il perimetro di partenza. Dentro al quale si spiega non solo il fermento intorno al prossimo e più grande salone internazionale e tecnologico d’autunno, ma fa intuire quanto ci si stia già muovendo per presidiare quella che è riconosciuta come la porta principale d’ingresso sul mercato Usa per l’intero sistema del made in Italy. Il salone Fitce 2023 è diventata dentro a queste trasformazioni economiche e commerciali l’expo e la conferenza internazionale (Florida International Trade and Cultural Expo) più attesa dalle piccole e medie imprese. Aprirà la sua ottava edizione i prossimi 4-5 ottobre a Miami. Il salone Fitce sarà così anche il primo vero appuntamento per impostare le nuove strategie di entrata e di crescita negli Usa, per sviluppare nuovi business, rafforzare i legami economici e stringere nuove partnership commerciali negli Stati Uniti attraverso la Florida. Tenendo conto che ogni azienda ha un proprio prodotto e uno specifico posizionamento di mercato.

Una nuova proposta oltre il made in italy

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Antonio Acunzo

Co-founder e Ceo di Mtw Group Usa

L’Expo Fitce, dopo sette anni, è diventata la più importante occasione di networking per imprese di ogni settore industriale e di tutto il mondo che vogliono internazionalizzarsi: presenti 60 Paesi, oltre duemila visitatori, 250 espositori e oltre 100 relatori su temi di international trade e affari internazionali, Fitce 2023 sarà così la prima vetrina sulle trasformazioni che stanno riorientando l’export del made in Italy. «Ci sono sempre più opportunità, ma molti cambiamenti in atto – spiega Antonio Acunzo, Co-founder e Ceo di Mtw Group Usa, sede a Miami, da oltre vent’anni negli Usa per accompagnare Pmi e impostare strategie di market entry sul mercato americano. Acunzo anche quest’anno è confermato ambassador di Fitce e country chair per l’Italia -. Pensare che il made in Italy, pur importante, sia l’unico elemento distintivo non basta più. Gli Usa sono un mercato altamente dinamico e competitivo. I prodotti italiani si confrontano con articoli simili di imprese Usa e di altri paesi. Fattore strategico - spiega Acunzo - diventa la potenzialità di generare nuove domande di beni e servizi».

 

Il valore aggiunto della comunicazione

Questo significa ottimizzare al meglio strategia e presenza in Fitce 2023. A cominciare dalla comunicazione d’impresa. Per questo Mtw Group ha stretto una stretta partnership operativa con l’agenzia di Bergamo «Moma Comunicazione», specializzata nelle relazioni e nei rapporti B2B e B2C e impegnata a massimizzare i contatti e il valore di brand e di prodotti con strategie di marketing e comunicazione digitale rivolta, in questo caso, al mercato di sbocco Usa.

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Massimiliano D’Aurelio

Co-founder e managing director di Mtw Group Usa

«Come esperti advisor di international business – spiega Massimiliano D’Aurelio, co-founder e managing director di Mtw Group Usa – abbiamo predisposto due modalità di partecipazione: una attiva con un desk strumentale a presentare in via preferenziale le aziende del made in Italy nel mercato Usa. E, seconda, la preparazione di una directory che evidenzi le unique selling proposition di aziende selezionate in settori come il design e arredo, il sistema casa, il green tech e la meccanica di precisione, ma anche le eccellenze nelle energie rinnovabili e nel settore dell’eno-food. Qui si trovano le particolarità che rendono ogni prodotto unico e capace di rispondere come soluzione a una nuova necessità». Guardare al mercato Usa, la maggior economia al mondo, dalla Florida non è solo strategico, ma facilita la crescita d’impresa. L’investimento di M&A, mergers & acquisitions, è insieme a joint venture e investimenti diretti, una delle tre forme di ingresso nel mercato Usa per una impresa che vuole internazionalizzarsi. Ma svolgendo un piano strutturato di market-entry.

Export: i primi sei errori che una Pmi deve evitare

Spesso si fraintende, in termini di facilità o di percorsi precostituiti e solo da replicare, quando si parla di programma di conquista di un mercato. E in particolare quando si prende di “mira” il più importante mercato di sbocco al mondo, quello americano. Sul market entry negli Usa esiste una copiosa letteratura del marketing che elenca i diversi modi per avere “successo”. «Ma spesso si dimenticano i dettagli più importanti, a cominciare dal fatto che le aziende non sono proprio tutte uguali e, per dirla all’americana - spiega Acunzo - “one size fits all”, una soluzione che possa andare bene per tutto e per tutti è una regola da adottare con molta prudenza e attenzione».
Perché il mondo è cambiato, le strategie di espansione commerciale sono a misura e personalizzate per gli obiettivi specifici dell’impresa. «Ma soprattutto perché ogni impresa ha la sua storia come elemento di valore - sottolinea D’Aurelio -, ha un proprio prodotto, oggi perfino un processo produttivo da portare e comunicare come valore, e di riflesso uno specifico posizionamento di mercato con relativa strategia e attività di business development».

 

Da qui uno dei primi errori che spesso si riscontrano nelle strategie di market entry: il fai-da-te. Moltissime imprese sono ancora restie ad avvalersi di un advisor sul mercato di cui invece ignorando, proprio per i forti cambiamenti legati in particolare all’ultima fase della globalizzazione, di conoscere le dinamiche e le tendenze. «Alla fine il risultato che noi riscontriamo - spiega Acunzo - , è invece un notevole dispendio di risorse in termini di personale, budget, tempo».
Ecco quindi di seguito alcuni comportamenti che potrebbero aiutare, se evitati, a impostare correttamente e in modo efficace una strategia di approccio aziendale al mercato degli Stati Uniti.

1 - Il «Made in Italy» vale molto, ma forse non è tutto

Pensare che il Made in Italy sia l’unico elemento distintivo è insufficiente. Da solo non basta. In assenza di almeno un elemento distintivo, innovativo del prodotto e di quella unique selling proposition che risponda come soluzione di una nuova necessità, è un fattore determinante. Soprattutto quando la stessa tipologia di prodotto si confronta con prodotti simili di imprese sia americane sia di altri paesi. Per esempio, quante aziende preparano una reale analisi swot per evidenziare punti di forza e di debolezza prima di sbarcare su un nuovo mercato?

2 - Mai affidare a un solo distributore tutto il piano export

Aspettare che un distributore gestisca l’intero piano di export. Il mercato americano è altamente dinamico, competitivo e complesso ed è anacronistico pensare che un distributore si faccia carico della pianificazione e del budget di marketing per promuovere un prodotto quando, per contro, il distributore è interessato principalmente a capire quanto il nuovo prodotto contribuirà all’ampiamento del suo portfolio e quanto possa generare un potenziale incremento in termini di visibilità e di profitto.

 

3 - L’immagine professionale determina la fiducia dei partner

Non presentarsi in maniera professionale è un errore pesante. «You never get a second chance to make a first impression» (Non hai mai una seconda possibilità per fare una prima impressione) recita un famoso detto dell’attore e giornalista Will Roger, in tema di presentazioni. Quante aziende e quanti manager continuano a scrivere da improbabili e-mail non aziendali? E quanti ancora inviano senza introduzione cataloghi (anche voluminosi in termini di peso pdf che di volume se spediti ma non richiesti).

4 - L’immagine e la comunicazione sono elementi centrali

Non avere un’immagine aziendale coordinata per il mercato Usa è un errore. L’immagine è importante. Il sito web è il primo e spesso unico biglietto da visita dell’azienda, ma molti siti di imprese che aspirano a esportare in Usa comunicano con una macaronica lingua inglese tradotta con app online, sono lenti, hanno immagini di prodotto pesanti e schede tecniche prive di specifiche, quasi mai aggiornati. Il sito web non è mai secondario, ma è uno strumento di business. Anzi, la digitalizzazione è oggi uno degli strumenti di crescita.

 

5 - I propri competitors vanno conosciuti e studiati

È essenziale conoscere i reali competitors. Per entrare nel mercato Usa occorre conoscere la propria industria con analisi di market competitive intelligence che illustri chi sono i reali competitors, come operano, con quale politica di prezzo, con quali attività di marketing e di comunicazione e in quali canali di business. Ancora oggi piccoli produttori considerano come concorrenti diretti i grandi brand di settore senza pensare che le dimensioni, in assenza di budget e di visione strategica, non si compete negli stessi canali.

6 - Partecipare a fiere funziona, ma deve essere preparata

Partecipare a fiere in Usa senza preparazione significa sprecare opportunità e denaro. L’investimento per partecipare a un trade show può rappresentare una significativa, a volte unica, percentuale del budget di marketing. Ma troppe imprese, piccole e medie, sprecano questa opportunità pensandola solo come a uno stand. Il concetto di fiera si è evoluto. Ci anche vuole promozione, networking, pubbliche relazioni. E soprattutto condividendo contenuti, partecipando come speaker a panel, creando momenti di get-together. Essere attivi per essere interessanti.

 

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La fiducia è un elemento base

Una strategia commerciale è tanto più efficace quanto più riesce a coprire dimensioni e aspetti differenti dell’iniziativa messa in atto per sbarcare su un mercato nuovo. E i fattori da considerare sono diversi, ma con l’unico obiettivo di potenziare il piano di market-entry. Uno di questi pilastri è il rafforzamento delle relazioni con il buyer, con il partner o con gli stessi clienti americani. Ne deriva una maggiore e reciproca e maggiore fiducia del rapporto commerciale, e fra questi elementi l’incorporare una società negli Usa diventa una leva che contribuisce ad aumentare la qualità percepita dalla controparte americana come la volontà dell’azienda italiana di operare seriamente e in maniera strutturata nel mercato Usa. Antonio Acunzo, co-founder e Ceo di MTW Group Usa, è convinto che avere una società sia anche «un eviudente vantaggio competitivo».

Perché è importante essere presenti anche con una propria società negli Usa?

È innanzitutto un investimento che dimostra a buyers e partner americani la volontà di operare in maniera seria e strutturata su mercato Usa, accresce quindi la loro fiducia. È una forma che senza dubbio potenzia il piano di market entry e accresce il livello relazionale migliorando la qualità del rapporto commerciale percepito dalle controparti americane.

Qual è il vantaggio competitivo sul merato?

Per Pmi, mid-market e per startup il vantaggio competitivo è tutto nella presenza diretta di una propria sede a Miami, posizione strategica non solo per il mercato Usa, ma per agire da trading company o da regional headquarters nella gestione del business nei diversi mercati come il Latin America e tutta l’area caraibica.

Quali i costi fiscali e la tempistica burocratica?

La Florida non prevede tassazione sul reddito personale, e per le imprese la state tax è il 5,5%. A differenza poi delle complessità italiane, per aprire una società negli Usa è veloce, basta solo un giorno e ha un costo decisamente molto meno oneroso di quanto si possa pensare. Altrettanto veloce è la richiesta del tax ID e, quindi subito dopo, è già possibile aprire un conto corrente aziendale in una banca americana con il quale gestire l’operatività delle transazioni generate nel mercato Usa. Dal nostro osservatorio abbiamo sempre verificato che le aziende che registrano correttamente una entità legale negli Usa ottengono anche una migliore performance nel time-to-market e nello sviluppo dei volume del proprio business.
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