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Particelle di plastica
dei processi produttivi
fuori da mari e oceani

Articolo. A Bergamo non c’è il mare, ma il Covid-19 ci ha ricordato che viviamo in un mondo profondamente interconnesso, dove ogni luogo è vicino e tutto, anche la salute degli oceani, ci riguarda. Per questo motivo è anche affare nostro l’obiettivo n. 14, conservazione e uso sostenibile degli oceani, dei mari e delle risorse marine, dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

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Gli oceani coprono oltre il 70% della superficie terrestre

Gli oceani coprono oltre il 70% della superficie terrestre, contengono il 97% dell’acqua e rappresentano una risorsa fondamentale per il pianeta. La vita di oltre tre miliardi di persone dipende dal mare, ma il 40% degli oceani è provato dalla pesca eccessiva, l’“overfishing”, da pratiche di pesca antiquate e da una cattiva gestione dei rifiuti. La riduzione dell’acidificazione delle acque, cresciuta del 26% rispetto ai tempi pre-industriali, la pesca sostenibile e rispettosa, gli accordi internazionali per il contrasto a quella illegale, il sostegno a pratiche di piccola scala e alle comunità isolane sono gli obiettivi dell’Agenda, insieme all’aumento delle aree protette – nel 2018 coprivano 24 milioni di km2 – e alla lotta all’inquinamento, in particolare quello causato dalle attività sulla terraferma, da cui provengono le sostanze che causano l’eutrofizzazione.

Il 90% dei rifiuti in acqua è costituito da oggetti in plastica: sacchetti, bastoncini per le orecchie, bottiglie, reti da pesca, microplastiche derivate da indumenti, pneumatici, polveri urbane.

L’obiettivo globale n. 14 rappresenta forse la sfida più impegnativa per un’azienda del settore, ma anche la riprova della sostenibilità ambientale di un comparto che impiega migliaia di lavoratori in tutto il mondo, producendo materiali per articoli, difficilmente sostituibili, nei campi medicale, della mobilità, delle energie rinnovabili, dell’edilizia e molto altro ancora.

«C’è da fare subito una distinzione», afferma Barbara Scannavini, responsabile comunicazione di Covestro. «L’azienda non produce plastica destinata ai prodotti monouso, come ad esempio le bottigliette d’acqua, ma polimeri high-tech utilizzati in numerosi settori orientati sempre più verso i principi dell’ economia circolare».

Per l’azienda tedesca, che ha la propria sede in Italia a Filago, ridurre l’impatto ambientale significa anche prevenire la perdita di pellet durante la produzione.

Le micro-particelle di plastica che possono derivare dalla produzione di materie plastiche, pellet o nurdles, se non adeguatamente gestite possono finire nei corsi d’acqua, dove la fauna selvatica può ingerirli in quanto si confondono con uova di pesce.

Covestro sostiene la ”Operazione Clean Sweep” contro la perdita dei pellet nei corsi d’acqua, dove la fauna selvatica li inghiotte, scambiandoli sfortunatamente per uova di pesce. Un piano in linea con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile

«Covestro sostiene la ”Operazione Clean Sweep” per evitare che i pellet di plastica finiscano nell’ambiente. L’azienda ha implementato diverse misure per prevenirne la perdita nei nostri siti di produzione e sta incoraggiando i propri fornitori e clienti a fare lo stesso. Covestro, grazie al coinvolgimento nell’”Operazione Clean Sweep”, è uno dei principali protagonisti dell’industria della plastica che realizza un programma di protezione delle risorse marine e ambientali in tutto il mondo, presso i propri siti e lungo l’intera catena del valore. L’azienda, con il programma, intende ridurre a zero le perdite di nurdles durante le diverse fasi di lavorazione e adottare buone pratiche per il contenimento dei pellet e la prevenzione dell’inquinamento all’interno dell’industria della plastica».

«Covestro prende molto seriamente le proprie responsabilità ambientali», ribadisce Barbara Scannavini. «Negli ultimi anni ha investito notevoli risorse per garantire che i pellet di plastica non si disperdano nell’ambiente durante i propri processi produttivi. Ha migliorato le proprie tecniche di imballaggio, ha aggiornato i processi di carico e i protocolli di pulizia. Sono stati messi in atto, inoltre, speciali setacci intorno agli impianti di produzione, per evitare che i pellet “canaglia” entrino nei sistemi di drenaggio». E restino lontano dal mare.

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