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Costruire aziende capaci di gestire i talenti e di anticipare bisogni e richieste

Articolo. Stop al “fai da te”. E non mettere sempre al primo posto la retribuzione. Ora è il benessere in generale delle persone l’elemento fortemente richiesto e una forte identificazione con i valori aziendali della sostenibilità. Ecco i dieci punti su cui costruire un’azienda fortemente attrattiva

Lettura 7 min.

Il lavoro e la possibilità di «essere scelti»

Tra gennaio e novembre 2021 hanno deciso di fare le valige lasciando il proprio posto di lavoro oltre 770 mila persone. C’è chi parla di grandi dimissioni all’italiana, c’è chi invece invita alla calma evidenziando l’effetto imbuto dettato da una forte correlazione tra dimissioni e aumento della domanda di assunzioni a tempo indeterminato. In questo dibattito è però possibile individuare un fattore comune in grado di mettere d’accordo entrambe le parti: le persone non cercano più solo un posto di lavoro, cercano un posto di lavoro che le valorizzi e le realizzi, permettendogli di costruirsi una vita nel lavoro e oltre il lavoro.
Le imprese prima lo capiscono meglio è. Fare oggi la voce grossa e orecchie da mercante di fronte ai sempre più evidenti cambiamenti del modo in cui le persone vogliono lavorare e all’incremento della mobilità da un’azienda all’altra potrebbe rivelarsi fatale. Il tema è già stato affrontato in diversi approfondimenti pubblicati sul sito di Skille, ma come è stato sottolineato, non basta «saper fare», bisogna anche «fare sapere» (vedi qui). Il primo passo per essere attrattivi e trattenere i dipendenti è essere bravi a comunicare e a curare la propria immagine.

Elena Parpaiola

Amministratore delegato di Randstad Italia

Oggi, afferma Elena Parpaiola, Amministratore delegato di Randstad Italia, «i media, tra stampa tradizionale e social, offrono sempre di più informazioni sulle attività delle aziende, sul loro profilo, sul loro comportamento sociale. Dal punto di vista dell’employer branding, ossia quelle azioni che puntano a rafforzare la buona percezione e l’attrattività di un’impresa agli occhi dei propri lavoratori, attivi o potenziali, la circolazione di queste informazioni rappresenta uno strumento che amplifica il confronto tra diverse realtà aziendali e che può orientare un candidato o un lavoratore a intraprendere percorsi in una determinata realtà a scapito di un’altra». Rispetto, invece, ai recenti fenomeni di “fluttuazione” dei lavoratori, sembra che giochi un ruolo centrale il rapporto tra la persona con il proprio lavoro. «La spinta alla mobilità – continua Parpaiola - viene principalmente da una riflessione personale sul rapporto con la propria azienda, se rispetta o meno le nostre necessità e se sentiamo il bisogno di cambiare le cose all’interno del nostro percorso o altrove».

«Il periodo eccezionale che abbiamo appena affrontato – osserva Parpaiola - ci ha permesso di fare un ampio focus su noi stessi e a interrogarci di più su quello che ci piace e non ci piace del lavoro, su quello che facciamo e su quale sia il contenuto o il contesto. Ci ha spinto cioè ad essere più esigenti in termini qualità, della vita e quindi del lavoro. Anche dopo la fase acuta della pandemia, quel desiderio è rimasto, è tuttora vivo e sta portando sempre di più la consapevolezza che, in ambito professionale, le persone possono scegliere e non più “essere scelte”».

Andare oltre il solo aspetto economico

Sono quindi i candidati e i lavoratori ad avere, per certi aspetti, il «coltello dalla parte del manico». L’errore più grande delle aziende sarebbe di ridurre questa nuova presa di posizione a una mera questione economica. Secondo Parpaiola, «tutti noi siamo stati protagonisti di un grande cambiamento che ha portato a nuove prospettive e anche a nuove aspettative. Tutte quelle aziende che sono rimaste ferme, perché impegnate a garantire uno status quo ora si trovano a dover gestire la difficoltà di marciare a velocità diversa rispetto alle proprie persone. Ad esempio, la maggior parte dei lavoratori non tornerebbe indietro rispetto allo smart working. Se alla fine del periodo di emergenza le aziende decidessero di tornare in presenza e riprendere le modalità di “prima”, rischierebbero di restare indietro e di perdere risorse preziose».

L’equilibrio vita-lavoro (work-life balance) sembra quindi essere al centro di una nuova prospettiva che non ha più il suo motto nel «vivere per lavorare», ma nel «lavorare per vivere». Le aziende, in particolare le piccole e medie imprese, sono però ancora troppo ancorate a un approccio «fai da te» della gestione del personale che spesso va a rilento con le trasformazioni organizzative in atto. «Credo che sia una questione strutturale – afferma Parpaiola -, le aziende devono marciare alla stessa velocità dei propri lavoratori, capire le tendenze, il “sentiment”, anticiparne i bisogni e cercare di rispondere quanto prima possibile alle richieste, non sempre esplicite, delle proprie risorse. Sapere che il work-life balance e il benessere in generale delle persone è un elemento fortemente richiesto - ora molto più di solo cinque anni fa, ricorda l’esperta -, così come l’identificazione nei valori aziendali sempre più rivolti al concetto di sostenibilità, può guidare le aziende su scelte strategiche e percorsi strutturati di employer branding che permetta loro di trattenere e attrarre i propri talenti».

Non si tratta però soltanto di mettersi in tiro sui social media, bensì di dimostrarsi capaci nelle modalità di gestione del personale e dell’offerta di opportunità ai propri lavoratori. «Non importa quale sia la dimensione dell’azienda, dalla multinazionale alla Pmi, le regole non cambiano, se non si entra in una dinamica legata al candidato, al mondo di rendere la sua work experience il migliore possibile attraverso l’analisi, l’indagine e la comprensione di ciò che i talenti chiedono, non si entra nel futuro».
L’ultimo monitoraggio di Randstad, è esplicito nei suoi risultati: le aziende che vogliono essere attrattive devono essere in prima linea nel costruire un modello di gestione a misura di talento, mettendo al centro dieci punti:

1- Relazioni professionali con i colleghi e i responsabili

La prima ragione per cui i lavoratori lasciano un’azienda è il rapporto con i colleghi di livello pari o superiore. Soprattutto nel secondo caso, non necessariamente perché il rapporto è conflittuale ma perché non allineato ai bisogni di quel momento, tra eccessiva pressione, mancanza di riconoscimento, assenza di comunicazione trasparente e scelte non meritocratiche.

2 - Il contenuto del lavoro

L’esperienza collettiva degli ultimi mesi ha indotto una riflessione sul significato più profondo della vita e del lavoro. Molte persone cambiano posto alla ricerca di un contenuto di lavoro più interessante e stimolante, di quello attuale, più in linea con le aspettative del ruolo professionale che vogliono ricoprire.

3 - I valori aziendali

Ma non c’è solo il tipo di lavoro. Sempre più persone, indipendentemente dal ruolo in azienda, non si dicono più disposte a scendere a compromessi tra i valori prioritari per la loro identità personale e quelli dell’organizzazione in cui operano. Sono quindi pronte a dimettersi per scegliere un’azienda allineata al loro ideale.

4 - Lo stipendio

È il motivo più scontato, ma oggi determinante in una fase di forte competizione. Se la retribuzione è percepita come insufficiente rispetto al proprio valore, è probabile che un lavoratore sia attratto da offerte migliorative. La leva economica oggi è particolarmente attrattiva per i lavoratori senior, meno per i giovani per cui sono altri i fattori cruciali.

5 - Il tempo

Da sempre un fattore molto importante, l’equilibrio tra vita privata e professionale è stato messo a dura prova durante il lockdown. La sua rilevanza è aumentata esponenzialmente e oggi i lavoratori sono meno propensi a sacrificare il tempo libero. Spesso scappano da condizioni “tossiche”, in cui l’attività professionale invade totalmente quella privata.

6 - Le opportunità di crescita

Soprattutto i lavoratori più giovani chiedono prospettive di crescita, step professionali, stimoli continui. L’offerta di percorsi di carriera strutturati e ambiziosi è uno degli elementi di attrazione dei candidati.

7 - La specializzazione

Non sempre si cambia per aumentare di livello. A volte, specie per profili qualificati ad inizio carriera, è più interessante un’opportunità di specializzazione in un ambito di interesse, per acquisire conoscenza ed esperienza in un ruolo. La formazione stessa è un elemento di attrazione per i talenti.

8 - Il clima

L’esperienza del lockdown, la perdita della relazione di molti luoghi di lavoro e il conseguente senso di smarrimento hanno messo in evidenza l’importanza di un ambiente di lavoro accogliente, positivo e stimolante per alleviare lo stress, favorire la collaborazione e la produttività.

9 - Il lavoro da remoto

Grande novità ereditata dalla pandemia, dopo l’esperienza dello smart working di massa, oggi molti lavoratori ricercano espressamente offerte di lavoro che consentano di svolgere l’attività a distanza, magari da luoghi diversi dagli uffici delle grandi aree urbane, con maggiore flessibilità sugli orari e improntati al raggiungimento di obiettivi.

10 - Il desiderio di cambiare

Talvolta le dimissioni sono parte di un processo che va ben oltre l’ambito professionale. Cambiare il posto di lavoro può significare dare un taglio alla quotidianità per aprirsi a nuove sfide, stravolgere completamente la propria vita per mettersi alla prova con un’avventura che dia un nuovo significato al proprio percorso.

Obiettivo: migliore equilibrio lavoro-vita privata

Già in una precedente rilevazione (Randstad Workmonitor 2021) era stato messo in evidenza come la pandemia avesse iniziato ad aprire alcune crepe al tradizionale rapporto di lavoro, fungendo da momento catartico per esprimere l’esigenza di un nuovo modo di lavorare.
«Quasi 7 Italiani su 10 – si legge nel report - hanno maturato una nuova prospettiva rispetto al modo in cui il lavoro si adatta ai propri impegni personali (69%), il 21% in più della media globale e il dato più alto fra i principali paesi europei, con i francesi che si fermano al 35%, i tedeschi al 36%, spagnoli e inglesi al 48%. In particolare, il 74% dei lavoratori italiani ha definito più chiaramente i propri obiettivi personali, il 72% ha compreso meglio le proprie ambizioni professionali. In molti casi, la nuova consapevolezza acquisita si traduce nel desiderio di un cambiamento sul piano lavorativo.
Quasi un italiano su due (49%) – continua il report - vuole provare qualcosa di nuovo nel lavoro, soprattutto nella fascia di età 25-34 anni. Il 73% si è attivato per migliorare il proprio equilibrio fra lavoro e vita privata, specialmente fra le lavoratrici (75%) e nel segmento dei 35-44enni (78%), e il 74% desidera una maggiore flessibilità in futuro nel proprio lavoro o nella propria carriera». Gli effetti di questa nuova consapevolezza non stanno mancando di fare le prime comparse. «Il 21% - rivela il report - ha cambiato impiego negli ultimi sei mesi (+4% rispetto al primo semestre del 2021), con punte del 43% tra i dipendenti under 25 e fra i lavoratori 25-34enni (31%), il 29% sta cercando nuove opportunità e oltre la metà prenderebbe in considerazione l’idea di un lavoro all’estero se potesse operare completamente da remoto (57%)».

Tra tutti questi aspetti, la priorità su cui le imprese devono puntare sembra essere quella del benessere individuale e organizzativo che può aversi solo con un welfare aziendale all’avanguardia. Formazione, previdenza complementare, assistenza sanitaria e flessibilità organizzativa sono solo alcune delle principali misure che possono avere un impatto significativo su come il lavoratore percepisce la propria azienda e su come questa appare all’esterno.
«Direi che al momento – conferma Parpaiola - il punto sul quale convergono molte aziende è quello legato al benessere della persona, e quindi a politiche di welfare aziendale, fondamentale per aumentare il “potere d’acquisto” di lavoratori da parte delle organizzazioni e per lo “stare bene” in azienda». Un’opinione che trova riscontro anche sul fronte della ricerca. Di recente il rapporto sul welfare aziendale in Italia di Adapt e Intesa Sanpaolo, ha infatti messo in evidenza come questo strumento possa essere una leva di contrasto alle grandi dimissioni, ma soprattutto uno «strumento di fidelizzazione dei lavoratori, anche favorendo la creazione di un migliore clima aziendale e una migliore qualità del lavoro».

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