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Nella transizione scuola-imprese troppi finti tirocini e nessuna formazione. Ecco come valorizzare i giovani

Articolo. Solo manodopera a basso costo. Non è più solo una questione di mismatch: se le imprese non trovano personale adeguato un po’ di responsabilità è anche loro. La ricerca Adapt-Unipolis evidenzia perché. E i giovani si ritrovano sempre più nelle aree grigie del “non mercato” dell’occupazione

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La sinergia che manca fra aule e fabbriche

Meglio ribaltare il percorso dell’analisi e partire dalla fine, dalle possibili proposte e soluzioni. La fotografica che emerge dai dati, ancora una volta, mette solo in maggiore evidenza un fenomeno che continua ad essere etichettato come un’emergenza: prima si studia, poi si lavora. Un tempo, forse, andava bene così. Oggi, questa retorica va superata: innovazioni e tecnologie digitali bruciano rapidamente conoscenze e competenze tecniche acquisite. Lo studio insieme al lavoro e dentro i luoghi di lavoro. È uno dei nodi cruciali che sta fossilizzando la distanza tra il sistema della formazione e dell’orientamento e il mercato del lavoro, bloccando la transizione dei giovani verso un percorso lavorativo.

Due contesti separati sia in termini di spazio sia di tempo, una distanza che impedisce qualsiasi integrazione di metodo e di contenuto fra scuola e fabbriche, fra aule e imprese. Gli strumenti giuridici ci sono: contratti di apprendistato, di somministrazione, gli stessi tirocini (che non sono contratti), vengono utilizzati, ma pochissimo . E quando lo sono vengono impiegati in maniera «non regolare, impropria». Un tema che abbiamo già affrontato in questo articolo . E anche in questo approfondimento .

Così cresce un’altra dimensione che coinvolge migliaia di giovani fra i 15 e i 29 anni: la nuova ricerca di Adapt-Unipolis la definisce il «non mercato», quell’area grigia del lavoro di confine e fatta di lavoretti, di precarietà, lavoro nero, finti tirocini o tirocini confusi con contratti di lavoro, falsa formazione e priva di ogni tutela contrattuale, retributiva o contributiva. Ma fatta anche di tanto volontariato : l’89% dei giovani lo considera «un’occasione per sviluppare competenze, utile per la ricerca di un lavoro, aiuta a organizzare e pianificare».

Ma occorre un’altra policy per «sostenere la tutela e la valorizzazione delle esperienze svolte dai giovani nelle aree grigie - sottolinea la conclusione, appunto, della ricerca - quali validi “ponti” verso l’integrazione lavorativa e sociale e la realizzazione personale, nella convinzione che la professionalità sia un un’acquisizione che inizia fin da giovani».
E sono tre le macro-aree in cui la ricerca sviluppa tre percorsi e strategie fra loro alla fine complementari allo stesso obiettivo, gestire la transizione delle tante forme di lavoro con cui iniziano i giovani. Ma in particolare prevenire nel passaggio scuola-lavoro «la ricaduta dei giovani in contesti di non mercato; con interventi per contrastare fenomeni quali l’obsolescenza delle conoscenze, il drop out scolastico, il lavoro povero ; e infine interventi - spiega la relazione della ricerca - che richiedono l’adozione di un nuovo paradigma collaborativo tra istituzioni formative, imprese, terzo settore e enti locali in modo tale da realizzare sistemi (o meglio: ecosistemi) locali per lo sviluppo delle competenze e in grado di supportare le transizioni formative e professionali dei giovani (e non solo)».

Ed è proprio da quest’ultimo aspetto che i tre pilastri delle proposte della ricerca - Prevenire, Contrastare, Costruire - partono e a cui puntano maggiormente. E lo sistematizzano in forma di appello: occorre una maggiore integrazione tra il sistema formativo ed educativo e il mondo del lavoro. Una migliore collaborazione tra scuole e imprese. Tutti sono coinvolti: da chi si occupa, a vario titolo, di formazione dei lavoratori, al mondo del sindacato, delle imprese e delle cooperative sociali. L’auspicio «è che si possa cominciare ad infrangere con buone pratiche quel modus operandi che concepisce ancora il percorso scolastico come separato, spazialmente e temporalmente, dai luoghi di lavoro».

Le policy per valorizzare le transizioni giovani-lavoro-imprese

Il Report Adapt-Unipolis, in allegato a questo articolo, nel declinare le possibili proposte parte da una considerazione, risultato del resto dei diversi incontri e confronti durante i focus group «e possono quindi essere, in buona parte, intese come proposte che nascono dal vissuto di persone e realtà che si occupano quotidianamente di giovani e che si scontrano quotidianamente con le criticità oggetto della ricerca». Il dato di partenza, «Prevenire», assegna una importanza strategica all’orientamento e all’informazione. Una strategia che guarda a tre azioni: la messa in rete di osservatori del mercato del lavoro come enti locali, bilateralità, soggetti privati; un’attività di orientamento nelle scuole, negli enti di formazione e negli istituti educativi. Per costruire, alla fine, un Osservatorio Territoriale sulle competenze nell’ambito dei Centri per l’Impiego.

Un ulteriore azioni riguarda la certificazione delle competenze maturate dai giovani nel loro incontro con le diverse forme di lavoro. Questo comporta - è l’indicazione del Report - di evitare «gli abusi nell’utilizzo dei tirocini finanziati da Garanzia Giovani, con una responsabilizzazione degli enti promotori come scuole, università, agenzie per il lavoro, centri per l’impiego.
L’accelerazione del progresso tecnologico sui processi innovativi impone alle aziende scelte strategiche sul territorio in termini di instaurazione di collaborazioni «con altri attori economici vicini che possono così diventare partner strategici con cui condividere i rischi e i costi del processo di generazione di nuova conoscenza ». Il risultato di questo approccio è la «nascita di sistemi locali dell’innovazione, con architetture organizzative variabili di azienda in azienda, ma tutte accomunate dal ruolo rilevante che assume la costruzione di reti formali e informali radicate nel territorio ».

 

Siamo “nell’era dei tirocini” anche per come governi e istituzioni guardano e sostengono questa forma di lavoro come strumenti di occupabilità dei giovani, e in effetti il tirocinio fornisce esperienze ai giovani appena usciti dalla scuola o università. Ma offre anche alle imprese un’occasione in cui conoscere, selezionare nuove assunzioni. I dati rivelano invece che le aziende non lo utilizzano affatto per reclutare nuovo personale. Il Report Adapt-Unipolis su questo tema è estremamente diretto . Il tirocinio gode di largo utilizzo e di una certa fama, quantomeno nell’immaginario collettivo dei giovani che cercano un impiego, ma non solo.

I numeri confermano che il tirocinio e diventato ormai la modalità normale di accesso al mondo del lavoro. Le più recenti rilevazioni disponibili, nel 2019 sono stati ben 356mila i tirocini attivati solo nel nostro Paese (cresciuti secondo Anpal dal 2018, in cui si registravano 351mila percorsi attivati), confermando il trend positivo degli ultimi anni, incoraggiato soprattutto dalla partenza di Garanzia Giovani nel 2015, il piano europeo di contrasto alla disoccupazione giovanile. Inteso quindi come strumento capace di «colmare il divario, più o meno esteso, tra ciò che si è studiato e ciò che si è in grado di fare in un contesto lavorativo, l’istituto del tirocinio è stato ampiamente osservato sia nel dibattito scientifico che in quello pubblico. Si tratta di un argomento piuttosto divisivo, poiché taluni enfatizzano la sua funzione di accrescimento della occupabilità del giovane, altri sottolineano i rischi che il datore di lavoro si avvalga di forza lavoro, equivalente nelle mansioni a quella ordinaria, senza concludere un contratto di lavoro presidiato dalle relative tutele (economiche e non) . Proprio la mancata stipula di un contratto di lavoro - sottolinea la ricerca Adapt-Unipolis -, unitamente alla spesso non chiara finalità dell’esperienza in essere, colloca a pieno titolo l’istituto del tirocinio in quell’area grigia in cui si intersecano nebulosamente mercato del lavoro e non mercato che pare coagulare i luoghi odierni della transizione da studente a lavoratore».

Ulteriore passaggio: le scuole. La proposta è arrivare a costruire in ciascun istituto scolastico e formativo uffici di placement con progettisti di percorsi formativi che interloquiscano con il sistema imprenditoriale, per attivare percorsi di alternanza formativa di qualità. La capacità progettuale di questi percorsi, fino ad oggi una grande carenza e lacuna, può fare la differenza nella sostanza dei risultati.
Un ponte efficace, quarta proposta, punta alla costruzione di reti di formazione fra sistemi formativi ed enti del terzo settore per strutturare forme di collaborazione per la presa in carico di giovani fragili. Una via per evitare fenomeni di drop-out e dei Neet, i giovani che non lavorano, non studiano e hanno smesso di cercare un’occupazione perché sfiduciati. Un fenomeno sempre più in crescita.

 

La grande occasione del Pnrr è tutta sul versante delle risorse. L’indicazione è di saper sfruttare adeguatamente i finanziamenti stanziati all’interno del Piano di ripartenza e resilienza per gli Its, gli istituti tecnici superiori, costruendo vere filiere professionali che partono dalla IeFP e dai percorsi Ifts.

Imprenditori e sindacalisti sono chiamati a un ruolo diverso. E per certi aspetti tutto nuovo. Organizzazioni sindacali e associazioni di imprese «aggiungano la transizione scuola lavoro nella loro attività sindacale e agenda contrattuale - è la raccomandazione della Ricerca - . In questo senso le parti sociali possono accreditarsi come soggetti abilitati all’erogazione diretta di politiche attive come orientamento e intermediazione».
Un primo passo importante indicato è far rientrare e prevedere il sistema duale nei contratti nazionali di lavoro. «Occorre regolamentare l’apprendistato duale, il sistema che affianca ai percorsi di studio anche momenti di lavoro all’interno delle imprese, disciplina oggi prevista soltanto in un terzo dei contratti collettivi nazionali di lavoro esistenti».

Un ultima indicazione, direttamente conseguenza, riguarda anche la definizione di un ruolo nuovo per la contrattazione aziendale «assegnandole un maggiore protagonismo come strumento che può definire e regolare nel concreto i percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento professionale».

 

Le esperienze grigie da valorizzare

Alla fine i primi dati della ricerca Adapt-Unipolis scoprono che più di un giovane su tre (il 35%) lavora o ha lavorato in nero, che quella è la forma di lavoro più diffusa e per un giovane è anche la prima forma di ingresso nel mercato del lavoro. Il paradosso è che quel 35% di lavoro nero equivale al doppio dei contratti di collaborazione, a quattro volte i contratti a tempo determinato, a sette volte quelli definitivi che vengono sottoscritti. Dimensioni che le statistiche fanno fatica a rilevare e a tracciare.

Francesco Seghezzi

Presidente Fondazione Adapt

La ricerca Adapt-Unipolis attraverso un viaggio in tre specifiche regioni d’Italia (Lombardia, Emilia Romagna e Sicilia) e grazie a sei focus group con imprenditori, sindacati, operatori, istituzioni locali hanno ricostruito nel dettaglio. «Abbiamo voluto ricostruire e valorizzare le tante transizioni che un giovane compie prima di costruirsi una stabile identità professionale – spiega Francesco Seghezzi, presidente di Fondazione Adapt e curatore della ricerca -, mettendo tanta attenzione sulle esperienze grigie, svolte fuori dal mercato del lavoro, ma che hanno valore e dimensioni economiche e sociali». Lavori in nero, volontariato, tirocini curriculari, lavori attraverso piattaforme digitali. E poi ci sono oltre 354mila tirocini extracurriculari attivati nel 2019 (il dato più significativo prima della pandemia), uno degli schemi giuridici più frequenti. E più efficaci: dopo un anno oltre la metà dei giovani (il 59%) ha mantenuto il rapporto di lavoro. Poi qualcosa si inceppa: solo il 14% viene assunto regolarmente dall’impresa.

Sono quasi sempre assenti i contratti che più potrebbero accompagnare la transizione dei giovani verso il lavoro come l’apprendistato e di somministrazione. E che hanno una efficacia maggiore: l’apprendistato dopo un anno garantisce ancora l’occupazione nell’80% dei casi, contro un 43% dei contratti a tempo o il 47% degli interinali.

 

Che cosa non funzione allora nella transizione scuola-lavoro? «Non c’è integrazione né di metodo né di studio – spiega Seghezzi –. L’apprendistato duale è praticamente inesistente: si registrano appena 10mila giovani apprendisti di primo livello e meno di mille di alta formazione e ricerca. E nei percorsi di formazione – è la denuncia - un elevato tasso di incoerenza con il percorso di studi, con i giovani assegnati a mansioni ripetitive e bagatellari. Ciò che penalizza è una resistenza culturale e, soprattutto, - spiega Seghezzi - una carenza di progettazione dei percorsi formativi in linea con i bisogni delle aziende».

Anche le imprese sono chiamate in causa. I questionari sottoposti a poco meno di 1.200 giovani confermano che i tirocini vengono riconosciuti come «un’occasione per maturare competenze», prevalentemente soft, ma in media il 22,9% dei giovani dice anche di aver maturato competenze tecniche, il 23,6% nel caso di giovani lombardi.

Occupazione e lavoro fra costi contenuti e difficili esperienze

Le schede

L’apprendistato come contratto più efficace nel tempo
Il contratto di apprendistato ha un tasso di permanenza dell’80,5%, contro il tempo indeterminato al 71,8%. Un contratto a tempo determinato si ferma al 44,8% mentre quello di collaborazione al 38,7%.

La formazione tecnico professionale è quasi inesistente
L’Ocse stima che in Italia solo il 28% dei giovani di età fra i 25 e i 34 anni è in possesso di un titolo di studio terziario, rispetto al 44% della media degli altri Paesi Ocse.

L’esercito dei giovani Neet cresce ancora
Nel 2020 in Italia si contavano 2,1 milioni di giovani Neet, il 23,3% della popolazione giovanile della stessa età, in aumento dopo cinque anni consecutivi di riduzione. In Europa la media è del 13,7%.

 

Apprendisti e sistema duale ignorati dal scuole e imprese
Nel 2017, ultimo dato utile, gli apprendisti di primo livello erano solo 9.864, solo il 3,1% di tutti gli apprendisti in Italia, dove il sistema duale è totalmente ignorato sia dalle scuole sia dalle imprese.

Il Fondo Garanzia Giovani ha dato una spinta
Nel 2019 sono stati 356mila i tirocini attivati in Italia, confermando il trend positivo degli ultimi anni, incoraggiato da Garanzia Giovani nel 2015, il piano europeo di contrasto alla disoccupazione giovanile.

Il boom dei tirocini extracurriculari
I risultati occupazionali dei tirocini extracurriculari, dicono che degli oltre 3 milioni di ragazzi avviati al lavoro il 17% l’ha fatto attraverso un tirocinio extracurriculare. In Lombardia sono stati 402.183.

L’ostacolo mismatch blocca la manifattura

Che cosa è mancato? L’affiancamento alla formazione, un potenziale che resta inespresso. Interrogati sull’incidenza dei tutor formativi nello sviluppo di competenze, la maggior parte non solo non ha riconosciuto un «ruolo importante» a questa figura. Ma soprattutto due giovani su tre dicono di essere stati impiegati in «attività routinarie a scarso contenuto formativo».

Come se ne esce, dato che ancora il vero nodo sulla crescita della manifattura resta quel 40% di imprese di meccatronica, energia, grafica e chimica, che non riesce a trovare il personale giusto, arrivano al 50% le imprese, una su due, di elettronica ed elettrotecnica.

 

«Nella nostra ricerca l’obiettivo non è dire che dobbiamo tornare a una mercato che non c’è più, quello del Novecento in cui ci siano solo contratti a tempo indeterminato per tutti, e magari soprattutto per i giovani. Affatto. Diciamo invece - spiega Seghezzi - che ci sono aspetti che in una situazione problematica come questa vanno gestiti, e altri per i quali difficilmente si potrà tornare indietro. Ma la priorità di fronte a forme di mercato, senza contratti o forme di lavoro irregolari e sempre più diffuse fra i giovani, è che queste vanno accompagnate da forme di politica che gestiscano queste transizioni . Non certo che le annullino».

Tommaso Galeotto

Ricercatore Adapt

talk

I tirocini extracurricolari vanno aboliti?

Sì, occorre abolire tutti i tirocini extracurriculari ad eccezione di quelli rivolti a neolaureati e neodiplomati attivati nell’ambito di una convenzione tra università, scuole e imprese. Non si tratta quindi di opporsi in modo ideologico al tirocinio, quanto piuttosto di tutelarne la valenza formativa e orientativa nel mondo del lavoro a favore dei giovani, evitando che venga utilizzato dalle imprese come una scorciatoia per avere manodopera a basso costo. Per farlo è però necessario togliere dal ventaglio delle opzioni tutte quelle tipologie di tirocinio che rischiano di tradursi in un “cuscinetto” di politica attiva per i soggetti più svantaggiati nel mercato del lavoro, di fatto abdicando alla loro vocazione formativo-orientativa per i giovani.

Il mondo dell’istruzione e della formazione è attivo sul fronte della transizione scuola-università-lavoro dei giovani anche attraverso il tirocinio?

Non quanto dovrebbe. I numeri dei tirocini attivati da università e istituti scolastici rappresentano rispettivamente la misera quota del 5% e dell’1,2%. Su cifre più elevate si collocano altri soggetti promotori come i servizi per l’impiego e i soggetti autorizzati all’intermediazione, che rappresentano il 36,2% e il 19,5% del totale. Nel disinteresse generale da parte del mondo dell’università e della scuola spicca però l’impegno dei centri di formazione professionale e/o orientamento (pubblici e privati), che si collocano in seconda posizione nella classifica generale dei soggetti promotori con una quota del 19,5%, dimostrando come questa branca dell’istruzione sia impegnata nel favorire l’occupabilità dei giovani e un percorso efficace di transizione nel mondo del lavoro anche attraverso l’utilizzo del tirocinio extracurriculare.

Ma se (quasi) tutti i tirocini extracurriculari devono essere aboliti cosa possono utilizzare le imprese per inserire ed entrare a contatto con i giovani?

Ovviamente se viene proposta l’abolizione di uno strumento che ad oggi rappresenta il primo canale di ingresso nel mondo del lavoro per il 45% dei tirocinanti under 30, occorre individuare altri strumenti che le aziende possono utilizzare. Le alternative ci sono, ma spesso non vengono sfruttate a dovere. Vanno potenziati i tirocini curriculari, cioè quelli svolti durante il percorso di studi, per creare una vera alternanza formativa. Non da ultimo, è tempo di rilanciare l’apprendistato duale, di primo e terzo livello, progettando dei virtuosi canali di transizione scuola-università-lavoro allo scopo di formare i giovani con le competenze tecniche e trasversali di cui le imprese necessitano.
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