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Rifiuti, servono impianti per il recupero di materia e di energia

Articolo. La percentuale di raccolta differenziata sul totale dei rifiuti urbani conferma, nel 2020, la crescita e si attesta su un valore medio di 59,3%, un punto percentuale in più rispetto al 2019 e cinque rispetto al 2018 (54,3%). L’obiettivo di legge del 65% fissato per il 2012 è stato raggiunto da 50 città, quattro in più rispetto all’anno precedente, mentre la soglia del 35%, prevista per il 2006, non è stata ancora raggiunta da dieci Comuni: erano dieci anche nel 2019 e diciotto nel 2018.

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Studenti in visita al termovalorizzatore Rea di Dalmine di Greeenthesis Group Foto Alexia Luchena

La percentuale di raccolta differenziata sul totale dei rifiuti urbani (qui la definizione) conferma, nel 2020, la crescita e si attesta su un valore medio di 59,3%, un punto percentuale in più rispetto al 2019 e cinque rispetto al 2018 (54,3%). L’obiettivo di legge del 65% fissato per il 2012 è stato raggiunto da 50 città, quattro in più rispetto all’anno precedente, mentre la soglia del 35%, prevista per il 2006, non è stata ancora raggiunta da dieci Comuni: erano dieci anche nel 2019 e diciotto nel 2018.

Otto Comuni – uno in meno rispetto all’anno scorso – superano la soglia dell’80%. Scende la produzione di rifiuti: la media si ferma a 514 kg pro capite (erano 530 kg pro capite nel 2019 e 537 kg pro capite nel 2018).In Italia nel quinquennio 2015-2019 sono state prodotte mediamente 29,9 milioni di tonnellate di rifiuti urbani. In media 494 kg per abitante all’anno, in miglioramento e sempre sotto i 500 per abitante all’anno dal 2013. I numeri di Ecosistema Urbano, il Rapporto sulle performance ambientali delle città curato da Legambiente, fotografano luci e ombre della base dell’economia circolare, la raccolta e il recupero dei rifiuti (qui il Rapporto).

Gran parte del merito della differenziazione dei rifiuti urbani è da attribuire al Nord che, con 10 milioni di tonnellate nel 2019, rappresenta il 54% del totale differenziato, seguito dal Sud (4,6 milioni di tonnellate) con il 25% del totale e dal Centro (3,8 milioni di tonnellate), il 21%.

Recupero di materia e di energia, pochi impianti

Nel 2019 sono state 6,4 milioni le tonnellate di imballaggi gestite dai consorzi di filiera. Ma la gestione dei rifiuti urbani passa attraverso 656 impianti: troppo pochi. L’impiantistica è prerogativa imprescindibile per avviare processi virtuosi di economia circolare che devono caratterizzare la politica di gestione di questa risorsa. Gli impianti sono così suddivisi: 345 per la frazione organica (281 di compostaggio, 41 integrati aerobico/anaerobico e 23 solo anaerobici), 130 impianti per il trattamento meccanico, 131 le discariche, 37 gli impianti di incenerimento e 13 gli impianti industriali per il coincenerimento dei Rsu.

Ben il 21% dei rifiuti urbani va ancora a finire in discarica (6,3 milioni di tonnellate), il 18% a incenerimento (5,5 milioni di tonnellate), solo il 21% negli impianti di trattamento della frazione organica. Sempre più necessari tutti quegli impianti che permettono il recupero di materia, di sottoprodotti e di energia dalla frazione organica , come processi e impianti virtuosi di digestione anaerobica per la produzione di biogas e biometano.

Gestione virtuosa dei rifiuti speciali

La produzione di rifiuti speciali (qui la definizione), nel 2019, è stata di circa 154 milioni di tonnellate, cinque volte la quantità dei rifiuti urbani. Eppure, nel nostro Paese, è cresciuto il riciclo dei rifiuti speciali, dove si recupera materia dal 69% dei rifiuti avviati a gestione e solo il 7,3% è smaltito in discarica. La differenza tra la gestione virtuosa dei rifiuti speciali e quella problematica dei rifiuti urbani viene dall’impiantistica: 10.839 gli impianti per la gestione di questi rifiuti, di cui il 43% del totale sono dedicati proprio al recupero di materia.

Secondo il rapporto del 2021 dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), che presenta i dati relativi all’anno 2019 (qui il rapporto), i principali settori che producono rifiuti speciali sono le costruzioni, le attività manifatturiere, il trattamento dei rifiuti, le attività di risanamento. Le costruzioni, in particolare, sono responsabili della generazione di quasi la metà dei rifiuti speciali non pericolosi, mentre quelli pericolosi sono prodotti in buona parte dal settore manifatturiero.

I rifiuti speciali che, nel 1997, erano smaltiti in discarica erano quasi 21 milioni di tonnellate: vent’anni dopo questa cifra si è dimezzata, attestandosi a 11,9 milioni di tonnellate.

Questo miglioramento non ha toccato entrambe le tipologie di rifiuti speciali nello stesso modo. Se quelli non pericolosi, che costituiscono la quota maggiore (l’89,2% di tutti i rifiuti speciali smaltiti), sono diminuiti del 47,4%, quelli pericolosi, invece, sono aumentati: più 61,9% i rifiuti speciali pericolosi smaltiti in discarica nel 2018 rispetto al 1997.

Manca il piano nazionale per l’economia circolare

I rifiuti sono le risorse di domani. È necessario risolvere i problemi relativi alla gestione, ai controlli, agli , impianti, indispensabili e urgenti, alla partecipazione dei cittadini a conoscere i progetti. Il 2021 – osserva Legambiente – deve essere l’anno della realizzazione e approvazione di un piano nazionale per l’economia circolare con obiettivi chiari, riforme utili a semplificare iter burocratici e spazio al dibattito pubblico, mettendo al centro l’innovazione di processi e prodotti dell’economia circolare .

Impianti nuovi e ammodernati

Il ministero della Transizione ecologica (Mite), attraverso sette bandi (si veda qui) nell’ambito del Pnrr, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (qui), ha destinato 2,6 miliardi di euro complessivi per la realizzazione di nuovi impianti di gestione dei rifiuti e l’ammodernamento di quelli esistenti. I fondi per nuovi impianti e ammodernamenti sono 1,5 miliardi; 600 milioni vanno ai cosiddetti progetti faro sulle filiere di carta e cartone, le plastiche, i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee) e tessili; 500 ai sistemi di monitoraggio e previsione di incendi in materia di rifuti. Il 60% di questi fondi va alle Regioni del Centro e del Sud Italia, meno virtuose. Ci sono meno di cinque anni per realizzare, entro giugno 2026, i progetti.

Non bastano le risorse, serve programmazione

L’attuazione del Pnrr si inserisce in un contesto di forte evoluzione della regolazione del settore a cui sta lavorando Arera (l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente), che ha recentemente evidenziato l’assenza di una rete integrata di impianti di raccolta e trattamento rifiuti attribuibile all’insufficiente capacità di pianificazione delle Regioni e, in generale, alla debolezza della governance.

Anche per Arera è necessario sviluppare un programma nazionale per la gestione dei rifiuti e supportare Regioni, Province e Comuni, visti i problemi dovuti alla mancanza di competenze tecniche e amministrative del personale impiegato.

Il Piano nazionale di gestione dei rifiuti, previsto dal DLgs 116 del 2020 e dalla stessa Strategia nazionale, cioè dal Pacchetto sull’Economia Circolare del 2020, non è mai stato emanato. Le Regioni procedono, come sempre, in ordine sparso. Finanziare gli impianti senza una strategia nazionale e senza criteri univoci rischia di diventare un pericoloso boomerang. Gli impianti sono l’hardware di una pianificazione integrata, sono strumenti e non soluzioni di per sé. Costruire impianti senza un’idea di gestione integrata in un’ottica industriale di nuova generazione rischia di costituire un errore irrimediabile, alimentando le inefficienze del sistema.

L’intervento dell’Accademia della Crusca

Sulla distinzione tra “termovalorizzatori” e “inceneritori” è intervenuta nel 2018 anche l’Accademia della Crusca, nella direzione di utilizzare i due termini come sinonimi. Gli impianti attualmente in funzione in Italia prevedono il recupero del calore e sono quindi, più propriamente, “termovalorizzatori”. “Si tratta – spiegano gli esperti della Crusca – di impianti di incenerimento in cui i rifiuti vengono smaltiti mediante un processo di combustione ad alta temperatura che produce ceneri, polveri e gas come gli impianti preesistenti, con la differenza che il calore prodotto viene recuperato e utilizzato per produrre vapore e quindi energia elettrica”.

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