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Anche le aziende pagano il calo delle nascite . Il presidente Istat : «Il Pil è a rischio »

Articolo. La difficoltà delle aziende di trovare personale qualificato sono note. Non è colpa solo dei giovani “scansafatiche”. Il calo delle nascite sta pesando sempre di più e per il presidente dell’Istat entro 50 anni potremmo arrivare a perdere il 32% del Pil.

Lettura 8 min.

La fame di personale specializzato supera l’offerta

Ristoranti, bar e alberghi in crisi: non si trovano giovani per la stagione. Colpa dei ragazzi “sfaticati” o degli esercenti che non riescono ad attirarli?

E se invece fosse colpa della demografia? Il dubbio, legittimo. Lo solleva Gianni Balduzzi su Linkiesta (”Pochi, non pigri”): i giovani “millennials” sono numericamente molti meno di quanti “servirebbero” nelle numerose strutture sparse in tutta Italia, ma anche nelle fabbriche e nelle università.

E i pochi che ci sono iniziano a concedersi il lusso di scegliere l’offerta migliore - magari all’estero - o addirittura di non fare nulla. Mancano saldatori, serramentisti, elettricisti, idraulici,magazzinieri... E poi infermieri, medici ospedalieri, medici di famiglia: la fame di personale specializzato supera l’offerta di lavoro.

A dicembre 2021 la storica Brevi di Telgate, azienda leader per i prodotti per l’infanzia, aveva presentato istanza di fallimento: “Chiusi per calo delle nascite”. Le vendite di culle e passeggini non bastano più a sostenere l’impianto aperto nel 1950 che da(va) lavoro a 54 persone, troppo complicato riconvertire la produzione in tempi utili.

Mancanza di personale e crisi del mercato: l’incubo di ogni imprenditore ha l’aspetto silenzioso e pervadente dell’inverno demografico, del calo delle nascite, dell’invecchiamento della popolazione.

Un fenomeno globale

Per anni si è parlato della bomba demografica e di come il Pianeta sarebbe soffocato dalla sovrappopolazione. Ma la bomba - ammettono ora gli esperti - non esploderà. Anzi, entro il 2100 la popolazione mondiale inizierà a diminuire e a scoppiare sarà forse la “bolla” demografica, a partire dall’Occidente industrializzato.

A livello globale, il tasso di fertilità - il numero di figli per donna- medio è in rapida discesa ovunque ed è di circa 2,4 figli mentre sempre più Stati registrano medie inferiori a quel 2,1 che garantisce il ricambio generazionale e l’equilibrio demografico di un Paese.

 

Va al Niger (6,8 figli per donna) e al continente africano il record di fecondità mondiale, scende la fertilità in India (2,2), in Brasile (1,7), in Usa (1,7), in Russia (1,5), in Cina (1,7). Maglia nera della classifica è la Corea del Sud (0,9 figli per donna).

In Europa la media attuale è di 1,5 e nessun Stato arriva all’equilibrio demografico, nemmeno la Francia (1,83). A Malta il poco invidiabile record negativo di 1,1, seguita da Portogallo, Spagna, Cipro, Grecia e Italia (1,24).

Continente diviso in tre blocchi

Dal punto di vista demografico l’Europa appare divisa in tre blocchi:
- i Paesi del Mediterraneo, con bassi tassi di natalità e politiche che non riescono a contrastare il calo di nascite
- Nord Europa (Svezia, Irlanda, Danimarca, Olanda ma anche Francia, con le sole, vistose , eccezioni di Finlanda e Norvegia), con tassi superiori alla media europea e una lunga tradizione di politiche per la famiglia che, appena vengono attenuate, comportano un immediato calo di nascite.È il caso della Francia
- gli Stati dell’Est Europa: Estonia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Germania, che stanno recuperando punti e abitanti in seguito a politiche e investimenti di promozione e sostegno della natalità.

 

I cambiamenti che influenzano le nascite

A spiegare il calo delle nascite concorrono diverse dinamiche sociali: in Europa diminuiscono i matrimoni, un fattore oggettivo di stabilità e impegno che influenza la propensione ad avere più figli: dal 2001 al 2020 sono passati da 4.8 ogni 1.000 abitanti a 3.2.

I fiori d’arancio sono più popolari in Ungheria (6,9 matrimoni su 1.000 abitanti, con un incremento del 43% in 10 anni), meno apprezzati in Italia, dove si celebrano 1,6 matrimoni ogni 1.000 abitanti. La mappa interattiva di Eurostat è disponibile qui

Ci si sposa sempre più tardi, fino a 5 anni più “vecchi” rispetto al 2001: in particolare in Italia gli sposi hanno in media 33.6 anni. A livello europeo, i genitori single sono il 14% mentre il 41.9 % delle nascite (dato al 2020) avviene fuori dal vincolo matrimoniale; in Italia si è passati dal 10.3 % al 33.8 %.

Nello stesso periodo i divorzi in Europa sono lievemente scesi (da 1.7 per 1.000 abitanti a 1.6) mentre sono aumentati nel Belpaese, passando da 0,7 a 1,7.

L’età delle mamme europee alla prima gravidanza - altro segnale negativo per i conti demografici - si è alzata a 29,5 nel 2020 (era 28,5 nel 2013); il record però anche in questo caso appartiene all’Italia con un’età media al primo figlio di 31,4 anni (dati al 2020) che lascia poche possibilità di avere una prole più numerosa.

E così oggi, nell’Unione Europea, ha figli under 18 anni solo il 28,7% delle famiglie (in Italia meno di 1/4): il 47,5% ne ha uno, il 39% ne ha 2, il 12,6% tre o più, che nello Stivale rappresentano meno dell’8 % delle famiglie. Secondo uno studio effettuato in Germania, il calo del tasso di fertilità e per il 68% legato alla diminuzione delle famiglie numerose.

Diminuisce la popolazione in Europa e in Italia

Al 1° gennaio 2021 vivevano in Europa 447.2 milioni di persone: 83.2 milioni in Germania (19 % del totale), 67.7 milioni in Francia (15 %), 59.2 milioni in Italia , 47.4 milioni (11 %) in Spagna.

Tra il 2020 e il 2021 si è registrata una diminuzione della popolazione di 278.000 unità: la diminuzione più forte si verifica in Italia, che ha perso in un anno - anche a causa del Covid - 405.000 abitanti, pari allo 0,7% della sua popolazione.

Il tasso di fertilità in Italia è sotto il livello di ricambio dal 1977 e i residenti in Italia diminuiscono già dal 2008: la forbice tra numero di nascite e morti si va allargando ogni anno. Il saldo naturale della popolazione mostra regolare il segno meno: -335.000 residenti nel 2020, -310.000 nel 2021. Dal 2012 ogni anno è record negativo di nascite dall’Unità di Italia.

Paghiamo decenni di disattenzione, di appelli inascoltati e allarmi caduti nel vuoto: con un tasso di fertilità di 1.2, l’Italia resta tra i Paesi meno fecondi del mondo e tra i più anziani. Nemmeno l’immigrazione riempie “il buco” di popolazione, a febbraio 2022 l’Italia è scesa a 58.929.000 abitanti.

Popolazione sempre più anziana, ragazzi in via d’estinzione

I progressi nel campo della medicina e la migliore qualità della vita hanno portato a un allungamento dell’aspettativa di vita che - dopo il dramma della Pandemia - si è assestata su una media europea di 82,8 anni per le donne e 77,2 per gli uomini.

Ancora meglio in Italia: per le donne è di 85,1 anni, per gli uomini di 80,6 anni (dati 2021, Eurostat).
L’età media degli abitanti d’Europa (dal neonato all’ultracentenario) è passata dai 38 anni del 2001 ai 44 del 2021; in Italia è di 47,6 anni (era 40,4 nel 2001)

Nel il 2021, il 21% della popolazione aveva 65 e più anni (era il 16 % nel 2001), gli ultra 80enni (che erano il 3%) sono arrivati al 6%. Nel frattempo, la porzione di giovani 0 -19 è scesa dal 23% nel 2001 al 20%.
A Malta, in Germania e Italia i giovani 0-19 costituiscono il 18% della popolazione, ampiamente superati dagli ultra 65enni che in Italia costituiscono il 24%. Diminuiscono anche bambini: nel 2021, il 15% della popolazione europea aveva meno di 14 anni (contro il 17% del 2001): più numerosi in Irlanda (20% della popolazione), sono una rarità in Italia, Portogallo e Malta (13%).

Una piramide sformata

 

Quella che una volta aveva la forma di una piramide, con la base della popolazione più ampia costituita da bambini e ragazzi e un vertice di grandi anziani, sta assumendo un aspetto sempre meno riconoscibile: la base si è assottigliata e allungata, i fianchi allargati dalla presenza dei “baby boomers”, i nati degli anni ’60. Diminuendo le giovani potenziali madri, bambini e giovani sono destinati a diventare una vera e propria rarità, in particolare in Italia.

 

E con i bambini e i giovani spariscono scuole, negozi di giocattoli, fabbriche di prodotti per l’infanzia. Ma soprattutto spariscono coraggio, entusiasmo, innovazione.

«I consumi interni tendono a calare - spiega Alfredo Caltabiano , del direttivo nazionale del Forum delle Associazioni familiari - l’innovazione e la competizione del nostro Paese si ridurrà sempre di più».

«Le invenzioni ed i brevetti - sottolinea Alfredo Caltabiano - sono frutto soprattutto dell’età giovanile (25-35 anni); ma abbiamo sempre meno giovani, e quelli più bravi se ne vanno all’estero. La domanda di immobili, e il valore degli stessi, è destinato a ridursi con l’aumento della mortalità degli anziani che lascerà liberi sempre più appartamenti mentre la richiesta di immobili si va riducendo perché nascono sempre meno famiglie».

«L’attuale sistema di welfare diventerà insostenibile, come il sistema pensionistico che non saranno in grado di reggere perché l’indice di dipendenza degli anziani sarà insopportabile. Il principale problema sarà però quello sanitario: le risorse non basteranno più a garantire gli attuali livelli di servizio. Non è un caso che si parla sempre più spesso di temi delicatissimi legati al fine vita».

Invecchia la popolazione, cala quella attiva

Non esagera Caltabiano a denunciare gli effetti dell’inverno demografico nel nostro Paese: secondo Eurostat la popolazione “attiva” - tra i 15 e i 64 anni in Italia ha raggiunto il suo picco nel 2017 con 25.340.000 unità per poi iniziare a scendere fino a 24.520.000 nel 2020 e nulla fa pensare che possa tornare a crescere.

 

Su 1.000 lavoratori - si legge nel Rapporto Ocse “Pension at a glance” - in Italia ci sono 395 pensionati (in Giappone 520), nel 2050 saranno 740: le generazioni di italiani che entrano oggi nel mercato del lavoro andranno in pensione a 71 anni, contro una media Ocse di 66 anni.

Per l’Italia, che è tra le nazioni Ocse che più spendono in pensioni (15,4% del Pil), il calo delle nascite significa anche l’impossibilità di sostenere il sistema pensionistico e la spesa per la sanità pubblica.

Calano le nascite, cala anche il Pil

 
Gian Carlo Blangiardo

presidente dell’Istituto italiano di statistica Italiano Istat

«Il Pil come valore assoluto è il risultato della moltiplicazione di diversi fattori: produttività, forza lavoro, tasso di occupazione, percentuale di popolazione attiva sul totale della popolazione, popolazione totale, per un totale di 1.700 miliardi di euro - spiega il prof Gian Carlo Blangiardo, presidente dell’Istituto italiano di statistica, l’Istat -. Se i primi tre fattori restano fermi ma gli ultimi due diminuiscono per effetto della demografia, va da sè che si abbassa anche il Pil. Entro 50 anni, si potrebbe arrivare a perdere il 32% del Pil».

Diminuiscono le nascite, diminuiscono i lavoratori: «La consistenza numerica della popolazione in età lavorativa è conseguenza del numero di nascite negli anni precedenti- ricorda Blangiardo - ed è destinata a diminuire: entreranno sempre meno giovani nel mercato dl lavoro e usciranno generazioni particolarmente numerose, quelle dei nati negli anni ’60».

Da anni il professore richiama l’attenzione sulla sostenibilità demografica dell’Italia. «Nel 1990 ho pubblicato un libretto - “Meno Italiani… più problemi” - dove scrivevo gran parte delle cose che ripeto oggi». Ma il presidente dell’Istat non si stanca di vedere il bicchiere mezzo pieno.

«Cambiare è ancora possibile. Dovremmo puntare a 500.000 nuovi nati all’anno entro il 2070 e raggiungere un tasso di fertilità di 1,8-1,9 figli per donna. Non è impossibile ma bisogna tener conto che remiamo controcorrente»

«Il numero delle mamme potenziali diminuisce, le 15-49enni che oggi sono 12 milioni nel giro di 50 anni saranno 8 milioni, la potenzialità riproduttiva che perdiamo è del 40%. L’ideale sarebbe avere qualche risultato prima del 2070, perché prima recuperiamo, più attenuiamo le conseguenze negative del calo».

Cosa fare? «Occorre rimuovere i fattori che impediscono le nascite, la mancanza di conciliazione famiglia-lavoro, il costo dei figli, la mancanza di cura, una cultura contraria….»

Anche le aziende possono avere un ruolo? «L’imprenditore ha l’obiettivo del profitto e spesso non vede il collegamento. Ma se è illuminato, se il suo obiettivo non sono solo i soldi, ma la vita, le relazioni, il suo territorio e l’ambiente, può agire per migliorare la qualità della vita dei suoi dipendenti e della comunità. Ci sono esempi di imprenditori illuminati: Olivetti, i Crespi del Villaggio… A muoversi non deve essere solo lo Stato, che è rallentato dalla burocrazia: il privato può agire con più velocità e elasticità. E poi vivere in un contesto sereno, con l’atmosfera di chi crede e investe nel futuro fa anche bene all’azienda...».

Checklist

Le parole chiave da ricordare

  1. Saldo naturale

    Differenza tra il numero dei nati e il numero dei morti in un periodo determinato
  2. Pil

    È il prodotto interno lordo, la ricchezza prodotta in un Paese dall’insieme della produzione e dei servizi. Si calcola moltiplicando tra loro i dati relativi a produttività, forza lavoro, tasso di occupazione, percentuale di popolazione attiva sul totale della popolazione, popolazione totale. Per l’Italia è di 1.700 miliardi di euro all’anno
  3. Il tasso di fertilità

    È il numero medio di figli per donna di un Paese. L’equilibrio demografico si verifica con un tasso pari di 2,1. Il tasso di fertilità attuale in Italia è di 1,2
  4. Indice di dipendenza degli anziani

    Rappresenta il rapporto tra popolazione attiva e anziani (over 65). In Italia per Ocse è del 38,5%, cioè 385 anziani su 1000 lavoratori
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