Bergamasco eroe dei soccorsi
premiato in Nuova Zelanda

Nelson, Nuova Zelanda. Due turisti stanno facendo trekking nel Parco nazionale: è inverno e, improvvisamente, si abbatte su di loro una tormenta di neve. I fiocchi incessanti li mandano in confusione: perdono il sentiero e realizzano che non riusciranno a raggiungere il rifugio. Mentre vagano alla ricerca di rocce possenti in grado di ripararli dal freddo, intercettano una zona in cui i cellulari hanno campo: la loro sola ancora di salvezza.

Dopo dieci ore trascorse a -20 gradi Celsius e a un soffio dal decesso per ipotermia, ecco spuntare all’orizzonte tre eroi: Richard Walker, Mika Verheul e Silvano Lorandi. Nome e cognome, questi ultimi, ben poco neozelandesi: Lorandi, 49 anni, è di Sovere, ma dal 2002 vive a Nelson insieme alla sua famiglia (Judi, la moglie, e Patric e Isabella, i figli di 17 e 16 anni). Per questa missione al limite del possibile Silvano – che lavora come carpentiere e da cinque anni è volontario nel gruppo di salvataggio LandSAR – è stato insignito della medaglia d’oro per aver prestato il soccorso più difficile del 2015: a premiare lui e i due colleghi, il vice ministro dei Trasporti neozelandese, Craig Foss.

La notizia è rimbalzata subito agli onori delle cronache, ma guai a definirlo un eroe: «Ho fatto solo il mio dovere, mettendo a disposizione della comunità quello che ho imparato negli anni passati nelle fila del Cai di Lovere come istruttore regionale – spiega –. Certo, non mi era mai capitato di cimentarmi in un’impresa tanto rischiosa: solitamente ci chiamano per trovare gli anziani che scappano dagli ospizi, o persone malate di Alzheimer che si perdono».

Un po’ di timore, però, l’ha avuto quel 5 settembre 2015: un giorno di cui ricorda ogni particolare. «Erano le 18 di sabato sera: io e la mia famiglia stavamo giocando a “Ticket to ride”, una specie di “Monopoli”. Squilla il cellulare e mi dicono che bisogna soccorrere due escursionisti: a causa del forte vento, l’elicottero non riusciva a recuperarli. Ci siamo incamminati – muniti del kit per le emergenze – e arrivati ai laghi di Nelson ammetto di aver provato paura: c’era buio, la bufera impediva di avere una visuale decente e soffiavano raffiche gelate. Nonostante conoscessimo a menadito quella valle, ci siamo smarriti un paio di volte. Mi rincuoravano la profonda fiducia che nutro nei confronti dei miei compagni di avventura, così come il sapere che avevamo l’esperienza e gli strumenti necessari per creare un bivacco di fortuna. Dopo nove ore di marcia abbiamo raggiunto la cresta: erano le 5 del mattino».

«Alla vista di quei poveri ragazzi, ho provato compassione – ricorda Lorandi –: giacevano inermi, ormai sommersi dalla neve che li ricopriva. Mika, la dottoressa che era con noi, ha cercato subito di scaldarli, ma avevamo bisogno di un posto in cui tenerli al riparo: ho montato la tenda e li abbiamo trascinati dentro, spogliati di quegli indumenti fradici e infilati dentro al sacco a pelo. Per capire quanto freddo facesse, vi basti pensare che non ho fatto in tempo ad appoggiare a terra la bottiglia di plastica con cui avrei preparato un the, che in superficie si era formata una patina di ghiaccio. Poi, finalmente, alle 13 l’elicottero è riuscito ad avvicinarsi e li abbiamo caricati a bordo. La giovane età li ha avvantaggiati, perché si sono ripresi in fretta, senza necessitare di ulteriori cure. Poi, di loro, abbiamo perso le tracce: è normale non si siano più fatti vivi, perché a seguito di un trauma simile si attuano meccanismi di rimozione».

La fascinazione di Lorandi per la Nuova Zelanda ha inizio ben primo del reale trasferimento. «Appena finito il militare, a 22 anni, mi ero messa in testa di conoscere il mondo e sono partito alla volta dell’Oceania, per imparare l’inglese. Fu un doppio colpo di fulmine: rimasi estasiato di fronte alle infinite distese di verde, pascoli e fattorie – che tutti hanno potuto ammirare ne “Il signore degli anelli” – e, poi, conobbi Judi. Dopo qualche mese dovetti far ritorno a Sovere e la nostra relazione proseguì a distanza: troppo difficile stare lontani quando si è innamorati. Così, nel 1995, mi raggiunse: Patric e Isabella sono nati a Bergamo, ma nel 2002 abbiamo deciso di fare le valigie e prendere un volo di sola andata per Nelson, perché offriva maggiori prospettive ai nostri figli. Ho lasciato un impiego che amavo – all’ufficio marketing della Scame di Parre – e mi sono reinventato, partendo dal basso: il primo anno ho raccolto mele, poi ho riscoperto il piacere dei lavori manuali. Sono un carpentiere –una via di mezzo tra un muratore e un falegname – e costruisco case: le fanno in legno, un po’ perché siamo circondati da alberi, ma soprattutto in virtù della loro flessibilità in caso di terremoti, considerato che è una zona altamente sismica. Inoltre esiste una grande attenzione nei confronti dell’architettura green, che si traduce in abitazioni a impatto zero. La gioia che mi arreca questa professione mi ha fatto capire di essere più orobico di quanto pensassi: del resto siamo famosi per le nostre doti da “magut”, no?».

A Nelson ha conosciuto un altro bergamasco, che però è tornato in Borgo Palazzo per assistere i genitori. «Peccato: ora non ho più nessuno con cui parlare di Atalanta. Invece esiste una grande comunità campana, originaria di Massa Lubrense. Negli scorsi decenni hanno importato la coltivazione del pomodoro ed è grazie a loro se riesco a ricreare i nostri sapori: mi preparo le conserve di sugo e persino il pesto. Qui, altrimenti, si mangerebbero carne e pesce da mattina a sera».

Sebbene tessa le lodi di Nelson «bella, a misura d’uomo, offre tante possibilità», Lorandi confessa di avere molta nostalgia di Sovere. «Ogni sera leggo il sito de L’Eco per sentirmi più vicino a casa. Qui sono felice, ma non escludo il ritorno. Anche perché i miei figli – che hanno la doppia cittadinanza – stanno contemplando di iscriversi all’Università in Italia. Come mi dice sempre Patric “L’Italia è stupenda: peccato sia così lontana”. E ha ragione: ogni volta che torno, mi sembra sempre più bella».

Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con Brembo Spa. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per sei mesi l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected].

© RIPRODUZIONE RISERVATA