Usura sull'asse Bergamo-Milano
La Dia sequestra 2.5 milioni di euro

La Dia di Milano ha sequestrato beni immobili per un valore di oltre 2.5 milioni di euro. Indagato Dario Pandolfi, in carcere da giugno. Arrivati i sigilli in un appartamento a Fara d'Adda.

Un elegante appartamento al primo piano di una palazzina di via Bergamo a Fara d'Adda, con tanto di mansarda e cantina, è l'ultimo immobile sequestrato dalla Direzione investigativa anfimafia di Milano perché acquistato dalla 'ndrangheta utilizzando i capitali accumulati con l'usura. Si aggiunge ai tre appartamenti e all'ufficio commerciale già sequestrati a giugno a Brembate e alle quattro abitazioni poste sotto sequestro a Trezzo Sull'Adda, sempre la scorsa estate.

Giovedì la Dia ha portato a termine la seconda fase di un'operazione che, appunto a giugno, aveva portato in carcere Dario Pandolfi, 61 anni, nato a Palosco e residente a Montello (ma domiciliato a Milano), finito in carcere a Milano con altre tre persone per aver concesso a un imprenditore milanese in difficoltà economiche, Augusto Agostino, prestiti per oltre un milione con tassi superiori al 40% mensili. Pandolfi faceva parte di quello che era stato ribattezzato dallo stesso imprenditore davanti al pm Mario Venditti come il «gruppo dei bergamaschi» proprio perché Pandolfi ne era, secondo l'accusa, a capo: assieme agli altri arrestati - Giovanni Forti, 51 anni, di Novara, Elio Nestola, 57 anni, lecchese residente a Milano, e Vito Leonardo Moro, 47 anni, di Brescia - prestava soldi senza farsi problemi a organizzare pestaggi per ottenere indietro il denaro con i pesanti interessi, ma fornendo anche, nel classico stile mafioso, protezione da un clan di altri creditori calabresi legati alla 'ndrangheta con i quali vantavano delle «amicizie». Pandolfi gestiva, pare usando come prestanome il fratello Pietro, la società milanese «Rodes», ufficialmente un'impresa immobiliare. Ma i suoi conti - scrive il gip milanese Giuseppe Gennari - «vengono impiegati, in entrata e in uscita, per gestire tutte le movimentazioni finanziarie legate all'usura».

L'imprenditore aveva ottenuto in prestito oltre un milione di euro, restituendone oltre uno e mezzo, con guadagno «netto» per gli usurai di 491.390 euro. Soldi che, secondo gli inquirenti, erano stati puntualmente reinvestiti in immobili, anche nella Bergamasca. A giugno la Dia milanese aveva sequestrato appunto case per un milione di euro, ieri la seconda parte dei sequestri, per ulteriori 1,5 milioni in case e uffici, tutti riconducibili a Pandolfi. La scorsa estate erano stati apposti i sigilli a tre appartamenti e a un ufficio di Brembate, in via IV Novembre, mentre ieri è scattato il sequestro della casa di Fara d'Adda. Nel Milanese, invece, gli altri sequestri, tra cui quello di una maxi villa con cinque autorimesse a Gorgonzola. Tutti immobili che sarebbero stati acquistati in contanti, visto che gli accertamenti degli inquirenti sui redditi di Pandolfi e dei suoi familiari (ai quali i beni erano stati sequestrati) non hanno confermato queste entità patrimoniali, anzi. E proprio nell'intricato mondo dell'usura si era inserito anche l'omicidio di Giovanni Ghilardi, l'imprenditore di Nembro ucciso con due proiettili in testa e trovato senza vita nel baule della sua Land Rover a Gessate (Milano) il 10 febbraio 2010: un ambiente nel quale, secondo chi indaga, aveva bazzicato la stessa vittima. Lo scorso ottobre era stato rinviato a giudizio per usura ed estorsione Giambattista Zambetti, amico di Ghilardi. Entrambi erano stati denunciati, nel 2009, proprio da Dario Pandolfi, oltre che da suo fratello Pietro e da Giovanni Forti: i tre avevano raccontato di aver ricevuto, nel 2008, un prestito di 150 mila euro da Ghilardi e Zambetti, con tasso del 10% mensile, venendo minacciati di morte ? sempre secondo la denuncia ? proprio dai due imprenditori. In questo contesto, secondo gli inquirenti, si inserisce l'uccisione di Ghilardi, anche se chi l'ha ucciso non è mai stato scoperto. A pochi anni di distanza a finire nei guai, sempre per usura, sono poi stati proprio Pandolfi e Forti.

Fabio Conti

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