La nuova America
e l’eredità di Obama

La politica estera di Barack Obama è stata tutt’altro che il «disastro», appena denunciato da Donald Trump. Anzi, facendo di necessità virtù, l’attuale presidente Usa ha rivoluzionato i rapporti internazionali, puntando sul potenziale innovativo dell’America e non solo sulla forza del cannone. Era infatti diventato urgente nel gennaio 2009 fermare tutte le guerre e riorganizzarsi il prima possibile.

Inoltre i cambiamenti epocali, quali la globalizzazione e l’evoluzione tecnologica, necessitavano un nuovo approccio. Il risultato di 7 anni di lavoro è ormai chiaro: gli attuali Usa sono molto differenti da quelli del secondo mandato di George W. Bush. Ecco perché non siamo così sicuri che il «21° secolo sarà cinese», come numerosi osservatori hanno predetto. Nessuno dovrebbe dimenticarsi che la crisi finanziaria dell’autunno 2007 - la peggiore dal 1929 - ha scosso gli Stati Uniti fin dalle fondamenta. Non fu pertanto casuale la vittoria del primo presidente di colore.

Dal 2009 gli Stati Uniti hanno portato avanti una politica estera di disimpegno, quasi una ritirata come quella famosa del generale russo Kutuzov contro Napoleone. Quel calcolo ha avuto successo. Grazie alla rivoluzione dello scisti (shale), ad esempio, nel 2018 l’America sarà energicamente indipendente. Per questa ragione, oggi il Medio Oriente non è più strategicamente fondamentale per Washington come in passato. Gli Usa non devono controllare attivamente le rotte del petrolio e la Casa bianca si può permettere di non giustificare l’intera linea politica dell’Arabia Saudita. Dunque, Barack Obama si è messo nella condizione di iniziare una nuova politica e di cercare soluzioni all’interminabile scontro con l’Iran. Ma prima è stato capace di creare un fronte unito occidentale contro Teheran, che, dopo 3 anni di dure sanzioni economiche, è diventata più malleabile e nel luglio 2015 ha firmato l’accordo sul programma nucleare.

Cosa è successo nel frattempo in Medio Oriente senza l’intervento diretto statunitense? Gli europei hanno mostrato che sono più interessati alla creazione della loro Unione che ad una politica estera comune. In Siria sono apparsi altri giocatori, ossia i Paesi Arabi, i «tagliagole» radicali e la «fenice» russa. Washington sa, però, che la vera battaglia per il primato nel ventunesimo secolo si combatte nella dinamica regione del Pacifico. Già nel 2001, gli Stati Uniti volevano concentrarsi sul «contenimento» della Cina come loro prima priorità in politica estera. La tragedia dell’11 Settembre cambiò tutto. Obama ha ora consolidato militarmente, politicamente ed economicamente gli Usa in Asia.

In futuro gli storici valuteranno quanto l’ottenimento del premio Nobel per la pace nei primi mesi di presidenza ha influenzato le sue scelte. E certamente quanto la situazione interna lo ha spinto verso scelte così audaci. Sicuramente Obama era certo che nel 21° secolo le guerre moderne sono principalmente combattute sui mercati finanziari, sugli scambi economici e commerciali, e sul campo dell’innovazione.

Nel settore finanziario oggi Wall Street continua a dettare legge. In quello commerciale Washington sta formando un mercato di «amici» in Asia (anti-cinese) ed in Europa col 70% del Pil mondiale, mentre gli specialisti di tecnologie innovative continueranno a volare in America per trasformare i loro sogni in realtà. Questa è la ragione per cui gli Stati Uniti sono destinati a mantenere il vantaggio nei campi innovativi. Non dimentichiamo che società come Apple, Facebook, Google hanno già fatturati maggiori dei Pil di Stati sovrani.

Dopo i successi nella normalizzazione dei rapporti con Cuba, della via d’uscita per i bond della «gringo critica» Argentina, della prossima possibile presenza ad Hiroshima e a Nagasaki, dell’accordo sul clima da lui ispirato, dall’aver rinsaldato lo strategico rapporto con l’Unione europea, Barack Obama lascerà una pesante eredità. E il prossimo inquilino della Casa bianca disporrà di maggiori risorse finanziarie per una politica estera più attiva che negli ultimi 8 anni. Certi autocrati sono avvertiti: il loro tempo sta giungendo a termine.

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