Quale mediazione
sulle adozioni

In Parlamento sono giorni di mediazione sul testo di legge Cirinnà che introduce le unioni civili nel nostro Paese. La politica si sa è l’arte della mediazione. I punti su cui si sta cercando un accordo sono due. Primo, come disciplinare legalmente le unioni civili anche tra persone dello stesso sesso, senza equipararle in tutto al matrimonio. E secondo come concedere alle coppie gay di adottare il figlio di uno dei partner senza ledere «il supremo interesse del minore». La prima sembra sia una questione di linguaggio, giusto per non confondere due realtà diverse, che però stando al testo attuale hanno gli stessi diritti.

Infatti, in questo momento, anche alle unioni gay vengono riconosciuti gli identici diritti della famiglia fondata sul matrimonio. Se a due persone che convivono in modo stabile viene riconosciuto il diritto al muto soccorso per ciò che riguarda l’assistenza sanitaria, il consenso alle cure mediche, poter decidere per il partner in coma, penso sia una questione di rispetto della persona e di quel legame d’affetto che c’è con chi lo assiste.

Ma se parliamo del diritto alla pensione di reversibilità c’è da chiedersi perché deve avere diritto alla pensione di reversibilità alla morte del convivente il compagno omosessuale e non un figlio che vive col genitore e lo assiste fino all’ultimo istante della sua vita? Anch’esso evidentemente è unito da un legame affettivo di lunga durata. Per questo, solo dopo aver fissato con nitidezza la differenza tra queste nuove unioni e la famiglia così come prevede la Costituzione (all’art. 2 e art. 29) si potrà procedere al riconoscimento dei diritti. Questa operazione dovrà essere fatta valutando tra i vari diritti in questione se far prevalere le ragioni della differenza oppure le ragioni dell’analogia, non però tra diversi modelli di famiglia, ma tra famiglia e altre forme di convivenza legalmente riconosciute.

Sul secondo punto, cioè l’adozione del figlio del partner, a me sembra che lo spazio per mediare sia molto ristretto a meno che non si escluda a priori di considerare anche il bene del figlio. Infatti la questione è se un figlio può o non può diventare «oggetto» di diritto. Perché se è oggetto di diritto allora può essere preteso da chiunque, anche da chi non avrebbe alcuna possibilità biologica di generare come singoli e anziani, oltre a coppie omosessuali. E ancora, se oggi si da diritto a una coppia omosessuale di procurarsi un figlio, domani perché non lo può fare anche una organizzazione o lo stesso Stato? Nell’attuale legge sulle adozioni è ben chiaro che il bene primario è quello del bambino, da qui si parte per essere riconosciuti come genitori, non viceversa. Per questo la soluzione migliore sarebbe quella di stralciare la stepchild adoption dall’approvazione delle unioni civili per poi trattarla a parte nell’ambito di una riforma dell’istituto delle adozioni. Diversamente chi sostiene il diritto del figlio ad avere per «genitore» anche il convivente omosessuale, come propone la Cirinnà, sta già pretendendo un altro diritto, quello di ogni coppia gay o lesbica a diventare «padri e madri» in forza di una convivenza legalmente riconosciuta come unione civile. Basterà a quel punto che una coppia gay, civilmente unita, vada da un giudice e chieda di poter accedere alla fecondazione eterologa, così come possono accedervi le unioni civili tra persone eterosessuali. E poiché come dice la nostra Costituzione «tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso» (art. 3) avranno diritto ad un figlio.

Se non vogliamo più permettere ai bambini di avere un grembo materno a cui essere grati, a riconoscersi nei volti dei loro genitori e ad avere il diritto a crescere con una mamma e un papà, allora siamo sull’orlo di un baratro culturale. La posta in gioco è molto alta. Giustizia vuole che si trovi un punto di equilibrio per tutelare i figli e la famiglia.

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