Voto e Pd, per Renzi
strada in salita

È tutta in salita la strada di Renzi e del governo: referendum, manovra finanziaria, vincoli europei di bilancio, post terremoto e ora la decisione di inviare (nel 2018) 140 soldati italiani schierati dalla Nato in Lettonia con funzioni di deterrenza nei confronti di Mosca. Tutto si complica, anche se si è entrati in una fase di apparente tregua nel Pd con la decisione di istituire una Commissione per trovare un punto d’incontro con l’opposizione interna sull’Italicum in modo da neutralizzare l’annunciato No di Bersani e dei suoi.

Si è ancora in tempo e, soprattutto, c’è la volontà di ricucire dopo l’ennesima replica di un copione che si trascina dall’inizio della gestione renziana? Il 4 dicembre non si vota sull’Italicum, ma il legame con il nuovo Senato c’è: nascono insieme e muoiono insieme. C’è coerenza fra le due normative e la conferma viene sia dal Sì sia dal No, ma per motivi opposti. I primi dicono che riforma costituzionale ed elettorale si tengono, perché colgono l’obiettivo del cambiamento: la stabilità di governo, ma sempre nel quadro di un sistema parlamentare, rispettando così il dettato costituzionale. I secondi affermano che proprio per questo governo e maggioranza accentrano troppi poteri e ci si incammina verso un semipresidenzialismo mascherato. Al centro del dibattito rimane la questione essenziale: quanto tocca alla governabilità e quanto spetta alla rappresentanza.

Il conflitto a rischio scissione è riesploso mentre Renzi, fatto il passo a lato, ha messo sul piatto la legge elettorale, disposto a ridiscutere ballottaggio premio e collegi, e mentre la sinistra interna subisce la concorrenza «esterna» di D’Alema e forse fiuta un vento favorevole. Nel frattempo l’area dissidente potrebbe correre su un doppio binario: negoziare in extremis le riforme e aprire il confronto sui contenuti della legge di Bilancio. Un’insidia in più per il premier. Al di là di qualche esercitazione teorica sull’identità del partito all’indomani del 4 dicembre (due partiti in uno, partito della nazione o ulivista), l’impressione è che la campagna elettorale si sia trasformata nel contenitore dei problemi irrisolti del Pd e che il progetto delle opposizioni di cogliere l’occasione per mandare a casa il capo del governo prospetti l’equivalente di un’elezione politica. Là dove, come ricordano i più responsabili di entrambi i fronti, la scelta è solo sulla riforma costituzionale, punto. In una situazione di stallo tendente al brutto, è probabile che l’area bersaniana vada per la propria strada, disimpegno già messo nel conto dal premier. Il quale, dopo questo negoziato, potrebbe dire: ho fatto di tutto, ma la rottura è colpa vostra. E gli altri di rimando: abbiamo cercato il dialogo e a questo punto la responsabilità è tua.

Non è inoltre immediato capire se la sinistra interna sia un gruppo coeso o soltanto un insieme di individualità, ma è chiaro che paga il punto di partenza: l’assenza di reciproco rispetto fra Renzi e Bersani. Passi per personaggi come Cuperlo o Speranza, ma se l’ex segretario dovesse confermare il No, questa scelta potrebbe far male all’attuale leader: il profilo anche simbolico di Bersani, tutto dentro la storia riformista, ha un suo peso specifico ed è circondato dall’affetto dei militanti in sofferenza, a differenza per esempio di un D’Alema, nome antico che divide. Si capisce così perché Renzi, intestandosi politicamente la campagna referendaria, debba chiedere direttamente il consenso degli italiani, sapendo che per potercela fare deve pescare dall’altra parte, fra l’elettorato mobile e non ideologico: un po’ di moderati berlusconiani, frange che hanno votato Grillo ma non militanti e aperte al cambiamento. La sfida è a dismisura: 2 contro 1, 5 Stelle e centrodestra contro il Pd di Renzi, per quanto un Berlusconi distaccato dall’attualità politica dia l’idea di non credere più di tanto nella battaglia referendaria.

Il referendum sconta il fatto di essere nato male, cioè in una condizione iperpolitica e dispiegatosi su una maratona senza precedenti quanto a tempi, lasciando in eredità fratture che andranno ricomposte, dato che c’è un limite alle divisioni. Questo ci è parso il senso del recente intervento del presidente Mattarella perché non si è certo in presenza della fine del mondo ma, qualunque sia l’esito, il 5 dicembre sarà l’inizio di un’altra storia.

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