Siamo giunti al termine del nostro viaggio all’interno dei primi dodici articoli della Costituzione italiana, i Principi fondamentali, che abbiamo affrontato qui e qui. A questo punto mi è sembrato doveroso rendere omaggio a uno dei più insigni giuristi italiani, Piero Calamandrei, membro dell’Assemblea Costituente e attivo protagonista della Commissione dei 75 che, nel suo seno, ebbe il compito di elaborare la nuova Costituzione repubblicana, destinata a sostituire il monarchico Statuto Albertino.
Vi leggerò quindi, nell’ultima puntata del podcast di « Esplorando la Costituzione », lo splendido discorso che Calamandrei pronunciò il 26 gennaio 1955 a Milano nel Salone degli Affreschi della Società Umanitaria, in occasione dell’inaugurazione di un ciclo di sette conferenze sulla Costituzione italiana organizzato autonomamente da un gruppo di studenti universitari e medi per illustrare in modo accessibile a tutti i principi morali e giuridici posti a fondamento della Carta costituzionale e della nostra vita associativa.
Ma chi era Piero Calamandrei? Nacque a Firenze il 21 aprile 1889 da Rodolfo e Laudomia Pimpinelli. Il padre, di ideali mazziniani, era professore di diritto commerciale e fu deputato repubblicano dal 1906 al 1908. Seguendo la tradizione familiare, il giovane intraprese gli studi giuridici nell’Università di Pisa e si laureò nel 1912. Recatosi a Roma per perfezionarsi negli studi, cominciò in quegli anni la propria svolta ideale, evidente nei suoi primi saggi. Nel 1915 ottenne la cattedra di Diritto processuale nell’Università di Messina ma, sopravvenuta la guerra, si arruolò volontario, terminando il conflitto con la decorazione della croce di guerra e il grado di capitano. Dopo la fine della guerra tornò all’insegnamento universitario a Modena e al lavoro scientifico, in cui dimostrò una grande propensione per le riforme, con la preoccupazione per un “diritto perpetuamente in pericolo” e con l’impegno per la salvaguardia dei valori della legalità e della certezza del diritto.
Intanto si era sposato con Ada Cocchi, da cui ebbe un figlio, Franco, al quale dedicò alcuni scritti per l’infanzia, mentre gli studi giuridici erano diretti ad approfondire il tema del processo e dell’amministrazione della giustizia. Un progressivo ampliarsi degli interessi, ormai negli anni del fascismo, lo portò alla scoperta dell’impegno politico. Dopo il delitto Matteotti aderì alla società Italia libera e fu in stretti rapporti con gli antifascisti fiorentini. Il consolidarsi del regime lo vide di nuovo impegnato negli studi nell’ateneo fiorentino in cui era giunto nel 1924. Ai numerosi scritti giuridici alternò in questa fase anche scritti letterari, limitando l’attività pubblica ai lavori di riforma della codificazione, in particolare con un notevole contributo al nuovo codice di procedura civile del 1942.
Nel 1941 aveva aderito al movimento Giustizia e libertà e nel 1942 fu tra i fondatori del Partito d’Azione. All’indomani della caduta del fascismo divenne Rettore dell’Università di Firenze, ma dopo l’8 settembre, colpito da mandato di cattura, fu costretto a rifugiarsi in Umbria finché, liberata Firenze, riassunse le funzioni di Rettore e cominciò il periodo di “scrittore politico”. Eletto alla Costituente in rappresentanza del Partito d’Azione, partecipò attivamente ai lavori di preparazione della Costituzione come membro della Commissione dei 75 e come relatore sull’ordinamento della magistratura e sulla Corte costituzionale.
Quando il Partito d’Azione si sciolse, entrò a far parte dell’Unione dei Socialisti, nelle cui liste fu eletto alla Camera nel 1948. Continuò la sua intensa partecipazione nella vita socio-politica dell’Italia post bellica, vigilando in modo critico e costruttivo sulla delicata fase delle prime applicazioni della nuova Carta Costituzionale. La morte lo raggiunse a 67 anni, nel settembre del 1956, per le complicazioni di un intervento chirurgico. Nel 1955 aveva pronunciato per gli studenti milanesi il famoso discorso che abbiamo voluto registrare.
Come possiamo salutarci a conclusione del percorso, spero solo introduttivo, nella conoscenza dei principi e valori che animarono i nostri Padri costituenti?
La vita civile non è sempre “rose e fiori” e talvolta il cittadino può avvertire una certa stanchezza, o addirittura distacco, dall’attualità di un paese che deve affrontare notevoli difficoltà per consentire a tutti quella «vita libera e dignitosa» di cui parla la Costituzione. La congiuntura internazionale in questo momento è certamente foriera di preoccupazioni riguardo il raggiungimento della «pace e giustizia fra le Nazioni», cui ancora ci richiama il dettato costituzionale. Ecco perché è sempre più importante recuperare i valori fondanti della nostra Repubblica, quasi “abbeverarci” a essi, farli diventare il substrato vivo ed imprescindibile dell’azione di chi ricopre responsabilità istituzionali, ma anche della vita di tutti noi. Siamo infatti membri di una società civile, destinatari e protagonisti di cambiamenti normativi e comportamentali, volti alla creazione di quella società più giusta che, come ci ricorda Calamandrei, tanti sacrifici costò alle generazioni che ci hanno preceduto.
Rivolgo un caro saluto e un ringraziamento a quanti avranno voluto accedere al podcast di «Esplorando la Costituzione», a disposizione di tutti nella sezione Podcast di Eppen, corredato da qualche breve spiegazione (magari in vista della maturità?), e sulla piattaforma Mixcloud.