Il calcio come rito
di massa globale

Gli stadi come cattedrali? Lo sport come nuova fede? Parallelismi arditi. A giudizio di Marc Augé, il calcio non è più un rito di massa in senso metaforico, ma in senso pieno: per milioni di uomini «è sufficiente a dare un significato a tutta la vita». Le Edizioni Dehoniane, una delle maggiori case editrici cattoliche italiane, hanno pubblicato per la prima volta in Italia «Football. Il calcio come fenomeno religioso», un saggio scritto dall’antropologo francese oltre trent’anni fa.

Spiega oggi il celebre autore di «Nonluoghi»: «Nonostante sia diventato un simbolo della globalizzazione finanziaria, e nonostante gli scandali e le violenze, il calcio continua ad affascinarci. Se ciò accade, è proprio perché ha una dimensione per certi versi religiosa».

L’Inter ai cinesi, il Manchester City agli Emirati, il Paris Saint Germain a un fondo del Qatar. Oggi le squadre sono composte di giocatori provenienti da tutto il mondo e spesso sono in mano a proprietari stranieri, tanto che la loro identità diventa incerta. I tifosi continuano a identificarsi con la squadra del cuore, anche quando non ha più alcun legame con il territorio in cui è nata. Perché le squadre sono diventate veri e propri totem. «Un totem – spiega Augé – è un colore, un animale, un simbolo, attraverso il quale un gruppo si rappresenta e s’identifica, indipendentemente dalla sua consistenza reale: serve a suscitare il desiderio d’adesione, l’appartenenza a una comunità. Nel calcio si acclamano il nome e i colori della squadra, indipendentemente dalla sua composizione reale». Anche il teologo brasiliano Leonardo Boff – le cui riflessioni ambientali sono state citate più volte nell’enciclica «Laudato si’» – racconta il calcio come «religione laica universale».

Papa Francesco è ricorso più volte all’icona del calcio per raccontare la fede. Per esempio, durante la Gmg del 2013 in Brasile, aveva detto ai giovani: «Che cosa fa un giocatore quando è convocato a far parte di una squadra? Deve allenarsi, e molto! Così è la nostra vita di discepoli del Signore». Parole di un Pontefice «sportivo», che ha portato fino in Vaticano l’amore per la maglia del San Lorenzo, club della sua Buenos Aires.

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