Bimbi morti di fame e sete in mare: reati e umanità

Il commento. L’omissione di soccorso è un reato perché lascia persone in pericolo di morte sole a sè stesse. Un’infrazione dei codici e prima ancora del principio di umanità e di civiltà, che non riguarda solo chi è vittima di un incidente stradale e non viene aiutato ma anche chi rischia di perdere la vita mentre attraversa il Mediterraneo. Uomini, donne e bambini prima ancora che migranti illegali.

Ciò che è successo nei giorni scorsi nel Mare Nostrum rappresenta il punto più basso del cinismo degli Stati. Sette rifugiati siriani, tra cui quattro bambini a bordo di due imbarcazioni, sono morti di fame, di sete e per ustioni gravi. Una è giunta a Pozzallo, in Sicilia. L’altra è rimasta alla deriva senza soccorsi, nonostante i ripetuti Sos partiti dal natante. Le vittime facevano parte di un gruppo di 26 persone che si trovavano in mare da giorni. Due dei piccoli avevano meno di 2 anni, l’altro 12. Cono loro sarebbero morti anche la madre e la nonna. I cadaveri sono stati gettati in mare quando hanno cominciato ad accumularsi. Un’altra donna e sua figlia sono state trasportate in ospedale con un intervento dell’elisoccorso maltese avvenuto domenica scorsa, a conferma di come i profughi siano stati volutamente abbandonati nonostante i ripetuti allarmi.

Il rimpallo di responsabilità tra Malta, Grecia, Cipro e Italia non è la risposta adeguata a una tragedia che tocca il vertice del dolore: morire di stenti. L’Alto commissariato Onu per i rifugiati ha ricordato che da gennaio hanno perso la vita o sono scomparse nel Mediterraneo 1.200 persone che cercavamo la salvezza da guerre, persecuzioni o povertà. La politica impegnata in campagna elettorale si è tenuta alla larga da questo enorme dramma: i superstiti giunti a Pozzallo sono stati soccorsi anche dal sindaco, il medico Roberto Ammatuna: «Un’immagine terribile - ha detto - paragonabile a quella dei sopravvissuti nei lager nazisti». Parole forti ma che non hanno scosso i partiti, forse per paura di pronunciare parole diverse da quelle securitarie e che fanno perdere consensi. «La classe politica, tutta, deve dire nettamente che i bambini e le bambine non possono morire in mare» chiede il portavoce di Unicef Italia, Andrea Iacomini. «I partiti lascino per un giorno l’agenda - ha aggiunto - e pensino che tragedie atroci come questa, che avvengono da anni, non possono essere tollerate. Riteniamo necessario rafforzare il soccorso in mare perché è un modo fondamentale per evitare morti come queste». Va ripristinato il meccanismo di ricerca e soccorso guidato dagli Stati. Oggi a salvare vite ci sono solo le (poche) navi delle organizzazioni non governative, in passato ignobilmente criminalizzate (ma sono uscite pulite da tutte le venti inchieste giudiziarie che le hanno coinvolte) perché, secondo una visione miope, attirerebbero immigrati illegali verso l’Europa. Negli ultimi giorni si moltiplicano le partenze di profughi di guerra siriani dalle coste del Libano, Paese sprofondato nella povertà per il malgoverno. Si tratta di persone che fuggono da un conflitto in corso da 11 anni e che potrebbero avere diritto allo status di rifugiati. Ma da lontano le patiamo, da vicino le respingiamo. Loujin Ahmed Nasif, siriana di 4 anni, è morta il 6 settembre scorso nel Canale di Sicilia nonostante i ripetuti appelli di «Alarm Phone», deceduta tra le braccia della madre mentre chiedeva da bere. Assieme a loro per 10 giorni su un peschereccio con 60 migranti, senza più cibo né acqua (c’è chi beve quella del mare correndo rischi per la salute), c’era anche la sorellina di appena un anno.

Le partenze, oltre che dal Libano e dalla Libia, avvengono ora anche dalla Turchia. Cipro ha messo in atto respingimenti sistematici delle barche in arrivo e il governo di Beirut ha accettato di riprendere queste persone. Ovviamente ognuno è libero di pensarla come crede sull’immigrazione, ma non si può derogare da principi di umanità e civiltà, pena il decadimento nella barbarie. Il moto a soccorrere chi è in grave difficoltà non è un’ideologia o una scelta politica, ma una risposta del cuore al bisogno del prossimo. Quella che ha mosso un gruppo di residenti a entrare in acqua per portare in salvo sabato scorso 58 migranti sbarcati sulla spiaggia di Sant’Alessio Siculo, nel Messinese, arrivati con una barca a vela che si era arenata a ridosso della scogliera. Del gruppo facevano parte 30 minori afghani non accompagnati. I soccorsi sono scattati senza bisogno di procedure o protocolli. È bastata l’umanità di quei residenti.

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