Cambiamenti climatici, formazione prioritaria

MONDO. Nel Paese delle emergenze, la sfida del cambiamento climatico, che richiede politiche impopolari e di lungo periodo, può sembrare un obiettivo fuori portata. Guardiamo ad un esempio vicino, la Catalogna.

Una regione di sei milioni di abitanti che negli ultimi anni è precipitata alle medie pluviometriche dell’Andalusia, che si trova a un migliaio di chilometri più a sud: qui il governo ha preso misure drastiche limitando il consumo di acqua pro capite e mettendo in allarme il mondo agricolo e il settore turistico. Eppure la Spagna è un Paese che ha dimostrato di saper governare la siccità (c’è anche un ministero dedicato). In Catalogna, a Girona, si trova uno dei più grandi impianti di desalinizzazione d’Europa e ne saranno costruiti altri due. Negli invasi della penisola iberica viene trattenuto il 35% dell’acqua piovana, in Italia riusciamo ad arrivare al 10%. Ma anche la previdente Spagna non è riuscita a scongiurare una crisi idrica scatenata da 40 mesi di piogge costantemente sotto la media stagionale. E siamo a marzo.

E da noi? Da un paio di settimane, nei nostri paesi, abbiamo ricominciato a sentire con piacere e un po’ di sorpresa il fragore dell’acqua che scorre nei torrenti, e le Orobie, dai Duemila in su, ci hanno regalato un inaspettato panorama imbiancato. Ma se guardiamo ai numeri, la soddisfazione finisce qui: febbraio è stato il più caldo di sempre al Nord e al Centro. In Italia, l’inverno meteorologico appena concluso è stato il più caldo mai registrato. Le precipitazioni degli ultimi dieci giorni e la rapida fusione del manto nevoso alle quote più basse (a causa delle temperature elevate) hanno riempito gli invasi in tutto il Settentrione, rilasciando enormi quantità d’acqua che però vanno inevitabilmente disperse.

«In Italia c’è una grande cultura dell’emergenza, straordinariamente più efficiente rispetto alla cultura della prevenzione» ha detto Massimo Gargano, direttore dell’Anbi, l’organismo che riunisce i consorzi idrici del Paese e che insieme a Coldiretti chiede da anni l’avvio di un «piano laghetti», uno strumento in grado di garantire una minore dispersione dell’acqua piovana. Proprio in questi giorni, un anno fa, reduci da un inverno molto più secco, avevamo assistito ai tavoli e alle riunioni convocati un po’ a tutti i livelli per cercare soluzioni immediate, sfociate in un decreto e nella nomina del manager veneto Nicola Dell’Acqua (mai nome fu più azzeccato) a «commissario straordinario per l’adozione di interventi urgenti connessi al fenomeno della scarsità idrica». Non c’era tempo da perdere: il decreto venne convertito in legge prima dell’estate e venne istituita una cabina di regia. Il compito era (ed è) quello di individuare e facilitare la realizzazione di invasi e impianti di desalinizzazione. L’agenda politica, però, ha in breve accantonato il dossier e di concreto, finora, si è visto poco o niente, se non che a fine anno la nomina di Dell’Acqua è stata prorogata fino a dicembre 2024. Fino alla prossima emergenza.

Come spesso succede, è la politica che fatica a tenere il passo, perché gli imprenditori del mondo agricolo da almeno trent’anni convivono con il cambiamento climatico e stanno adeguando le colture con specie meno idrovore. Parimenti, i Consorzi, anche quello della Media pianura, hanno fatto ingenti investimenti per affiancare al sistema irriguo a scorrimento (un patrimonio millenario che ha modellato anche il nostro paesaggio campestre e urbano) impianti di precisione (come quelli a goccia) e per adeguare cave dismesse a depositi idrici. Non basta. Per fronteggiare la siccità, secondo le stime di Anbi, serve un investimento di almeno un miliardo di euro all’anno.

Il cambiamento è realtà: gli incendi devastanti di Valparaiso, in Cile, gli allagamenti su larga scala a San Diego, in California, per rimanere ai fatti di questi ultimi giorni, scandiscono un calendario globale sempre più interconnesso, in cui la dimensione degli eventi segna quasi sempre nuovi, impressionanti record. Aldilà dei sensazionalismi della cronaca, l’impressione di una impreparazione diffusa e di una certa sordità del dibattito pubblico è purtroppo reale.

Ancor prima delle infrastrutture, quindi, serve investire in formazione. Solo un’opinione pubblica attenta e informata, vigile e competente su un tema cruciale come quello del cambiamento climatico e delle sue origini antropiche, può plasmare prima e sostenere poi una classe politica all’altezza con le sfide dell’oggi.

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