Cremlino, ebrei e propaganda

MONDO. Il presidente russo Vladimir Putin non è pazzo, come viene definito pigramente. È un lucido sanguinario, che persegue i propri obiettivi senza scrupoli morali, una prassi che gli ha permesso di detenere il potere da 23 anni, inducendo nel suo popolo paura di pericoli esterni e interni ed ergendosi a risposta.

È ossessionato dalla morte, la propria: nei periodi più tragici del Covid viveva isolato in un castello per evitare contatti e contagio. Come tutti gli autocrati, si è attorniato di collaboratori che lo confermano nelle proprie idee, allontanando invece chi esprime punti di vista diversi. Putin era veramente convinto che l’invasione in Ucraina sarebbe stata un’«operazione militare speciale», un blitz di qualche giorno o di settimane, il tempo necessario per conquistare Kiev, abbattere il legittimo governo e insediarne uno fantoccio. La popolazione, o almeno una parte, avrebbe accolto l’esercito russo come liberatore: e invece anche le grandi comunità russofone e russofile di Kharkiv e di Odessa hanno voltato le spalle a Mosca.

Ora lo «zar» si trova impantanato in una terra che non lo vuole. Le guerre di occupazione, dice la storia, non raggiungono mai i pieni obiettivi di chi le ha scatenate. La campagna militare del Cremlino fu presentata come opera di «denazificazione», in riferimento all’alleanza, durante la Seconda guerra mondiale, di Stepan Bandera, leader indipendentista ucraino, con i tedeschi. Un’alleanza di breve durata e strumentale, per ottenere l’indipendenza dall’Urss: Bandera fu poi incarcerato dagli stessi nazisti. Alle elezioni parlamentari del 2019 il cartello di partiti di estrema destra ha raccolto il 2,1% di consensi e non ha rappresentanti nel Parlamento di Kiev. Il neonazismo è presente in Ucraina né più né meno che in altri Stati europei. Peraltro il presidente Volodymyr Zelensky è un ebreo russofono... Ma Putin ribatte sul tasto: l’«operazione militare speciale» sarebbe la prosecuzione della lotta al nazismo non completata da Stalin con la vittoria su Hitler. Lo «zar» è tornato alla carica mercoledì scorso, rivolgendo un appello alla comunità ebraica russa: «In Ucraina - ha detto - combattiamo contro i seguaci di Hitler».

Se la situazione non fosse tragica sarebbe una farsa. Dall’inizio dell’aggressione al Paese confinante, 200mila ebrei hanno lasciato la Russia diretti in Israele, in Georgia e in altri Stati europei. Il Cremlino infatti aveva cercato l’appoggio della comunità alla guerra: negato, erano state avviate azioni di «disturbo» verso gli ebrei. A gennaio il rabbino capo di Mosca in esilio in Spagna, Pinchas Goldschmidt, ha rivolto un appello affinché gli ebrei ancora presenti lasciassero l’ex Urss, «prima che diventino capri espiatori per le difficoltà causate dal conflitto in Ucraina». «Quando guardiamo indietro alla storia russa - disse il rabbino al quotidiano “Guardian” - ogni volta che il sistema politico era in pericolo, il governo cercava di reindirizzare la rabbia e il malcontento delle masse verso la comunità ebraica, lo abbiamo visto in epoca zarista e alla fine del regime stalinista».

Intanto, secondo un recente sondaggio di «Demos», il 36% degli italiani appoggia la causa di Kiev, l’11% Mosca mentre il 53% non si esprime. Nei siti e nei social si sono riaccese le accuse a Zelensky, in visita a Roma, giudicato guerrafondaio, ma anche per il suo vestiario. Non hanno fatto presa invece altre notizie: recentemente Putin ha firmato una legge che garantisce lo status di veterano militare ai russi che hanno combattuto nel Donbass dal 2014, riconoscendo di fatto la presenza dell’esercito del Cremlino nella regione ucraina già da allora; ha firmato un decreto che autorizza l’espulsione dai territori annessi illegalmente (il 20% del Paese aggredito dove veniva prodotto il 25% del Pil nazionale) degli ucraini che non acquisiscono la cittadinanza russa. Inoltre un rapporto dell’Osce sui 19.393 bambini e ragazzi ucraini portati a forza in Russia (solo 361 hanno fatto ritorno), stilato dopo una missione attivata in base al Meccanismo di Mosca, al quale aderiscono sia l’Ucraina che il Cremlino, ha rilevato sessioni di «studio patriottico» per i deportati e l’obbligo di recitare l’inno della Federazione russa al mattino.

«Un processo di rimozione forzata della nazionalità che non tiene in alcun conto dell’opinione del minore» è scritto nel rapporto. Cosa deve accadere ancora per prendere atto che nel Paese invano è in atto la «deucrainizzazione», un’ideologia ultranazionalista radicata a Mosca da ben prima della nascita della Nato? Per chi è intellettualmente onesto e conosce la storia di quei mondi, era già tutto chiaro e prevedibile prima dello scatenamento dell’«operazione militare speciale».

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