Europee, poca politica e tanto marketing

MONDO. Ancora qualche giorno e sapremo con certezza quali nomi da inviare a Strasburgo ci propongono i partiti. Sin d’ora però emergono alcuni dati che meritano di essere sottolineati. Prima considerazione: non si può dire che il confronto tra le forze stia infiammando il cuore degli elettori.

È vero che non c’era da aspettarsi il contrario. I precedenti non militano a favore del coinvolgimento dell’opinione pubblica sul tema. Bisogna ammettere, però, che i partiti c’hanno messo del loro perché la tradizione venisse confermata. Si sono ben guardati di affrontare questioni vitali che pure sono pesantemente in gioco in questa cruciale partita elettorale. Ci sarebbe da aspettarsi - lo suggerisce il buon senso - che la loro prima preoccupazione fosse di chiarire sulla base di quali impegni chiedono fiducia agli elettori. Non sull’universo mondo, ma almeno su due argomenti: quale Europa vogliono e quali interessi nazionali pensano di tutelare sul piano continentale. Altra - parrebbe - ovvietà: scegliere come candidati i più titolati a tradurre in atti concreti nelle sedi europee gli impegni sottoscritti dai partiti.

A parte il fatto che non è sempre chiaro l’orientamento delle forze politiche su questioni dirimenti, quali - solo per citarne due cruciali - le guerre in Ucraina e nel Medio Oriente o il mercato economico comunitario, resta il fatto che sono in tutt’altre faccende affaccendati. L’unica eccezione, almeno in termini nominalistici, è rappresentata dalla così detta «coalizione di scopo» che riunisce forze e gruppuscoli tra loro politicamente non proprio coerenti, uniti però dalla medesima determinazione a lottare per costruire gli «Stati Uniti d’Europa». Non è molto ma, se non altro, l’indicazione è chiara. Le preoccupazioni predominanti di tutti gli altri partiti sono rivolte altrove. Primo: migliorare la propria dotazione elettorale per avvantaggiarsi dentro la coalizione. Secondo: consolidare o indebolire, all’interno di ciascun partito, il leader in sella. Le conseguenze si son viste subito.

Si è aperta da un lato la caccia a nomi di esterni purchessia, o meglio: pur che risultino popolari. Due per tutti: il generale Vannacci per la Lega e l’insegnante Salis per l’Alleanza Verdi Sinistra. Ci si è orientati, poi, a indicare come capilista i segretari politici, convinti che siano un traino per lucrare qualche voto. Non fa niente se è scontato che nessuno di loro andrà poi a Strasburgo. E ancora: è diventato tassativo che il leader di partito premi i fedeli e punisca gli oppositori. Non è che un tempo i partiti brillassero in democrazia interna e in serietà nella scelta dei candidati. Sappiamo tutti che da noi venivano mandati in Europa i politici da pensionare, gratificandoli con un buon appannaggio perché accettassero l’esilio.

A dire il vero, i nomi dei candidati di cui corre voce oggi non sono di politici a fine carriera, ma di personaggi anche illustri pescati nella «società civile». Più che di un’apertura dei partiti verso l’esterno, si tratta però di un espediente per acquisire una credibilità che i partiti hanno perso. Tutte scelte, come si vede, orientate ad accalappiare voti, con buona pace della decantata democrazia interna (e le primarie?). Il paradosso di tutto questo è che l’unico che si è esposto a illustrare, senza i soliti equilibrismi dei politici e senza tema di scontentare qualcuno con i pilateschi «sì, ma anche», è stato Mario Draghi che in una lucida e meditata analisi ha posto ai partiti un’agenda per la prossima legislatura.

Nel frattempo, alle nostre porte bussa la guerra aperta dalla Russia in Ucraina. Anche dal Medio Oriente d’altro canto spirano venti di guerra. Oltre Atlantico, si profila poi l’entrata alla Casa Bianca di un personaggio, Donald Trump, che non fa mistero di voler abbandonare l’Europa al proprio destino. Questo per limitarci alla sola geopolitica. Non è che l’orizzonte economico sia meno gravido di nubi. Sarebbe proprio il momento perché a Strasburgo fossero mandati politici all’altezza della sfida che il vecchio continente è chiamato a sostenere.

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