Il mondo sconvolto e il silenzio del Papa

DOMENICA DELLE PALME. Il silenzio del Papa cala sulla piazza attonita ed un po’ sorpresa. Niente omelia nella Messa della Domenica delle Palme, nessun parola oltre quel racconto di Marco di per sé già drammatico, cortocircuito, dagli osanna al tradimento alla violenza della sentenza capitale, di un odio spietato che dal potere passa nella folla.

C’è un Sinedrio che ha allargato il suo tentacolo di morte sulla Storia, da quel giorno a Gerusalemme. Allora il Sinedrio era composto da 71 membri, aristocrazia religiosa e politica, consociativismo tragico per quell’uomo finito sulla croce con la ratifica del governatore romano. Nessuno poteva accettare i discorsi di Gesù sul Regno di Dio, sulla fratellanza, sui poveri, la misericordia, la ricchezza, la pace. C’è tutto nella cronaca di Marco. C’è tutto e basta. Non servono altre parole. Non è stata la fatica nella voce a far decidere a Francesco di tenere in tasca quell’omelia già pronta e tradotta nelle lingue principali. E non è stato nemmeno l’affaticamento da prevenire in vista della settimana liturgicamente più faticosa dell’anno.

Il Papa ha semplicemente scelto il silenzio e l’ha mostrato in mondovisione, logica perfetta e pedagogica perché oggi di fronte a questo tempo spietato di altrettanta violenza e di altrettanti sinedri ad imporre le regole del rancore reciproco, non resta che il silenzio per trovare poi le parole giuste per poter dire con Marco «Alzatevi, andiamo».

C’è una Settimana Santa davanti a noi e davanti a Jorge Mario Bergoglio, la Settimana Santa forse più drammatica dell’intero pontificato, con due guerre saldamente in cima al «news management», l’agenda quotidiana di chi apparecchia il tavolo dell’informazione, con un attentato che distrugge vite e sbaraglia di nuovo ogni piccolo passo fatto in direzione ostinatamente contraria allo scontro di civiltà e con una angoscia che tormenta istituzioni e persone in un mondo schiacciato sotto il peso della croce.

È un lungo Venerdì Santo quello che stiamo vivendo, hanno ripetuto molti in questi giorni da Gerusalemme a Kiev a Roma. Ieri il Papa davanti alle croci del mondo ha opposto il silenzio. Cosa c’è di meglio del silenzio e della preghiera per testimoniare pietà e invocare misericordia in faccia alla crudeltà, alla spietatezza, all’indifferenza, al cinismo? Anche Gesù è rimasto in silenzio quel giorno a Gerusalemme, mentre il velo del tempio si squarciava, evento drammatico dell’ora più buia, dopo un processo sommario con testimoni farlocchi, il ricatto al governatore e una lunga agonia finita alle tre del pomeriggio. Esattamente come il Papa, esattamente come dovremmo fare tutti davanti all’ipocrisia di chi invoca la pace, ma firma contratti di morte, propone eurobond bellici, gioca con opposti fanatismi politici e religiosi. Il silenzio di Bergoglio non è un paradosso, un’azione contraria al buon senso.

Oggi il buon senso dovrebbe invitare al silenzio, almeno per un po’, e alla riflessione su tante parole inutili, asservite o prive di autorevolezza, parole che non migliorano la convivenza e le relazioni tra gli uomini, parole belliche che autorizzano a sguainare la spada dal fodero come soluzione adeguata e ragionevole. Ma la spada non risolve nulla, anzi peggiora le cose, né serve, come si vede, a tranquillizzare nessuno. La Settimana Santa è cominciata tra il fragore delle spade sui cieli dell’Ucraina, sulle macerie di Gaza, sui vetri frantumati del Crocus di Mosca e i corpi massacrati da terroristi low cost. In Terra Santa i pellegrini saranno pochissimi. Dalla Cisgiordania non arriverà quasi nessuno a Gerusalemme per le processioni sulla Via dolorosa. La situazione è esplosiva e per la prima volta nella storia del conflitto una popolazione martoriata fa i conti anche con la fame. Sono le regole del nuovo sinedrio mondiale, avversato dal silenzio esplicito ed efficace del Papa.

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