Indifferenti al prossimo. Il Papa indica l’antidoto

Mondo. L’elenco è minuzioso, anzi è impietoso e inchioda la nostra coscienza di indifferenti.

La lezione di Francesco il primo giorno della Settimana Santa passa dalla gioia della festa per quell’uomo che saliva a Gerusalemme su un’asina, re di pace senza esercito di cavalieri, allo spasimo e al tormento del Getzemani fino al grido dell’ora nona: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?». Sulla croce, preda dell’affanno più atroce, perfino da Dio si sente abbandonato, povero Cristo, secondo un canone popolare ripetuto in parole e musica. Sul grido dell’ora nona si sono accapigliati teologi e filosofi. A Bergoglio non interessa la letteratura e nemmeno la disputa. A Bergoglio importa quell’«impossibile» che accade sulla Croce, culmine dell’amicizia tra quel povero Cristo finito in croce e tutti i poveri cristi che altrettanto finiscono in croce a causa della nostra indifferenza.

Ieri Papa Francesco ha mostrato su cosa occorre tenere desta la riflessione da domani a Pasqua, ha indicato la road map per capire, per saper vedere cosa comporta l’abbandono ampio e drammatico, provocato da quella che dieci anni fa a Lampedusa chiamò per la prima volta «globalizzazione dell’indifferenza». È una riflessione che generalmente da allora viene riferita alla questione dei migranti.

Da ieri però Bergoglio ne offre una lettura più vasta, provocazione perfetta per cuori duri e immemori, per chi volta lo sguardo dall’altra parte sugli scarti che l’indifferenza genera, per chi allegro continua imperturbabile a danzare sulle macerie delle vite altrui. Francesco è appena uscito dall’ospedale e ha visto il dolore nei bambini malati di cancro, nelle lacrime dei genitori a cui una malattia rara ha portato via la figlia di cinque anni. Ha visto gente con «le spalle al muro» e ieri nell’omelia della Palme lo ha detto al mondo intero: «È brutto essere con le spalle al muro». Anche Gesù si è sentito così. Ed è per questo motivo che le persone rifiutate ed escluse sono l’icona di Dio. Ma quale Dio? Un Dio lontano è sempre più comodo, non fa domande, non costringe a fare i conti con noi stessi. Un Dio vicino invece no, perché spinge, impegna, vincola a tenere gli occhi aperti, a guardare, a rendersi conto dei popoli e delle persone perse «nel silenzio assordante dell’indifferenza»: «Penso a quell’uomo di strada, tedesco, che morì sotto il colonnato, solo e abbandonato». Dio, se lo cerchi lo trovi lì, vicino, basta alzare gli occhi: «Chiediamo la grazia di vedere».

Il Papa spiega sull’orlo della Settimana Santa che è la carezza degli abbandonati che fortifica la fede, anzi la edifica. Svela il suo metodo e confessa che quando sente di aver bisogno di una carezza di Dio «vado a trovarlo tra gli abbandonati e le persone sole». L’elenco può essere crudele e spietato, ma è inesorabile e nessuno può permettersi di distrarre lo sguardo: gli amori falliti, respinti e traditi, i figli rifiutati e abortiti, i matrimoni esausti, gli oppressi dell’ingiustizia e dalla solitudine, i poveri agli angoli delle strade che è meglio non vedere, i migranti non più volti, ma numeri, i detenuti rifiutati, le persone catalogate come problema, addirittura interi popoli, e poi gli «scartati in guanti bianchi», cioè i bambini non nati, i nonni abbandonati negli istituti geriatrici, gli ammalati che nessuno a trovare, i disabili ignorati, i giovani «che sentono un grande vuoto dentro» e nessuno lo ascolta e non «trovano altra strade che il suicidio». Tutti poveri cristi, «i cristi di oggi», inchiodati sulla croce dall’indifferenza, dalla rabbia, dal rifiuto, da parole sprezzanti. I chiodi di oggi.

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