La retorica dello zar, le scelte dell’Europa

La Russia è una vittima per quello che è accaduto in Ucraina, adesso si eviti «l’orrore di una guerra globale». Questo in estrema sintesi il pensiero di Vladimir Putin, espresso nel suo discorso al Paese davanti a migliaia di militari in armi sulla piazza Rossa. Dichiarazioni a sorpresa da parte del capo del Cremlino non ve ne sono state, ma è stata ribadita la solita linea retorica, che si ascolta da due decenni. Ossia la Russia è l’ultima «fortezza», assediata dal male, l’ultima difesa dei valori tradizionali di fronte ad un Occidente depravato.

Fondamentalmente il capo del Cremlino voleva spiegare al suo popolo che in Ucraina le forze armate russe stanno difendendo la madrepatria, come avviene da secoli, prima contro Napoleone poi contro Hitler, oggi in Donbass. Mosca è stata costretta ad un «atto preventivo», poiché gli americani e i loro «compari» stavano facendo affidamento sui «neonazisti» e si preparava una minaccia contro le «nostre terre», «Crimea inclusa». Il parallelo tra nazisti di ieri e quelli di oggi permane, quindi, per indicare il nemico. Così la gente capisce meglio, devono aver pensato gli «speechwriters» del Cremlino.

L’unico elemento positivo che appare evidenziato dalle parole pronunciate sulla piazza Rossa è che Putin non vuole l’allargamento del conflitto ad altri Paesi. Speriamo, a questo punto, che l’incendio possa essere limitato e presto possa essere estinto, anche se, leggendo i dispacci dal fronte ucraino, non c’è molto da essere ottimisti. Anzi.

Il messaggio all’Occidente è stato altrettanto elementare, facendo sfilare i missili intercontinentali a testata nucleare. La Russia - ha messo in chiaro Putin - è sempre stata favorevole alla creazione di un sistema indivisibile per la sicurezza internazionale, ma la Nato non ha voluto ascoltarci. Chiaro il riferimento alle offerte di dicembre le quali, invero, su altri capitoli apparivano degli ultimatum e non una seria base per aprire una trattativa, sentita come necessaria anche in Occidente. Come al solito, per Putin i cattivi sono sempre gli altri. Nel suo complesso il discorso del presidente russo è sembrato a tratti un po’ astratto, con tanti messaggi al suo interno, ma nessuna vera decisione presa è stata annunciata. L’obiettivo era probabilmente quello di nascondere ancora le vere intenzioni. Putin pertanto non scioglie le riserve e rimane il dilemma su cosa farà la Russia nelle prossime settimane. Alcuni osservatori a Mosca si aspettavano la mobilitazione generale. E invece no. L’unico elemento positivo che appare evidenziato dalle parole pronunciate sulla piazza Rossa è che Putin non vuole l’allargamento del conflitto ad altri Paesi. Speriamo, a questo punto, che l’incendio possa essere limitato e presto possa essere estinto, anche se, leggendo i dispacci dal fronte ucraino, non c’è molto da essere ottimisti. Anzi.

Le immagini della parata militare sulla piazza Rossa - con il loro carico marziale e le dichiarazioni di certo non d’amore - sono decisamente agli antipodi rispetto a quelle della festa dell’Europa. L’Ue è nata soprattutto per mettere fine a secoli di guerre fratricide, non lo si dimentichi mai. «Il nazionalismo è morte» ripeteva il presidente francese Mitterrand.

Le immagini della parata militare sulla piazza Rossa - con il loro carico marziale e le dichiarazioni di certo non d’amore - sono decisamente agli antipodi rispetto a quelle della festa dell’Europa. L’Ue è nata soprattutto per mettere fine a secoli di guerre fratricide, non lo si dimentichi mai. «Il nazionalismo è morte» ripeteva il presidente francese Mitterrand. È vero, la costruzione continentale non è stata facile e non lo sarà mai, ma è l’unica garanzia per un futuro di pace, democrazia e di stato di diritto.

«L’Europa - diceva Jean Monnet, uno dei “padri fondatori” - sarà forgiata attraverso le crisi e sarà la somma delle soluzioni date a tali crisi». Non vi sono scorciatoie, purtroppo. La grande eterogeneità delle esperienze e delle culture dei popoli europei non lo permette. E poi lo si è visto cosa succede, quando in pratica vi è un solo uomo al comando. Le democrazie sono più lente ad assumere decisioni rispetto alle autocrazie, ma prima di arrivare a certe tragedie ce ne vuole. Per tali ragioni è forse venuto il momento di limitare le critiche, spesso gratuite, all’Europa unita, critiche a volte fomentate dalla concorrenza tra Bruxelles e le leadership nazionali.

L’Ue oggi è a un punto di svolta: rispetto al progetto dei «padri fondatori», l’Europa sarà costretta ad essere anche potenza militare, non solo politica, economica, morale. Questo impone il dramma ucraino. L’inattesa sfida va a unirsi a quella climatica e al rivoluzionamento delle scelte energetiche, fatte a suo tempo per integrare la Russia post sovietica nel sistema internazionale. Peccato che qualcuno al Cremlino abbia frainteso: invece di distribuire i proventi di questo «piano Marshall» nascosto al suo popolo, per farlo vivere meglio, li ha investiti in armi o sono finiti peggio in yacht e ville faraoniche. Evviva i valori tradizionali.

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