La visita di Biden, sostanza politica

Mondo. La visita del presidente Usa Joe Biden in Ucraina è stata indubbiamente un successo, da qualunque punto di vista la si osservi. A Kiev c’è un via vai continuo di politici stranieri, ma che per le strade della capitale ucraina si sia tranquillamente mosso il presidente del Paese che più si è battuto contro la Russia di Putin e che questa ricambia di un’ostilità senza riserve, ha dato la dimostrazione plastica non solo dell’orgoglio dell’Ucraina ma anche dell’efficacia della sua resistenza.

Il colpo di teatro in eccesso degli ucraini, che han fatto suonare la sirena antiaerea anche se i russi erano stati avvertiti dagli americani della visita e più o meno gentilmente pregati di non lanciare missili (lo ha confermato il consigliere alla Sicurezza nazionale Jake Sullivan), non cambia la sostanza. D’altra parte, e lo ha detto proprio Biden, l’Ucraina ha dimostrato «grande capacità di resistenza» e lo spirito, dopo un anno, è ancora quello.

Le Poste ucraine hanno messo in circolazione un francobollo per ricordare il primo anniversario dell’invasione, e il disegno mostra un judoka bambino che atterra un judoka gigante. Un’allusione piuttosto trasparente allo sport preferito di Vladimir Putin e alla Russia. E parlando di Putin: il viaggio di Biden e gli annunci fatti da Kiev (altri 500 milioni di dollari di aiuti militari a Kiev, comprensivi di missili a lungo raggio e sistemi antiaerei) hanno in qualche modo messo in ombra il «discorso alla nazione» che il leader russo deve tenere oggi al Consiglio della Federazione e durante il quale sarà ovviamente trattato il tema della guerra in Ucraina.

Dietro la facciata, però, c’è stata una notevole sostanza politica. Biden ha portato in dono a Zelens’kyj non solo altri aiuti e la visibile vicinanza degli Usa alla causa ucraina, ma anche la compattezza di 50 Paesi che alla recente Conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera hanno fatto voto di sostenere Kiev finché sarà necessario a sconfiggere la Russia. Due obiettivi ormai inscindibili, visto che anche la Germania, nel recente passato esitante di fronte alla prospettiva di un’escalation militare, dopo il caso dei carri armati Leopard si è allineata al fronte intransigente guidato da Usa, Regno Unito e Polonia e ha lasciato la Francia di Macron ormai sola nel sostenere la necessità di non abbandonare del tutto un’ipotesi di dialogo con la Russia.

Quella compattezza è la base per produrre risultati più massicci sul fronte militare. Solo nelle ultime due settimane abbiamo visto decisioni notevoli e «pesanti». I Paesi Ue, dopo aver accettato l’appello della Nato a spendere di più per produrre più armi e inviarne di più all’Ucraina, hanno deciso di commissionare in gruppo, e non più uno ad uno, munizioni e proiettili di artiglieria, per ottimizzare costi e produzione. Dei carri armati pesanti Leopard si è detto, i missili a lunga gittata a quanto pare sono in arrivo e ci sono state già significative aperture politiche sul tema dei cacciabombardieri (anche l’Italia promette di fornirne cinque se lo faranno tutti gli altri Paesi Ue). Questo è sollievo per gli ucraini, che da un anno non smettono di chiedere nuove e più potenti armi e tanto più lo fanno ora che sono duramente impegnati nel Donbass, dove sono costretti a spendere truppe scelte contro l’offensiva dei mercenari del Gruppo Wagner (rimpolpati da circa 50mila ex detenuti), che il Cremlino chiaramente considera sacrificabili.

Da tempo si inseguono gli annunci di Russia e Ucraina su un’imminente, prossima offensiva del nemico. Tutti gli osservatori, in ogni caso, ritengono che una svolta importante, se non decisiva, dovrebbe prodursi in primavera, quando le operazioni militari non saranno più ostacolate dalle condizioni climatiche. Certo è che dall’una e dall’altra parte si assiste a un lavoro preparatorio che non rende certo ottimisti: i russi stanno investendo sempre più nel complesso militar-industriale (secondo Andrey Chemezov, presidente del colosso Rostekh, nel settore bombe e munizioni la produzione è aumentata anche di 50 volte) e hanno accumulato truppe un po’ dappertutto, Bielorussia compresa. Gli ucraini hanno intensificato i richiami alle armi, hanno sempre più soldati nei campi di addestramento all’estero (il solo Regno Unito ne ha preparati 10mila) e stanno costituendo concentrazioni di truppe nei punti sensibili del fronte.

Su tutto un’incognita. La Cina ha annunciato un piano di pace, o una specie di, per fine febbraio. Pechino non è interlocutore da poco. Se fosse un buon piano, gli Usa accetteranno di farsi da parte? Che cosa farà l’Ucraina? E in caso, molto probabile, di un no, come reagirà la Cina? In Russia molti sono convinti che Xi Jinping, se respinto, si deciderà ad appoggiare con più decisione l’amico Putin. Non resta che aspettare e vedere, ma le ragioni per essere ottimisti restano scarse.

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