Le scelte di Pechino tra Covid e fogli bianchi

L’emergenza.Il regime cinese – che rimane una strana mistura di comunismo reale, autoritarismo e liberismo selvaggio - ha dichiarato guerra a due nemici: il Covid e la democrazia.

Dopo quasi tre anni di isolamento e di politica «zero Covid», con allucinanti (nel vero senso della parola) quarantene forzate per milioni e milioni di persone, quartieri sprangati e controllati da gendarmi armati, divieti di uscire di casa anche solo per procurarsi da mangiare o per andare dal medico, la Cina ha recentemente allargato le maglie (riaprono i ristoranti, si viaggia con più facilità da una città all’altra, ripartono alcune imprese) e cerca di rassicurare i suoi abitanti, preannunciando la fine del picco e la fine della pandemia. In realtà il clima resta quello di paura. Non solo del virus. Il regime sta bluffando sulle cifre: dopo tre anni di pandemia i morti sarebbero solo 5.235 e naturalmente la propaganda di Xi Jinping, recentemente confermato segretario generale del Partito Comunista Cinese, sostiene che è stata la politica «zero Covid» a prevenire un’ecatombe. In realtà i decessi potrebbero essere dai 600mila a 2 milioni, dicono gli scienziati internazionali che sono riusciti a fare stime più realistiche non senza difficoltà.

Ma è facile per uno Stato con un miliardo e mezzo di abitanti, su una superficie di 9 milioni e mezzo di chilometri quadrati, giocare sulle vittime, percepite dalla popolazione come un ago in un pagliaio, con i cittadini che restano chiusi in casa e non hanno la possibilità di accedere granché alle informazioni. La maggioranza della popolazione non è stata vaccinata e tornare a un ritmo di vita normale potrebbe esporre soprattutto gli anziani (molti dei quali non hanno nemmeno una vaccinazione) a grossi rischi. Dunque il Paese sta vivendo una fase delicatissima, con rischi imponderabili. La lezione è che se è vero che la scienza non è democratica, nel senso che contano gli studi scientifici non la maggioranza degli scienziati, la trasparenza nei dati e nei risultati è necessaria proprio per prevenire ed essere più consapevoli nell’affrontare una pandemia. Il regime inoltre attribuisce l’allentamento delle misure alla «sapienza» della leadership, che ormai vede che la variante Omicron dell’epidemia è meno violenta, ma in realtà tutti sanno in Cina che il cambiamento è stato causato dalla «paura dei fogli bianchi».

Di che si tratta? Alla fine di novembre, infatti, centinaia o migliaia di persone in decine di grandi città hanno manifestato contro le misure governative anti-Covid, portando mascherine e coprendosi il volto con dei fogli bianchi in formato A4, davanti agli sguardi della polizia che accompagnava i cortei e sorvegliava le manifestazioni con le telecamere. La scintilla è stata la morte di 10 persone a Urumqi, dove era scoppiato un incendio il 24 novembre: la gente era stata rinchiusa negli appartamenti e non ha potuto scappare all’esterno per salvarsi. Era la prova che il programma «zero Covid» è disumano: fa morire la gente in casa. E soprattutto permette di controllare quasi totalmente i cittadini come nel romanzo distopico «1984» di Orwell. Non solo, ma la frustrazione dei cinesi è generata anche dalla crisi economica. La potenza economica del Drago sta rallentando. L’isolamento di Shanghai, di Guangzhou, di quartieri di Pechino, Chongqing e tante altre zone ha portato in questi anni alla chiusura di milioni di piccole e medie imprese, creando un’ondata di disoccupati, mentre le università stanno sfornando ogni anno quasi 8 milioni di nuovi laureati in cerca di lavoro. Dunque la tensione sociale resta altissima, in un Paese gigantesco, un vero e proprio pianeta a sé, con 56 gruppi etnici riconosciuti. C’è chi parla di una possibile seconda Tienanmen. Sta di fatto che intorno alle misure di prevenzione anti-Covid in Cina si sente un forte odore di totalitarismo.

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