Migranti, dal Consiglio europeo un punto per Meloni

MIGRANTI. Preceduta da un ruvido intervento in Parlamento, Giorgia Meloni è giunta a Bruxelles per un Consiglio europeo che potrebbe rivelarsi ostico per l’Italia ma che pure è cominciato dando alla premier italiana qualche soddisfazione.

Stiamo parlando della bozza di accordo predisposta dalla Commissione sul tema delle migrazioni. Secondo Meloni quella bozza sarebbe stata impensabile solo poco tempo fa: in effetti si mette l’accento soprattutto sulla difesa dei confini esterni dell’Unione nella lotta ai trafficanti e si predispongono nuove risorse (circa 14 miliardi) da ritrovare nel nuovo bilancio pluriennale Ue. È ciò che l’Italia di centrodestra ha sempre sostenuto: che le divisioni tra i Paesi partner sulla questione del ricollocamento dei migranti e sui cosiddetti movimenti «secondari» (quelli di chi, ad esempio, sbarca in Italia e poi prova a raggiungere il Nord Europa) si superano se si sigillano i confini esterni, si combatte l’immigrazione clandestina e i suoi mercanti e contemporaneamente si aiutano gli Stati del Nord Africa: se si destabilizzassero, come potrebbe accadere in Tunisia, si alzerebbe una gigantesca onda migratoria verso l’Italia.

Ieri queste posizioni le abbiamo potute ascoltare nello speech iniziale della presidente della Commissione Ursula von der Leyen e ciò aiuta l’Italia. Che tuttavia trova in alcuni Paesi politicamente più affini al suo governo di destra gli ostacoli maggiori ad un accordo complessivo: ieri il premier polacco, pur ribadendo i legami con Giorgia Meloni, ha di nuovo piantato i suoi paletti e ripetuto il suo no ad accogliere i migranti sbarcati a sud del suo Paese: «Guardate cosa succede nelle periferie parigine e tedesche - ha detto - e capirete perché noi vogliamo avere in mano i criteri della nostra sicurezza interna». «Vedremo cosa ne uscirà alla fine» si limita a dire, cauta Meloni, che pure si inorgoglisce del fatto che proprio nella bozza «ci sono le posizioni italiane». È indispensabile arrivare all’accordo prima delle elezioni europee della primavera del 2024 alle quali il centrodestra italiano si vuol presentare come quello che ha ottenuto dall’Europa ciò che finora non è mai stato concesso.

Il punto spinoso del Consiglio per l’Italia sarà affrontato oggi, nella seconda giornata dei lavori (anche se sicuramente ieri sera alla cena dei leader se ne è parlato nei vari conversari riservati): la ratifica del Mes da parte dell’unico Paese che finora non ha messo la sua firma, l’Italia, che prova a giocare tatticamente questa carta per evitare che nel prossimo Trattato di stabilità i cosiddetti Paesi frugali introducano regole troppo severe sul debito pubblico. Il Parlamento italiano rinvia la discussione sulla ratifica a settembre e si prende del tempo per questo tentativo di scambio che però finora non ha trovato a Bruxelles e a Berlino orecchie attente ad ascoltare.

La questione si intreccia con le nostre difficoltà nell’attuazione del Pnrr che sta provocando il ritardo dell’arrivo della terza rata da 19 miliardi (doveva essere incassata a metà marzo) che potrebbe trascinare in avanti anche la quarta tranche. L’Italia spera di ottenere una rinegoziazione sia delle opere che delle scadenze, ed è sicuro che anche questo argomento sarà sul tavolo quando si parlerà di Mes. Sempre che i Paesi che hanno già firmato non decidano di fare a meno di noi: in termini legali possono farlo, in termini politici sarebbe un grosso problema per noi e per tutti i partner.

Il Consiglio si è aperto con la discussione sull’ingresso dell’Ucraina nell’Unione e sui passi che occorre fare per accelerarne l’iter: «È la nostra priorità» ha detto Ursula von der Leyen: l’anno scorso Kiev ha ottenuto lo status di candidato e entro l’anno i 27 devono decidere di avviare il negoziato vero e proprio.

© RIPRODUZIONE RISERVATA