Piano Trump per l’Ucraina la sconfitta del diritto

MONDO. Spingere Kiev a rinunciare alla Crimea e alle province del Donbass, oggi sotto controllo del Cremlino, e spegnere così di conseguenza il conflitto russo-ucraino. Ecco sintetizzato in poche parole il piano di Donald Trump, una volta che il magnate newyorkese tornerà alla Casa Bianca il prossimo gennaio.

L’indiscrezione è di fonte giornalistica, ma i collaboratori dell’ex presidente Usa non l’hanno di fatto smentito. In pratica, supina accettazione dello «status quo» imposto con la forza delle armi in violazione del diritto internazionale e dei trattati che hanno garantito al Vecchio continente quasi 7 decenni di pace. I confini degli Stati tornano, quindi, mutevoli come una volta.

Numerose sono le domande da porsi. La principale: ma le parti in causa accetteranno tale piano? Da quanto dichiarato finora l’ucraino Zelensky non è disposto a fare concessioni territoriali e il suo opposto progetto di pace si basa sul principio del ritorno dell’Ucraina ai confini del 1991, sanciti dal crollo dell’Unione Sovietica. Quindi non accettazione di quanto avvenuto nel 2014 con l’«annessione» della Crimea da parte di Mosca. Putin, invece, ha più volte chiarito pubblicamente che sono ben altri i veri obiettivi della sua «Operazione militare speciale», bollata come «guerra santa» dal Patriarca Kirill. In breve: fuori gli stranieri dallo spazio ex sovietico che rientra nella sfera di influenza del Cremlino. Gli Stati all’interno di questa area sono pertanto a sovranità limitata a causa della vicinanza del Grande Fratello russo.

Ma al tempo della globalizzazione il G7 - il club che raduna i Paesi più ricchi al mondo in prevalenza occidentali - potrà accettare una soluzione da Ventesimo secolo? L’Unione europea è nata soprattutto per superare la tragedia millenaria delle guerre fratricide continentali, rendendo intangibili i confini. I Ventisette sono disponibili a porre a repentaglio uno dei principi cardine della propria esistenza, per di più in un Paese in predicato di aderire all’Unione e a un tiro di scoppio dalle proprie frontiere? Gran parte dei politici e degli osservatori sono consci che una pessima pace è peggiore del proseguimento delle attuali ostilità, poiché la possibile, a questo punto, tregua verrebbe utilizzata dalle parti in causa per armarsi meglio. La lezione degli inapplicabili «Piani di Minsk» dal 2015 al 2022 è stata chiara e non ci si fa illusioni.

Quindi cosa fare se nessuno dei due contendenti può imporsi militarmente sui campi di battaglia? Da tempo diplomatici esperti e veri conoscitori della tragedia russo-ucraina ribadiscono che uscire dal presente vicolo cieco non sarà affatto semplice e le soluzioni raggiungibili sono lontanissime. Soprattutto perché manca la buona volontà delle parti di interrompere lo spaventoso spargimento di sangue in corso. Se due Stati vogliono litigare fra loro è ben difficile farli smettere. Il nodo non è che non esistano formule su cui accordarsi.

Il piano Trump appare in conclusione per quello che è, ossia un modo per lavarsi le mani della tragedia russo-ucraina e per disimpegnare gli Stati Uniti dallo scenario europeo, lasciando i Ventisette nel mare in tempesta. Le passate affermazioni del magnate newyorkese contro i membri dell’Alleanza atlantica, che a suo dire, non versavano i giusti contributi riecheggiano ancora oggi nelle sale dei bottoni a Bruxelles. Il suo piano, non disconosciuto, è solo la prosecuzione di quella linea politica. Ecco perché, senza fare le Cassandre, l’Ue farebbe bene a prepararsi a prossimi scenari ancora più amari di quelli attuali.

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