Sui vaccini Europa
meno forte degli Stati

La Commissione Europea ha il compito di provvedere alla fornitura dei vaccini. È stata una conquista per l’ Europa perché la sanità è di competenza
degli Stati membri. Aver deciso di delegare a Bruxelles è stato
un atto di lungimiranza politica. Il male sotterraneo dell’Europa è infatti il nazionalismo. Occorre prevenire una guerra del vaccino tra gli Stati. Se i più influenti e potenti hanno il sopravvento, il sentimento di giustizia dei popoli è offeso. Succede però che nonostante tutte le buone intenzioni è nel dettaglio che si annida il pericolo. L’Unione Europea ha un composito meccanismo decisionale che deve tener conto di 27 governi e opinioni pubbliche. Questo garantisce la tutela degli interessi dei singoli Stati ma ha il difetto di essere lento e a volte pachidermico. Nel caso dei vaccini i ministri della salute di Germania, Francia, Italia e Olanda, già a marzo 2020, avevano concordato di procedere unitamente nella trattativa con le case farmaceutiche.

Poi su pressioni del cancelliere Angela Merkel l’incarico è stato assegnato alla Commissione. Nel frattempo però sia gli Stati Uniti che la Gran Bretagna avevano stipulato contratti di fornitura esclusivi con Pfizer BionTech e AstraZeneca. Quando gli europei hanno bussato alla porta dei due giganti farmaceutici gli accordi siglati con americani e britannici erano già vecchi di tre mesi. In più va detto che le autorità di Bruxelles non dispongono di quella libertà di bilancio che caratterizza il singolo Stato nazionale e devono sempre cautelarsi dalle critiche di largheggiare con i soldi altrui, in questo caso dei Paesi membri. Morale: quando siedono al tavolo delle trattative la parola d’ordine è risparmiare. La qual cosa vale per tutti ovviamente ma non in un caso di pandemia.

Sia Washington che Londra hanno subito capito che non era il caso di lesinare. E non è solo questione di vite umane. È l’interesse nazionale che gioca il ruolo decisivo. Prima la popolazione è vaccinata, prima riparte l’economia. Cosa sono centinaia di milioni di dollari, sterline, euro a fronte dei miliardi che una veloce ripresa economica può garantire. Per arrivare a questa conclusione basta un singolo atto di governo. E in Europa è proprio quello che manca. La Commissione non ha spazi di intervento autonomi da permetterle una trattativa disinvolta come il caso richiede. Morale, l’amministratore delegato di AstraZeneca ha buon gioco nel citare la clausola di «best efforts» ovvero dell’impegno a far del proprio meglio, che in un momento come questo non è proprio il vincolo di cui avremmo bisogno per indurre la casa farmaceutica anglo-svedese a recedere dal taglio del 60% delle forniture. Vi è poi un altro tema che nel vivo delle discussioni è uscito dalle cronache.

Nella trattativa di quest’estate i francesi avevano posto la condizione di coinvolgere nella prenotazione anche il vaccino prodotto da Sanofi. Ora si sa che a Bruxelles non si muove foglia che Parigi non voglia. Quindi la riduzione degli ordinativi presso le altre case farmaceutiche era conseguente al fatto che Sanofi avrebbe supplito. Risultato i francesi sbagliano, come spesso loro accade, il vaccino va rimandato di un anno, ci fanno una pessima figura ma intanto è la Commissione che rimane spiazzata. In Germania e in altri Paesi recriminano e dicono meglio muoversi da soli. Ma il problema va rovesciato. La forza contrattuale di 27 Stati non vale quella di un singolo Paese, si chiami anche Germania. Sono i governi che devono garantire a Bruxelles quella capacità decisionale che è propria di uno Stato nazionale. Allora avremo tutelata anche la capacità di far fronte ai nazionalismi.

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