Sulla Luna per capire quanto siamo fragili

Artemis 1 sta volando verso la Luna, la missione Nasa arriverà nei pressi del nostro satellite e andrà oltre per poi invertire la rotta e tornare sulla Terra dopo venticinque giorni di viaggio, l’11 dicembre.

È il primo volo di questo genere dopo il programma Apollo, consentito dal razzo Saturno 5, il programma lunare che portò l’uomo sulla Luna il 20 luglio del 1969 con l’Apollo 11 e che si concluse con l’Apollo 17, nel dicembre del 1972, esattamente cinquant’anni fa. Allora, il futuro ce lo immaginavamo in maniera diversa. Il grande progettista Wernher Von Braun, padre del gigantesco Saturno 5, nel 1969 si era recato al Congresso, a Washington, per esporre alla commissione incaricata il suo piano per raggiungere Marte nei primi anni Ottanta. Ci si immaginava che negli stessi anni sarebbe nata la prima base stabile sulla Luna e che l’uomo avrebbe fatto rotta verso i satelliti di Giove e verso gli asteroidi nei primi anni del Duemila.

È andato tutto in maniera diversa, ulteriore prova del fatto che nessuno può prevedere il futuro, nemmeno programmarlo. L’uomo da allora ha raggiunto lo spazio tante volte, ma non è mai andato oltre l’orbita terrestre, né con lo Shuttle americano, né con la Sojuz dei russi. In questo mezzo secolo abbiamo costruito la Stazione spaziale internazionale, abbiamo avviato la cooperazione internazionale (oggi minacciata dalla guerra in Ucraina), abbiamo lanciato sonde automatiche verso tutti i pianeti del Sistema Solare, Plutone compreso, laggiù, a cinque miliardi di chilometri dal Sole. Ma l’uomo è rimasto nello spazio qui attorno, come un bambino che rimane aggrappato al bordo piscina, pur essendo entrato in acqua. Lo stesso Eugene Cernan, morto nel gennaio 2017, aveva dichiarato di non avere mai immaginato che per così tanti anni l’uomo non sarebbe più tornato sulla Luna, né sarebbe uscito dall’orbita terrestre. Per chi aveva vissuto l’epopea spaziale degli anni Sessanta, quando in soli otto anni si passò dal primo uomo nel cosmo, Yuri Gagarin, alla conquista della Luna, questo scenario era del tutto inimmaginabile.

Tuttavia non abbiamo perso tempo: in questi anni abbiamo affinato le tecniche, scoperto problematiche prima un po’ trascurate, per esempio quella riguardante la pericolosità delle radiazioni cosmiche. Abbiamo scoperto che sulla Luna ci sono giacimenti di ghiaccio, preziosi per l’installazione del primo avamposto umano lunare. L’acqua è necessaria certamente per tante ragioni, a cominciare dalla necessità di idratare l’organismo umano; ma sarà importantissima anche per produrre combustibile e comburente per i razzi (idrogeno più ossigeno) senza doverseli portare dalla Terra, con costi da capogiro.

Adesso siamo ripartiti. Il grande razzo Sls sta facendo il suo primo volo, per ora in maniera impeccabile e trasporta la capsula Orion che stavolta viaggia senza equipaggio, ma con tutti i sistemi vitali operativi e attentamente monitorati. Ricordiamo che alla missione Nasa hanno contribuito anche gli europei, e in particolare l’italiana Asi: l’Europa ha costruito l’Atv, il modulo di servizio che contiene i supporti vitali della capsula Orion.

Siamo ripartiti. Il primo obiettivo è far camminare un uomo e una donna sul suolo lunare nel 2025, ma lo scopo vero è costruire una base lunare stabile entro il 2029. Per poi lanciarsi verso Marte e dare finalmente all’umanità un orizzonte nuovo, un orizzonte cosmico che ci faccia meglio comprendere che la Terra è soltanto una fragile navicella nell’oceano sterminato dell’universo. E che davvero siamo tutti fratelli.

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