L'Editoriale
Lunedì 30 Maggio 2022
Sulla Nato il grave passo falso di Putin
No ad armamenti pesanti ai confini della Russia. Questa è la linea guida principale, ribadita da Mosca all’Occidente nelle ultime ore. L’indicazione è rivolta alla Scandinavia, dove il Cremlino si è ormai fatto una ragione per la perdita della sua «zona cuscinetto» e nel vederla aderire all’Alleanza atlantica. Da qui la «luce verde» di Vladimir Putin all’entrata nella Nato di Finlandia e Svezia. I due Paesi, del resto, da anni partecipano stabilmente alle esercitazioni dell’organizzazione di difesa collettiva occidentale, e le loro Forze armate sono con essa ben integrate.
Per Mosca non cambia nulla o quasi, anche se i militari federali hanno appena ricevuto l’ordine di ridistribuirsi sul territorio europeo, creando nuove basi e formando 12 unità specializzate, entro la fine del 2022, per meglio presidiare 1.340 chilometri della inospitale linea di demarcazione russo-finnica.
Ma nel Vecchio continente la Russia confina già con la Norvegia e con l’Estonia, Paesi membri dell’Alleanza atlantica. Se la prima frontiera – lunga 195 chilometri – è nel remoto e profondo Artico; la seconda, nel Baltico, si trova soltanto a un centinaio di chilometri di distanza da San Pietroburgo. La base dei paracadutisti a Pskov serve al Cremlino a proteggersi da un ipotetico attacco.
In Estonia, però, non vi sono armamenti pesanti della Nato che, di fatto, non li ha mai portati oltre la linea dell’Oder, in Germania. In pratica, sotto questo aspetto è tutto fermo alla riunione tedesca successiva al crollo del Muro di Berlino, anche se nel 2022 era previsto di insediare due stazioni missilistiche Nato in Romania e in Polonia nel quadro del cosiddetto «scudo di difesa» contro lanci isolati di Paesi terzi – leggasi Iran – verso gli Stati Uniti.
Dopo lo scoppio della «guerra ibrida» contro l’Ucraina nel 2014 le tre Repubbliche baltiche e la Polonia hanno preteso dagli alleati la costituzione di una «forza leggera» comune sui loro territori in maniera che se Mosca l’avesse scatenata contro di loro avrebbe di fatto attaccato tutta la Nato. Stiamo parlando di un migliaio di uomini di più Paesi con delle autoblindo e armamento leggero.
Come al solito, quando si entra nel dettaglio, uscendo dai perenni discorsi elementari e grezzi (ma incredibilmente efficaci!) della propaganda ultranazionalista dei canali televisivi federali, cade tutta l’impalcatura di frottole costruita.
Completamente diversa è oggi la situazione in Ucraina, dove – dopo la consegna da parte occidentale di armi leggere anti-tank e anti-aeree tra gennaio e febbraio ’22 –, stanno ora arrivando armi pesanti. Su tutto: artiglieria Usa (con una gittata maggiore di quella russa) e carri armati. In sostanza, Kiev sarà presto in grado di attaccare e riprendersi le regioni perse.
Da quanto appena qui esposto e dalla impossibilità di avere una posizione diversa sull’adesione di Helsinki e Stoccolma si comprende il gravissimo passo falso geopolitico e geostrategico, compiuto da Putin. Prima dell’inizio della «Operazione speciale» non vi erano armi pesanti occidentali in Ucraina, accusata di voler aderire alla Nato, argomento tuttavia non presente nell’agenda dell’Alleanza atlantica. Adesso sì. Che il frangente sia estremamente complesso per Mosca lo si comprende anche dalla scelta - resa nota da fonti israeliane - di terminare l’intervento federale in Siria.
In ultimo, la conseguenza più pesante a medio-lungo termine di questa débacle di Putin è che l’Occidente sta cacciando la Russia dal mondo globalizzato dalla porta principale e la Cina non la farà rientrare dalla finestra.
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