Nuova strage in Ucraina: se la storia va indietro

LA GUERRA. Sospeso tra passato e futuro, sull’orlo di un barato. Ecco dove si trova oggi lo spazio che, fino al 1991, era occupato dall’Unione Sovietica.

Le ultime spaventose notizie e gli anniversari non celebrati di tragedie passate, mischiati a visioni espresse a cuore aperto, aiutano a riportare ordine nella confusione interpretativa di eventi recenti e di quelli lontani. A 32 anni dal crollo dell’Urss, nel Vecchio continente stiamo vivendo una nuova fase del terremoto, provocato dalla scomparsa della superpotenza comunista. Bisogna farsene una ragione: in pericolo non vi sono solo l’Ucraina o il Caucaso, ma anche Paesi finora non toccati dalla violenza. E attenzione: non esiste limite all’orrore. A Hroza, nella regione di Kharkiv, 51 civili (ossia il 10% degli abitanti del villaggio), radunati in un ristorante per celebrare un funerale, sono stati massacrati da un missile di ultima generazione. Più o meno negli stessi momenti il presidente Vladimir Putin parlava al Forum di Valdai, esprimendo il sogno di un mondo multipolare più giusto e tornando ad accusare l’Occidente per il conflitto in Ucraina, come se il 24 febbraio 2022 truppe euro-americane, e non russe, avessero attaccato Kiev.

A Granada contemporaneamente, per volontà di Baku, saltava il vertice azero-armeno sotto l’egida dell’Ue, mentre l’esodo di tutta la popolazione armena dal Nagorno-Karabakh, simile a quello dei nostri istriani nel dopoguerra, è quasi completato. Inutile dire che all’Onu si usa l’espressione «pulizia etnica». Riuscire a mantenere la calma davanti a tutto ciò è impresa ardua. Come non è facile non perderla, quando si ascoltano minacce nucleari di politici di altissimo livello, minacce che tentano di nascondere debolezze inaspettate di Paesi ex superpotenze.

E pensare che il presente scenario di morte e di distruzione lo si era evitato esattamente 30 anni fa, tra il 2-4 ottobre. Ma molti in Occidente, allora, non lo compresero o forse fecero finta di non capirlo annebbiati dall’ideologia. Anche perché, come ci disse qualche giorno prima dello spargimento finale di sangue, la vedova di Sacharov, Elena Bonner, «la realtà è lontana dalla teoria». Per far fallire la Seconda rivoluzione d’ottobre, dopo quella del 1917, ed evitare che i nazional-comunisti revanchisti orfani nell’Urss si lanciassero nella sua resurrezione, Boris Eltsin, primo presidente eletto dai russi in mille anni di storia, fu costretto a bombardare il palazzo del Soviet. Ufficialmente il dissidio tra il Cremlino, dove sedeva un democratico, e il Congresso-Soviet, nelle mani dei nazionalisti-conservatori e dei comunisti, verteva sul progetto di nuova Costituzione. Invero si lottava per bloccare le riforme e per accaparrarsi le ricchezze dello Stato attraverso la gestione delle privatizzazioni. Fummo testimoni oculari di quella battaglia politica per mesi, come vedemmo asserragliarsi in settembre dentro al Soviet gente impresentabile. Arrivarono persino da fuori Mosca i «mazzieri» dalla Transnistria e parteciparono allo scontro attivamente gruppi deviati dei Servizi segreti.

Alla fine vinse il democratico Eltsin che indisse dopo due mesi elezioni libere e il referendum costituzionale. E proprio Eltsin, «l’ubriacone» per i suoi detrattori, nel 1995 bloccò il tentativo di portare la Crimea dentro alla Federazione russa. Se si sfogliano le biografie di molti degli «eroi» del 2014, prologo all’attuale conflitto in Ucraina, si scopre da che parte essi stavano nel ‘93. Se non vi fosse stato il presente colpo di coda della storia oggi non staremmo qui a piangere i 51 di Hroza.

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