L’omicidio di Cavernago: «Non ci fu premeditazione»

DELITTO. Il figlio di Gaibotti spiega l’aggressione fatale: il padre voleva impedirgli di commettere un gesto estremo. Chiesta consulenza psichiatrica.

L’omicidio di Umberto Gaibotti, per mano del figlio Federico, è stato commesso senza premeditazione. È quanto emerso dalla ricostruzione degli avvenimenti del 4 agosto, fatta dal giovane, assistito dall’avvocato Miriam Asperti, davanti al giudice Vito Di Vita durante l’interrogatorio di convalida. Ricostruzione che, peraltro, troverebbe riscontro nelle dichiarazioni della vicina di casa, con cui il trentenne ha parlato prima entrare nell’abitazione del genitore, in via Verdi a Cavernago. Federico Gaibotti non voleva uccidere il padre, ma se stesso, dopo aver assunto droghe per stordirsi. Non solo, si sarebbe anche rivolto al padre per essere aiutato in quest proposito: da qui l’origine della colluttazione culminata nella morte del carpentiere pensionato di 64 anni.

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In questa vicenda c’è anche una terza figura: la donna che avrebbe dovuto fornire la droga. Il giovane dopo l’omicidio si è rifugiato nella sua auto. Qui è stato trovato dai carabinieri, con gli abiti sporchi di sangue e un coltello. Altri due coltelli erano vicino al corpo del padre, pare presi dalla casa dopo l’omicidio per togliersi la vita. Già in passato, Federico Gaibotti avrebbe avuto contrasti con il padre. E per una tentata violazione di domicilio a casa della mamma a Seriate, sfociata poi in un arresto per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale, il 13 luglio 2023 è stato condannato a sei mesi di reclusione (pena sospesa).

Il trentenne, tossicodipendente (che venerdì era sotto l’effetto di alcol), aveva espresso l’intenzione di entrare in comunità, ma dopo pochi giorni era andato via. Per via di questa sua condizione personale, ci sarà una consulenza tecnica psichiatrica in modo da chiarire l’eventuale infermità mentale o se invece era capace di intendere e volere al momento dell’aggressione al padre.

La ricostruzione del delitto

Federico Gaibotti, nel pomeriggio di venerdì, è arrivato a casa del padre Umberto per prendere un Ipad da rivendere. Gli serviva del denaro per la droga. Il suo obiettivo era suicidarsi, e per farlo aveva anche rubato un coltello (lo stesso ritrovato nell’auto in cui si è rifugiato) in un negozio di cinesi. Ma quella lama non era adatta allo scopo e, per questo, aveva preso anche due coltelli dalla cucina del padre. Prima di entrare in casa, ha incrociato la vicina, a cui ha annunciato la volontà di togliersi la vita. Poi con il suo telefono aveva chiamato la donna che doveva fornirgli la droga. Poi il padre è tornato a casa, e il trentenne gli ha chiesto di aiutarlo a uccidersi. Così è nata la colluttazione culminata nei ripetuti accoltellamenti al genitore. Sarebbero almeno due le armi usate (tre quelle sequestrate, tra cui il coltello ritrovato in auto). Il pensionato ha chiesto aiuto, e le sue grida sono state sentite dalla vicina di casa. La donna, entrando nel giardino della vittima, ha sentito il giovane dire «L’ho ucciso».

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Sul posto sono poi arrivati i miliari della stazione di Calcinate e della compagnia di Bergamo e la pm Laura Cocucci. Il giovane è stato arrestato e, come poi disposto dal giudice, resterà in carcere in custodia cautelare.

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