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Dopo il Covid le gerarchie contano meno

Articolo. Un “solo” capo al comando non c’è più, le aziende diventano «teal» e le competenze si mescolano in gruppi di lavoro intersettoriali capaci di innovare l’offerta sui mercati andando incontro ai clienti e rendere l’azienda più agile

Lettura 18 min.

Sommario:

Ma perché devo cambiare la mia struttura organizzativa?
L’azienda e l’ornitorinco
Soft skill come condizione abilitante per reinventare le organizzazioni
Essere snelli: una dieta prescritta tempo fa
Essere agili: il caso ThoughtWorks
Patagonia, azienda leader nell’abbigliamento sportivo
Re-inventare le organizzazioni. Anticipare il mondo Teal
I benefici dell’organizzazione Teal
Leadership distribuita. Dall’azienda agile a quella bossless
Il caso Buurtzorg, la più grande organizzazione infermieristica dei Paesi Bassi
Valve e Mondora. Due organizzazioni “flat”
Checklist

Ma perché devo cambiare la mia struttura organizzativa?

Rimettere in discussione la forma organizzativa non è un desiderio, ma una necessità per affrontare nuovi mercati e il mondo post Covid, sostengono i principali osservatori, tra cui gli esperti di McKinsey, società di consulenza strategica tra le più consolidate al mondo.
«A causa del cambiamento repentino nella competizione, nella domanda, nella tecnologia, nelle normative, è più importante che mai per le organizzazioni sapersi adattare velocemente».

Come dice Frederic Laloux nel suo Reinventare le organizzazioni, la resistenza al cambiamento organizzativo è radicata in tutto il mondo occidentale, Stati Uniti compresi

Sempre Laloux cita il grande economista austriaco del novecento Peter Drucker quando dice:«Il pericolo più grande nei momenti di turbolenza non è la turbolenza in sé, ma è affrontarla con le logiche del passato».

Per decenni la teoria dell’organizzazione (di stampo soprattutto anglosassone) ha spinto nella direzione della gerarchia, postulando quest’ultima come unico modello possibile per la massimizzazione continua dell’efficienza, a scapito della stessa efficacia.
Ancora oggi, nella maggioranza dei casi la strategia è decisa dal vertice e l’implementazione viene effettuata alla base. Con il passare del tempo, questo sistema ha iniziato a mostrare cedimenti.

«Il pericolo più grande nei momenti di turbolenza non è la turbolenza in sé, ma è affrontarla con le logiche del passato»

La ragione è semplice: una struttura fortemente verticistica crea una naturale dispersione di informazioni tra chi svolge il lavoro (la base) e chi decide la via da seguire (il vertice), incapace di adattarsi a un mercato, come quello odierno, in continua evoluzione. Il sistema verticistico, oggi, si sta rivelando essere completamente inefficiente.

Il bisogno di innovazione, flessibilità e rapidità tipico della società dell’informazione richiedono altri modelli.

Non esiste ancora una teoria stabile sulle strutture organizzative non gerarchiche.
In questo articolo vedremo insieme alcuni casi di aziende che hanno innovato la propria struttura organizzativa partendo dalla messa in discussione delle logiche con cui affrontare la vita quotidiana di un’azienda. A partire dalle gerarchie dei ruoli legati agli obiettivi aziendali.

L’azienda e l’ornitorinco

«L’ornitorinco viene scoperto in Australia a fine Settecento. Nel 1798 un naturalista invia al British Museum la pelle impagliata di un animaletto che i coloni australiani usavano chiamare watermole, duck-mole, o duckbilled platypus. L’animale fa pensare subito al becco di un’anatra innestato sulla testa di un quadrupede e ritenuto opera dei diabolici tassidermisti cinesi, abilissimi nell’innestare, per esempio, una coda di pesce in corpi di scimmia per creare dei mostri sirenoidi. Nel 1800 viene descritto come un animale con triplice natura di pesce, di uccello e di quadrupede e nominato paradoxus perché incategorizzabile. Nel 1802 si vede che l’animale viene a galla per respirare e si pensa a un mammifero, ma non ha ghiandole mammarie con capezzoli ed è oviparo come uccelli e rettili. Nel 1803 si crea la categoria dei monotremi: non sono mammiferi perché non hanno ghiandole mammarie (in realtà vengono scoperte nel 1824, ma sono senza capezzoli, hanno dei pori che secernono latte), non sono uccelli perché non hanno ali, non sono rettili perché sono a sangue caldo e non possono essere neppure pesci. Il dibattito continua e solo nel 1884 si stabilisce che i monotremi sono mammiferi e ovipari».

Perché questa citazione del semiologo e filosofo Umberto Eco? È un modo divertente per introdurre il concetto di ornitorinco, cioè di problema che mette in discussione un sistema di categorie. Il lungo excursus di Eco in Kant e l’ornitorincotestimonia lo spasmodico tentativo di incastrare in una struttura di tassonomie fissamente gerarchica, quella ad albero (organizzata per genere e specie), usata dagli zoologi per catalogare gli animali, uno strano animale che sembra un mammifero ma ha il becco e fa le uova.

In una gerarchia immutabile, un mammifero non può avere un becco (se ha un becco, è un uccello). In una gerarchia che nasce per descrivere un fenomeno nuovo, sì.

Guarda il video dove Umberto Eco mette in discussione il concetto di categoria

I mercati di oggi assomigliano sempre di più all’ornitorinco di Eco, perché si stanno sempre più ibridando i settori. Chi ha sempre sviluppato prodotti si trova oggi a mettere a punto servizi, per esempio, secondo la logica del product-as-a-service. Pensate ai car sharing o a Airbnb. Ciò che prima era legato alla proprietà privata (compro una macchina) oggi può essere associato a un servizio (uso la macchina quando mi serve, senza possederla). Allo stesso modo, tanti altri settori richiedono competenze di ibridazione, quelle soft skill che permettono un pensiero snello, laterale, variabile. E la struttura organizzativa non può che comportarsi di conseguenza.

Soft skill come condizione abilitante per reinventare le organizzazioni

Abbiamo compreso, grazie al primo long form, che le soft skill sono un saper essere più che un saper fare. Abbiamo citato la metafora visiva della doppia elica del Dna che ci illustra come le competenze morbide siano anzitutto il legame - il legante - tra le competenze “dure”. Sono essenziali, questo è il primo punto che affronteremo, per tenere insieme non solo le competenze ma anche la leadership “distribuita” in azienda.

Marco Planzi

Associate Partner

Partners4Innovation

Spiega Marco Planzi, Associate Partner Partners4Innovation: «In ogni impresa, alcune competenze si manifestano in modo esplicito proprio come le caratteristiche genetiche perché il contesto, i processi, i clienti e il modo di lavorare lo richiedono. Altre competenze, pur presenti tra le attitudini e le passioni dei collaboratori o magari sviluppate informalmente all’interno del proprio lavoro, non si manifestano e rimangono dormienti. Ciascuna impresa può provare a valorizzare le competenze nascoste e inespresse cercando i collaboratori che le posseggono o le hanno sviluppate personalmente. Nel contesto attuale, in cui le competenze digitali sono difficilmente reperibili sul mercato del lavoro e spesso molto costose, questo passaggio diviene spesso diventa indispensabile: significa individuare i collaboratori che le posseggono e metterli in condizione di poterle esercitare nel contesto lavorativo».

Non dare per scontata una leadership piramidale, gerarchica, ma soprattutto immutabile è il primo e forse più importante passo per andare nella direzione di un cambiamento organizzativo.

Filippo Dal Fiore

Il suo sito internet

Ne abbiamo parlato con Filippo Dal Fiore, ricercatore nelle scienze sociali e consulente aziendale. Dal Fiore si è occupato per 10 anni di innovazione tecnologica, sia in qualità di ricercatore al Mit di Boston (Senseable City Lab), sia come imprenditore attraverso la gestione di un progetto spin-off dello stesso Istituto. Rientrato in Italia, ha ampliato il suo percorso professionale verso i temi della responsabilità sociale d’impresa e della valorizzazione delle persone sul lavoro. Oggi, oltre che presso la Scuola di Economia, Management e Statistica, insegna Professional Development e Smart Cities alla Bologna Business School e collabora con Great Place To Work Institute.

«Le soft skill sono un abilitatore, perché riguardano la capacità migliorata di capire i contesti. Di conseguenza, l’azienda basata sulle soft skill può permettersi di affrontare contesti più diversi»

E aggiunge:

«Le soft skill permettono di alzare lo sguardo e di sviluppare pensiero laterale. Si collocano a un livello più alto delle hard skill perché sanno pilotare il loro utilizzo. Se però a una persona togli le hard skill e non ha soft skill la persona si troverà in una posizione di difficoltà, perché le manca un punto di ripartenza.

Le soft skill hanno un potenziale generativo in più.

Il potenziale generativo - prosegue Dal Fiore - è connaturato all’affrontare nuove sfide. Se hai un solo prodotto ma devi cambiarlo, e non sei dotato di soft skill che ti permettono di cambiare la lettura del mercato, non sei in una buona posizione per riposizionarti, sia per volontà sia per necessità. Le soft skill sono un buon investimento perché consenti alle persone di avere una conversazione diversa con un cliente, di cogliere un segnale di mercato, ma anche di riorganizzarsi in base ai saperi interni a un’organizzazione.

È chiaro che un imprenditore può avere paura di non saper governare questa apertura. Per questo il primo passaggio è fiduciario. Deve dare fiducia alle persone.

Deve permettere di sviluppare il proprio potenziale. Mentre per le hard skill l’indice Roi (il valore che misura il ritorno dell’investimento) è chiaro, nelle soft skill c’è un investimento emotivo diverso, orientato al potenziale senza necessariamente prefigurare un ritorno con contorni definiti».

Le soft skill sono quindi le condizioni di possibilità di una nuova forma organizzativa, che non ammette la necessità di una leadership immobile. Il modo migliore per creare questo contesto abilitante è allenare i propri dipendenti e tutti i livelli dell’organizzazione a una flessibilità quotidiana.
Come? Ci sono importanti precedenti, nati nel mondo industriale, proprio per la gestione di gruppi di lavoro innovativi, ormai diventati strumenti consolidati di project management.

Essere snelli: una dieta prescritta tempo fa

La nostra domanda iniziale rispondeva all’esigenza di creare gruppi di lavoro intersettoriali capaci di innovare la propria offerta sul mercato - e, in generale, di rendere la propria azienda più flessibile alle richieste del mercato.

La gestione del lavoro in gruppo è in effetti il primo campo di applicazione dove si è iniziato a ragionare con una logica bossless, che non vuol dire senza capo, ma senza un (solo) capo definito una volta per tutte.

L’approccio bossless nasce con due obiettivi: primo, per de-costruire la struttura gerarchica aziendale tradizionale con l’obiettivo di creare strutture più snelle e più adeguate all’innovazione. Ossia, dietro all’approccio bossless c’è la necessità di adattare la struttura organizzativa alle esigenze di inseguire, interpretare, anticipare mercati in rapido movimento.
Secondo, c’è la necessità di creare modelli organizzativi del lavoro che facilitino l’attivazione di passioni individuali e relazionali - attitudini e talenti - dentro la dimensione del lavoro - ossia all’interno del tempo e delle mansioni lavorativi.

Una prima distinzione: la gestione di lavoro di gruppo per il cambiamento è una questione che può essere solo interna (a una singola azienda) o anche esterna (per esempio, per coinvolgere gli utenti, attraverso di una metodologia chiamata community organizing, oppure per innovare insieme agli altri soggetti della propria filiera, la cosiddetta open innovation).

Nei prossimi approfondimenti di Skille daremo uno sguardo alla seconda prospettiva.
Oggi guardiamo invece dentro l’azienda. Le due parole chiave sono: lean e agile.

La necessità di creare nuovi modelli nasce da una nuova spinta essenziale: creare organizzazioni che sappiano attivare passioni individuali e nuove relazioni

Come molti di voi sapranno, lean significa snello, ossia evitare sprechi, ma anche partire senza sovrastrutture. Ma anche, nell’economia di un gruppo di lavoro che lavora a un progetto, tenere in considerazione figure di gestione delle relazioni (interne al gruppo) oltre che di gestione del progetto stesso.

Le milestone nella trattazione di questo approccio sono due libri collegati dalla stessa parola (lean, appunto) e al tempo stesso distanti. Il primo è La macchina che ha cambiato il mondo di James P. Womack, Daniel T. Jones e Daniel Roos, una pubblicazione del 1990 che ha spiegato al mondo il mondo della produzione industriale “snella”, ossia a piccoli gruppi legati a obiettivi specifici, messa a punto da Toyota. L’altro è Lean startup di Eric Ries, il libro che ha svelato al mondo come far partire una startup a piccoli passi, secondo una procedura di prototipazione leggera.

Essere agili: il caso ThoughtWorks

Agile, invece, è tale in inglese, tale in italiano. L’agilità ha a che fare con il dinamismo, ma anche con la creazione di strumenti per ancorarlo a terra. Il primo passo, per un’organizzazione agile, che inizia a esplorare un cambiamento gerarchico, è fare un continuo allineamento, a tutti i livelli, sulle strategie aziendali. In altre parole, non bisogna dare per scontata una vision condivisa, estendere anzi la sua diffusione a tutte le risorse umane e permettere loro di dare nuovi significati alle parole scelte dall’alto.

Un’organizzazione agile è frutto di un cambio di paradigma che pensa all’azienda non come una macchina ma come un organismo.

Abbiamo chiesto a Sara Michelazzo, Design & Inclusion Lead di ThoughtWorks Italia, di parlarci dell’esperienza dell’azienda di cui fa parte, una global tech consultancy del software design.
Leggiamo la sua intervista.

Talk

Perché per affrontare i nuovi mercati è necessaria una nuova organizzazione aziendale?

Rispondo con le parole del mio collega Sunil Mundra che ha appena scritto un meraviglioso libro che avuto l’onore di leggere. Il suo libro Enterprise Agility: Being Agile in a changing world è già #1 su amazon.com nelle new release per IT Project management: «La sfida più grande che le imprese devono affrontare oggi è affrontare il cambiamento frenetico in tutte le aree di business.
Fin dall’avvento del management, le imprese sono state modellate su fabbriche e costruito come un sistema meccanicistico o non vivente. Questi sistemi sono progettati per offrire prevedibilità, stabilità e ripetitività. Tuttavia, le imprese che continuano a funzionare in questo modo faticano a reagire e adattarsi al ritmo accelerato di cambiamenti radicali nell’ambiente aziendale. L’agilità è uno spostamento fondamentale nel pensare a come le imprese lavorano per affrontare in modo efficace cambiamenti dirompenti nell’ambiente aziendale.
La credenza principale che sta alla base dell’agilità è quella le imprese sono sistemi aperti e viventi». L’agilità offre degli spunti preziosi per trovare una strada al cambiamento. Il mercato mostra chiaramente che l’agilità é ormai un obiettivo comune per le organizzazioni. Un requisito fondamentale per rimanere rilevanti un mondo che evolve in fretta e una tematica di grande interesse per il management e non solo.

Quali sono gli strumenti quotidiani, ma anche gli approcci organizzativi nuovi?

Lo strumento più potente sono le idee e le idee si nutrono di conversazioni. Poi, bisogna avere coraggio e il supporto di portare queste idee a terra. Avere un obiettivo comune, che ispiri.
Alcune degli approcci più interessanti che ho visto sono:
- Dinamiche relazionali inclusive
. Non basta progettare un ufficio open space. Lo spazio e il tempo sono solo alcune delle barriere relazionali. Altre barriere sono la timidezza, le gerarchie, la paura di sbagliare davanti a tutti, la condivisione delle informazioni. Questo è un esercizio di empatia. Occorre creare momenti di confronto sincero e strumenti di raccolta input anche relazionali strutturati.
- Trasparenza e accesso alle informazioni
. Una cosa che amo di ThoughtWorks è come tutti vengono incoraggiati ad avere una opinione, ad esprimere la loro opinione e ad agire su questa.
- Una leadership accessibile
: che ascolta e che dà l’esempio. Di nuovo uso le parole di un collega «a show, rather than tell approach». Una leadership che ha il ruolo di fare empowerment, che muova le persone all’azione, le supporta, le incoraggia, faccia le domande difficili, faccia da connettore tra le persone, accetti il cambiamento, condivida per prima i loro errori affinché il fallimento si liberi dello stigma, motivi le decisioni, crei un ambiente in cui le persone possano essere loro stesse.

Quali sono le aziende o i casi più interessanti dei nuovi modelli organizzativi?

ThoughtWorks stesso è un esempio interessante. La nostra azienda ha 25 anni e nonostante sia una azienda di quasi 5mila persone con 41 uffici in 14 Stati è agile e con una struttura flat. Per questo dobbiamo ringraziare il nostro fondatore Roy Singham che considerava la nostra azienda come un “esperimento sociale”, un’azienda basata su tre pilastri che ancora formano la cultura: essere sostenibili, promuovere l’eccellenza nel software e promuovere la giustizia sociale ed economica. Roy era un attivista e da poco ha ceduto l’azienda ad Apax, una private equity. L’esperimento continua... riusciremo a mantenere la nostra cultura senza il nostro fondatore?

Patagonia, azienda leader nell’abbigliamento sportivo

Altro caso celebre è Patagonia, azienda leader nell’abbigliamento sportivo. Yvon Chouinard, l’imprenditore che l’ha lanciata, ha basato la sua vita sulla passione per il proprio lavoro. Lo descrivono come un imprenditore strano, con un carisma idiosincratico. Chouinard (leggete Let My People Go Surfing per la testimonianza diretta) ha capito una cosa importante con la sua esperienza. Questo si riflette direttamente sulla struttura delle proprie risorse umane e del modello organizzativo.

Anzitutto, in Patagonia i nuovi dipendenti sono selezionati in base alla loro passione per le attività di cui l’azienda realizza l’abbigliamento. Il motivo è semplice: se un mio dipendente è appassionato di ciò che produce (e vende), se dunque è un prototipo del mio perfetto cliente, saprà leggere il mercato in maniera esemplare.

Scrive ancora Yvon Chouinard:

«Il controllo della qualità era sempre il nostro primo pensiero, perché se un attrezzo si fosse rotto avrebbe potuto uccidere qualcuno, e visto che eravamo noi i nostri migliori clienti, avevamo buone possibilità di essere proprio noi quel qualcuno!»

Tutto questo funziona, di nuovo, se alla base c’è una piena condivisione della vision aziendale, non solo dal punto di vista dei risultati ma anche degli impatti (sociali e ambientali), ossia del cambiamento che una data organizzazione sta producendo nel contesto in cui opera. Il cambiamento non lo si fa da soli, ma con i propri clienti, con i propri fornitori. Ma i primi a portare cambiamento devono essere i miei dipendenti, le risorse umane che mi aiutano giorno per giorno.

Re-inventare le organizzazioni. Anticipare il mondo Teal

La storia della riorganizzazione delle gerarchie nasce da lontano. Uno dei momenti aurorali è stato quando House e Mitchell, nel 1974, hanno preso in considerazione la leadership secondo un’ottica diversa, nella cosiddetta Path-Goal Theory, rovesciando cioè il punto di vista e definendo il leader come il responsabile della motivazione e del conseguimento degli scopi del gruppo.

In Reinventing Organizations, Laloux fa riferimento alla storia dei cambiamenti organizzativi come a un’evoluzione graduale delle forme di aggregazione umana in generale - quindi non solo di un’azienda. Nella sua prospettiva, il punto più alto delle nuove forme organizzative è tutto concentrato sul singolo. È dall’individuo che si vedono i cambiamenti integrati. È dal cosiddetto self management che si vede davvero la riuscita della riorganizzazione aziendale.

Frederic Laloux ha lavorato a lungo nella già citata McKinsey & Company, un osservatorio preferenziale dove cogliere il cambiamento delle aziende in tutto il mondo. Laloux sostiene che le strutture organizzative delle aziende dovrebbero riflettere la società di cui sono parte. Ed è la società che sta cambiando.
L’autore descrive gli stadi evolutivi dell’aggregazione umana da uno stadio primordiale (basato sostanzialmente su una dimensione conflittuale) a un orizzonte futuro di società basata sul self management di cui sopra. A ogni stadio dell’evoluzione organizzativa e della società che ci circonda, Laloux associa un colore: dal rosso, all’arancione (che rappresenta la struttura organizzativa più diffusa oggi) al colore teal, acquamarina.

 

Teal non è solo l’azienda ma la società in cui l’azienda si inserisce. Oggi la scommessa è passare al colore Teal, dove il self-management prende il posto delle strutture organizzative piramidali. Dove l’autorganizzazione discende direttamente dalla soddisfazione di ciascuno nel proprio gruppo di lavoro.
È possibile? Certo, ma la transazione non può essere immediata. Per costruire un modello orizzontale che funzioni bisogna, come prima cosa, convincere il management a riconoscerne il valore.

Strutturarsi in maniera orizzontale non è assenza di direzione, è la ridefinizione del luogo dove si prendono le decisioni, dei processi di advisory. Chi è a contatto con il cliente ne capisce le esigenze e può comprendere al meglio quali siano le condizioni del mercato.

I benefici dell’organizzazione Teal

1-Tutti partecipano, esprimendo a pieno i propri talenti nella totale autonomia
2- Tutto ciò comporta un potente incentivo per un apprendimento continuo, una crescita non solo per quelle che sono le proprie hard skills ma anche per le proprie competenze morbide
3-Non vi è più dispendio di tempo ed energia per soddisfare il capo di turno, o per competere con gli altri nella speranza di una promozione
4- Le informazioni circolano liberamente, in questo modo l’organizzazione è più preparata per l’imprevisto
5- Le decisioni vengono prese in maniera più veloce da chi ha le capacità necessarie per uno specifico problema. Non viene sottovalutata la componente emozionale nel processo di decision-making

Il successo viene dall’equilibrio e dalla soddisfazione personale, non viceversa.

Leadership distribuita. Dall’azienda agile a quella bossless

Il passaggio dall’organizzazione agile a quella bosslessdeve essere fatto per gradi. La prima dimensione da attivare è la leadership distribuita, ossia una responsabilizzazione dei risultati diffusa nell’azienda, nella sua cultura, nei suoi risultati, nelle sue risorse umane.
La leadership diffusa è stata definita, già nel 1982, leadership situazionale dagli economisti Hersey e Blanchard. Considera tre dimensioni che definiscono lo stile di leadership adottabile in un gruppo di lavoro:
- La quantità di guida fornita dal leader (l’orientamento al compito);
- La quantità di supporto emotivo (l’orientamento alle relazioni);

Il grado di maturità dei subordinati (livello: alto; medio-alto; medio-basso; basso), inteso come la capacità di assumersi responsabilità nello svolgere un compito.
Quest’ultima variabile presenta in realtà due aspetti: uno di carattere psicologico, dato dalla motivazione, e un altro definito dalle abilità possedute dai membri, necessarie al raggiungimento degli obiettivi.

La nozione di leadership distribuita vera e propria, ossia di self management, enfatizza il ruolo attivo che ogni componente di un team ha nella costruzione e nello sviluppo della leadership; ogni membro ha delle specifiche capacità di leadership che il gruppo nel suo insieme necessita contestualmente ai periodi che attraversa.

Vengono individuate quattro tipologie di comportamenti e ruoli di leadership:
- Hard Skills Leadership: è il ruolo che ruota intorno alle competenze necessarie per lo sviluppo del core della propria attività.
- Organizing Leadership: lo scopo di questo ruolo è di portare ordine tra i più disparati compiti del team. Comportamenti e caratteristiche associate con questo raggruppamento includono capacità di focalizzarsi sui dettagli, di gestione delle deadlines, di strutturazione, tempismo ed efficienza.
- Spanning Leadership: coinvolge l’attuazione di tutti quei comportamenti e quella e attività per la connessione del self management con i gruppi e gli individui esterni.
- Social Leadership: cura la crescita e il mantenimento del gruppo sotto l’aspetto sociale e psicologico. I comportamenti associati a questo ruolo implicano la comprensione delle necessità di ogni membro, assicurandosi la visione di ognuno venga ascoltata, interpretando e parafrasando le visioni di tutti, mediando conflitti, mostrando sensibilità per l’energia di gruppo.

Come si vede, in tre delle quattro dimensioni del self management (e della leadership distribuita), sono protagoniste le soft skill. Vediamo ora qualche esempio di applicazione di quanto detto sin ora.

Il caso Buurtzorg, la più grande organizzazione infermieristica dei Paesi Bassi

Uno dei casi studio più interessanti trattati in Reinventing Organizations è Buurtzorg, la più grande organizzazione infermieristica dei Paesi Bassi, esemplare per il passaggio da azienda Arancione ad azienda Teal. Il suo fondatore, Jos de Blok, fonda una nuova realtà, dalla struttura intrinsecamente collaborativa, perché consideravainefficiente il servizio dell’azienda di cui faceva parte, da un punto di vista soprattutto relazionale. Trattandosi di cura alla persona, il nuovo modello è fortemente basato sulle competenze trasversali.

Un po’ di storia. Nel diciannovesimo secolo, in Olanda c’erano infermieri che facevano visite a domicilio. A un certo punto, il sistema sanitario, che già si faceva carico delle spese, ha deciso di raggruppare gli infermieri/lavoratori autonomi in organizzazioni: ha portato a economie di scala e condivisione delle competenze. Col tempo le organizzazioni hanno iniziato a raggiungere dimensioni più grandi passando da 295 a 86 in 5 anni (dal 1990 al 1995).

La standardizzazione (inevitabile) del servizio ha portato sofferenza sia per i pazienti che per gli infermieri. Il sistema non trattava più i pazienti come persone, il contatto umano veniva perso, non c’era continuità nella cura.
Qui entra in scena Jos de Blok, che fonda Buurtzorg e imposta un’organizzazione del lavoro basata sulla delega a gruppi di 10-12 persone, ognuno dei quali responsabile di circa 50 pazienti: ciascun gruppo decide quali e quanti pazienti assistere, programmando le ferie e organizzando l’amministrazione, facendo insieme i colloqui ai nuovi arrivati.

«La domanda non è come creare regole migliori, ma come supportare i gruppi a trovare la migliore soluzione. Come è possibile rafforzare la capacità dei membri di un gruppo in modo tale che abbiano il minor bisogno possibile di direzione dall’alto?»

Buurtzorg è al centro anche di Self managementdi Astrid Vermeer e Ben Wenting, fondatori dell’Institute for Cooperation Issues in Olanda. Un’altra lettura ricca di consigli pratici per mettere in pratica, quotidianamente, una nuova forma organizzativa.

Valve e Mondora. Due organizzazioni “flat”

Un aspetto fondamentale delle organizzazioni bossless è l’attenzione alla qualità del lavoro, basata non solo su competenze, ma anche sulla valorizzazione dei talenti.
Non si tratta solo di fare quello che mi piace e soprattutto di non fare quello che non mi piace. L’emersione di un talento da “valorizzare” sul lavoro è anche e principalmente riconoscimento reciproco dentro il gruppo di lavoro in cui esso si esprime.

In questo bossless significa darsi criteri di giudizio condivisi e fare una valutazione collaborativa (tra pari) della buona riuscita dell’attività di ciascuno in un orizzonte di benessere relazionale del gruppo e dell’ambiente di lavoro in cui si è inseriti.

Eclatante a tal proposito l’esempio di Valve, azienda (e struttura organizzativa) benchmark e leader del mercato dello sviluppo di giochi e ambienti ludici digitali. Vave è infatti bossless nel senso più estremo del termine, perché spinge la mutua valutazione anche a ciò che del lavoro è dominio per eccellenza, che difficilmente cioè può essere appropriato dal tempo libero: lo stipendio, deciso in base a una peer review tra colleghi (non essendoci capi a giudicare).

Ciò succede perché dentro Valve tutti sanno giudicarsi. Valve è orizzontale come lo è flatlandia: l’attività principale è una (lo sviluppo software) e non si intrecciano settori diversi, come invece avviene in altre organizzazioni più complesse. Si parla a questo proposito di organizzazioni flat, ossia piatte.

Un altro caso più vicino a noi, geograficamente, è Mondora, software house valtellinese fondata dai fratelli Francesco e Michele nel 2002. Mondora è stato inserito come unico caso italiano dai curatori dell’edizione italiana del testo di Laloux Reinventing Organization. Mondora è anche una delle più significative B Corp italiane, un esempio aziendale in continuità con l’esempio dell’azienda Patagonia.

Tecnicamente Mondora è una «società che fa profitto rigenerando persone e ambiente»

In Mondora, hanno compreso molto bene la necessità di stabilizzare pratiche condivise (policy discusse in un ambiente decisionale online e offline) che mettano esplicitamente l’azienda in connessione con il contesto in cui si inserisce.
Leggiamo questo esempio: «Per incentivare al movimento e alla vita sana abbiamo deciso che chi viene al lavoro in bici o a piedi riceva un rimborso chilometrico [...] Davide, un nostro collaboratore, ha aperto sul forum un sondaggio in cui ha inserito la proposta di istituire il rimborso chilometrico [...] Il tema è stato molto discusso, ci sono stati molti interventi, l’idea è piaciuta ma, per diventare una policy equa, è importante che rispecchi le esigenze di tutti. [...] è venuto fuori che poteva essere discriminante perché applicabile solo per quelli che abitano a una distanza di mezz’ora di bicicletta. In quel caso si è deciso che i chilometri potevano essere percorsi anche una volta alla settimana».

Ogni azienda, questo è l’insegnamento della sempre più ampia letteratura sulla riorganizzazione aziendale, deve trovare la propria forma, la più congeniale alle proprie risorse umane, con i loro talenti e competenze, e al cambiamento

Anche Mondora è un’azienda che si definisce flat. In altri casi, di strutture più complesse, si parla di organizzazioni “holacratiche”. Ma ci sono molti altri nomi e forme a disposizione. I nostri lettori forse si stanno chiedendo: ma se ho un’azienda più complessa come faccio? E da dove parto?
Ecco la risposta: ogni azienda, questo è l’insegnamento della sempre più ampia letteratura sulla riorganizzazione aziendale, deve trovare la propria forma, la più congeniale alle proprie risorse umane, con i loro talenti e competenze, e al cambiamento.

Per iniziare, concludiamo il nostro long form con una checklist delle prime verifiche da fare in azienda per creare quelle condizioni di possibilità di cui abbiamo parlato all’inizio di questa lunga panoramica.

Checklist

  1. Quanti passaggi deve fare un’informazione nella tua azienda per passare dal livello operativo al livello decisionale?

  2. Dove nascono le nuove idee nella tua azienda? Come vengono socializzate?

  3. Come nascono le linee strategiche della tua azienda? Come vengono socializzate?

  4. Quanti leader ha la tua azienda? In che modo vengono stabilite le leadership nella tua azienda? Quando e come cambiano?

  5. Come funzionano i gruppi di lavoro dentro la tua azienda? Come vengono letti i risultati?

  6. La tua azienda ha policy relative al contesto in cui si inserisce? Come vengono definite?

  7. Qual è il cambiamento che sta generando la tua azienda? Quanto partecipano i collaboratori a portare a questo cambiamento?

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