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Tre milioni di posti restano scoperti, ma la riforma degli Its è ancora ferma

bianca. Il mismatch fra domanda e offerta di profili professionale è destinata ad allargarsi sempre più: le aziende rivedono i propri paradigmi organizzativi e produttivi. E inseriscono nuove posizioni. Nascono così ulteriori nuovi fabbisogni di conoscenze e abilità tecniche e trasversali. Un aiuto importante lo darà riforma degli Its, ma al momento l’esame è bloccato al Senato

Lettura 14 min.

La difficoltà di far incontrare domanda e offerta

Dove sono finiti tutti i lavoratori? La carenza di manodopera – problema europeo, non solo italiano - è uno degli ostacoli e delle strozzature strutturali che sta rallentando la ripresa. Lo dicono gli imprenditori, ma il tema è evidente anche dai dati sulla disoccupazione giovanile.
Il fenomeno però, lo abbiamo già documentato in un altro articolo, è da considerare strutturale del mercato del lavoro italiano. Domanda e offerta faranno sempre fatica a sovrapporsi completamente, causa anche dell’alta velocità con cui i processi produttivi e organizzativi stanno trasformando le aziende: non è solo il contesto di fabbrica a cui ci si dovrebbe riferire, e il cambiamento non dovrebbe essere inteso “solo” come l’inserimento di nuove tecnologie. È qualcosa di più radicale, ci si trova a fare i conti, anche sotto il profilo del fabbisogno formativo e di competenze, con una completa e continua ristrutturazione dei processi di lavoro. Ci sarà sempre bisogno di qualcuno con una competenza nuova. Il mismatch resterà sempre lo sfondo caratteristico del mercato del lavoro dei prossimi anni, anche per via di un sistema formativo-scolastico che sembra far fatica ad allinearsi con i ritmi di sviluppo organizzativo delle imprese.

I segnali che arrivano dalle aziende indicano che il problema in effetti è destinato ad assumere contorni e dimensioni ancora più pesanti nei prossimi anni. Le competenze di cui hanno bisogno le imprese non saranno mai completamente disponibili sul mercato tali da coprire la reale dimensione del fabbisogno. Se è vero – come ha più volte rimarcato il World Economic Forum (Wef) – che entro i prossimi 5 anni cambieranno contenuti sei lavori su dieci, e che entro il 2030 il 65% dei più giovani oggi farà un lavoro che ancora non esiste e non ha un nome, il perimetro del problema è presto tracciato.

 

Gli ultimi dati, di venerdì scorso, lo confermano. E danno ancora una volta (ma il timore è che ogni mese, puntualmente, si leggeranno queste cifre sulla mancanza di profili) della reale pressione che mettono sul mercato del lavoro e della formazione. La necessità è di elevare competenze e conoscenze nella direzione dell’uso delle nuove tecnologie, ancora largamente inadeguate, è alta: al netto degli adulti «immaturi digitalmente», ci sono oltre 3 milioni di giovani (fra i 15 e i 34 anni) che non sono occupati, né sono impegnati su un percorso di formazione, un quarto del totale, la quota più alta d’Europa.

Pietro Ichino

Giuslavorista ed esperto mercato del lavoro

Poi ci sono almeno altri 3-3,5 milioni di posti di lavoro che restano scoperti per mancanza di competenze pronte: skill shortage e mismatch saranno le nuove dimensioni con cui ci si dovrà confrontare sempre più. E questo davanti a un mercato del lavoro in netta ripresa, ma complessivamente, scrive il giuslavorista Pietro Ichino nel suo blog, con un dettagliato bilancio fra uscite e assunzioni nell’ultimo trimestre «il 35% delle vacancies stenta a essere coperta, mentre sta per arrivare la “rata” dello sblocco dei licenziamenti. I servizi efficaci al mercato del lavoro sono necessari con urgenza – sottolinea Ichino -. Ma la rete dei centri per l’impiego fa registrare ancora zone di gravissimo ritardo».

Mario Draghi

Presidente del Consiglio dei ministri

La consapevolezza per questa situazione è comunque alta. E qualcosa di importante emerge. «È una priorità per ripartire» l’ha definita lo stesso premier Mario Draghi, facendo riferimento alla riforma che ridefinisce la missione e l’organizzazione del Sistema di Istruzione e formazione tecnica superiore, a cominciare dagli Its e dal loro rafforzamento prevista dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. Tempo un paio di giorni e gli ha fatto eco il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi: «Gli Its devono finalmente diventare perno della nostra istruzione tecnica superiore. Un obiettivo a cui si sta lavorando perché abbia caratteristiche di unitarietà. Ogni Its continuerà ad essere radicato nel proprio territorio, ma diventerà anche un punto di riferimento in rete con tutto il sistema. L’idea di fondo è che gli Its sono un modo diverso di fare scuola, grazie alla capacità di coniugare la parte educativa teorica con un elemento operativo pratico che è la presenza delle imprese e del territorio».

Patrizio Bianchi

Ministro dell’Istruzione

Il rilancio delle politiche attive del lavoro: la Gol

Oggi, però, la riforma degli Its, perno importante anche di una gran parte delle nuove politiche attive del lavoro avviate dal governo si è “bloccata” alla Camera, il Senato l’ha già approvata all’inizio di luglio. Una priorità per ora accantonata, quindi, ma dovrà ben presto fare i conti con i tempi del Pnrr. Perché è quello il vero strumento della svolta.

 

Sul sistema Education, sistema formativo e politiche attive del lavoro, definita una svolta storica, il Pnrr fa calare 30 miliardi di euro, e per la prima volta oltre 1,5 miliardi di euro (a fondo perduto) per la riforma degli Its, 880 milioni la dote messa i campo subito per attuare il primo passo del pilastro delle politiche attive, la messa a terra del programma nazionale della Gol (da attuare con le Regioni), la garanzia di occupabilità dei lavoratori: 60 giorni per presentare i progetti, altri 30 per le verifiche.
Complessivamente, sul piatto della Gol, ci sono 4,9 miliardi, e andranno a coinvolgere e a beneficiare almeno 3 milioni di persone entro il 2025. Almeno il 75% saranno donne, disoccupati di lunga durata, giovani under 30, lavoratori over 55. Almeno 800mila saranno coinvolti in percorsi di formazione, di cui 300mila per il rafforzamento delle competenze digitali. Intanto sul tema della Garanzia occupabilità è partita la macchina dei piani regionali, ciascuna Regione dovrà adottare un proprio piano per attuare l’obiettivo Gol. Il timing è rigoroso, in base agli impegni presi con l’Europa la Gol va approvata entro fine anno.

 

Ma la priorità vera, invocata dagli imprenditori, è la riforma degli Its, la prima esperienza italiana di offerta formativa terziaria professionalizzante legata al sistema produttivo territoriale e al mercato del lavoro, e giudicata come il vero strumento «per rilanciare discipline Stem e l’intera filiera tecnico-professionale, attivando anche un forte orientamento in quella direzione – sottolinea Gianni Brugnoli, vice-presidente di Confindustria per il Capitale umano -. La riforma dell’istruzione tecnica è urgentissima, e deve puntare su aule e laboratori innovativi e su una didattica legata a imprese e territori. Senza un rapido cambio di passo – è il monito di Brugnoli – le nostre imprese pagheranno un conto salatissimo». Brugnoli pronuncia queste parole avendo fra le mani l’ultimo report Excelsior di Unioncamere-Anpal. Da cui emerge il noto allarme.
La sintesi finale è questa: è arrivata al 36,5% la quota di assunzioni per cui le imprese dichiarano difficoltà di reperimento (+5% rispetto a ottobre 2019), soprattutto a causa della mancanza delle figure professionali ricercate dalle imprese. Complessivamente, il mismatch sale al 51,5% per gli operai specializzati, al 41,8% per le professioni tecniche e al 40,6% per i dirigenti e professioni intellettuali e scientifiche.

 

La meccatronica locomotiva dei nuovi posti

Entrando nel dettaglio sono circa 505mila i lavoratori ricercati dalle imprese per il mese di ottobre, 114mila in più (+29,1%) rispetto allo stesso periodo del 2019, -21mila (-4,1%) rispetto a settembre 2021. La domanda di lavoro dell’industria prevede 183mila entrate a ottobre che salgono a 452mila nel trimestre ottobre-dicembre. Nonostante le tensioni sul mercato dell’energia e delle materie prime, quindi, prosegue la ripresa occupazionale del manifatturiero con 131mila entrate a ottobre e 326mila fino alla fine dell’anno.
Le maggiori opportunità di lavoro sono offerte dalle industrie della meccatronica che ricercano 34mila lavoratori nel mese e 93mila nel trimestre, seguite dalle industrie metallurgiche e dei prodotti in metallo (27mila nel mese e 68mila nel trimestre) e da quelle tessili, dell’abbigliamento e calzature (14mila nel mese e 32mila nel trimestre).

Tutti i settori sono toccati. Elevata infatti anche la richiesta delle costruzioni: 52mila le assunzioni programmate per ottobre e 126mila fino a dicembre. Sono invece 322mila i contratti di lavoro offerti dal settore dei servizi e oltre 900mila quelli previsti nell’ultimo trimestre 2021. Le maggiori opportunità le offre il commercio (69mila entrate programmate nel mese e 197mila nel trimestre), seguito da quello dei servizi alle persone (67mila nel mese e 167mila nel trimestre) e dai servizi operativi di supporto alle imprese (52mila nel mese e 139 nel trimestre).

I vuoti dentro ai settori industriali

Ancora più nel dettaglio per singoli comparti produttivi, ecco gli specifici profili professionali che mancano. Cominciando dalle imprese metallurgiche e dei prodotti in metallo (52,9%) difficoltà che sale al 64,1% per il recruitment di fabbri ferrai, costruttori di utensili e assimilati e al 61,9% per i fonditori, saldatori, lattonieri, calderai, montatori carpenteria. Elevato anche il mismatch segnalato dalle imprese delle costruzioni (48,7%) soprattutto per artigiani e operai specializzati addetti alle rifiniture delle costruzioni (61,5%), e dalle imprese dei servizi informatici e delle comunicazioni (47,8%) per cui le maggiori difficoltà si incontrano per specialisti in scienze matematiche, informatiche (61,7%) e per tecnici informatici, telematici e delle telecomunicazioni (54,3%).

Coerentemente con le figure professionali, le aree aziendali con il più elevato mismatch risultano essere i sistemi informativi (57,6%), progettazione e ricerca (51,0%), installazione e manutenzione (52,3%). Sono, infine, 56mila le richieste di contratti di somministrazione (+19mila su ottobre 2019), 29mila quelle per gli altri contratti non alle dipendenze (+5mila), 23mila per i contratti di apprendistato (+3mila), 5mila per gli altri contratti alle dipendenze e 2mila per quelli di collaborazione. A trainare la domanda di lavoro di ottobre si confermano essere i contratti a tempo determinato con 282mila richieste, pari al 52,3% delle entrate programmate (+93mila rispetto ad ottobre 2019), seguiti da quelli a tempo indeterminato con 89mila contratti, pari al 20,7% dei casi (poco distanti, -9mila, da quelli offerti nel mese di ottobre 2019).

Ultimo passaggio sui titoli di studio. Risultano «introvabili» i laureati in ingegneria industriale, e quelli in elettronica e dell’informazione (rispettivamente 58,0% e 52,8%), i candidati con una istruzione tecnica superiore (più di un diplomato Its su due, 52,6%, non si trova sul mercato) o con una formazione tecnica professionale (49,4%). Circa il 30% dei contratti è rivolto ai giovani con meno di 29 anni.

 

Potenzialità degli Its: tutti al lavoro entro un anno

È tutta in quest’ultimo passaggio la potenzialità degli istituti Its. Un vuoto da colmare, ma che gli Its - a undici anni dalla loro costituzione - hanno già dato ampia prova di essere all’altezza del compito. Lo raccontano gli ultimi dati dell’indagine annuale di Indire sulle performance Its: degli iscritti ai 201 percorsi Its (maschi il 72,6%, tra i 20 e 24 anni il 42,4% e tra i 18-19 anni il 38,0%, il 59% è in possesso di un diploma di istruzione secondaria di secondo grado ad indirizzo tecnico), l’80% dei diplomati Its ha trovato lavoro a un anno dal diploma. Il dato risulta particolarmente significativo perché riferito al 2020, anno di esplosione della crisi pandemica e del relativo di lockdown. Non solo: il 92% degli occupati, anche nel 2020, ha trovato lavoro in un’area coerente con il percorso di studi. Chi viene assunto, inoltre, si trova a lavorare nei settori con il più alto trend di crescita come la mobilità sostenibile, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione e le nuove tecnologie della vita.

 

La sfida tuttavia, prima di vedere i contenuti della riforma degli Its, si gioca anche su un altro terreno, il rilancio del sistema duale. Il Pnrr definisce un tempo di cinque anni necessario per rafforzare il sistema duale e dell’apprendistato, prevedendo 600 milioni di euro, 120 milioni ogni anno. A queste risorse vanno poi aggiunte le ordinarie risorse del ministero del Lavoro: 125 milioni l’anno, oltre ai fondi per le decontribuzioni dei centri d’eccellenza, per i tutor aziendali, per il placement, e a quelle stanziate dalle Regioni.
Se alla fine la dotazione del sistema duale raddoppia, l’attesa è che si assiste a un corrispondente raddoppio anche del numero dei giovani formati, con rilevanti ricadute sull’impatto occupazionale, dal momento che le percentuali di inserimento sono pari alla totalità.

Vediamo quindi, come i fabbisogni di competenze e di professionalità, il fabbisogno di nuovi mestieri espressi dalle imprese sulla base delle loro trasformazioni tecnologiche e organizzative potrebbero allinearsi ai percorsi formativi disegnati dalla riforma degli Its, un nuovo percorso della funzione del sapere tecnico-specialistico nel processo di costruzione della professionalità.

 

Tenendo in considerazione che il modello italiano degli Its si ispira a modelli consolidati in altri paesi europei: Fachhocschulen tedesche, Scuole Universitarie Professionali svizzere, al Brevet Technicien Supérieur o al Diplome Universitaire de Technologie francesi. I percorsi, in Italia, hanno una durata biennale o triennale, lo stage è obbligatorio per il 30% delle ore complessive e almeno il 50% dei docenti deve provenire dal mondo del lavoro In realtà si arriva al 70%). Ciascun diploma corrisponde a figure nazionali, a piani di studi definiti con le imprese e a competenze sviluppate nei luoghi di lavoro.

Il rompicapo Ocse: tanti occupati, pochi iscritti

Davanti a questi dati l’Ocse ci ha puntato il dito contro: «È singolare avere strumenti che garantiscono l’80% di occupabilità e sono frequentati solo da 18.300 studenti». Impietoso il confronto con gli altri paesi: i tassi di partecipazione ai percorsi d’istruzione terziaria breve sono di gran lunga superiori a quelli dell’Italia. La Spagna conta 392.000 iscritti su un totale di 2.010.000 studenti immatricolati nell’istruzione terziaria, la Francia 501.000 su 2.532.000, il Regno Unito 287.000 su 2.431.000, la Germania 192.00049 su 3.091.000. In Italia solo 11.000 su 1.837.00050.

Ed ecco allora spuntare come via per rimarginare il ritardo il testo approvato dalla Camera e ora in discussione in Commissione Lavoro del Senato. Commissione che ha già annunciato una serie di modifiche. Correzioni che anche altri soggetti stanno presentando e che vorrebbero introdurre sulla base di una serie di studi, analisi e considerazioni sulle nuove dinamiche del mercato del lavoro e delle innovazioni tecnologiche.

La considerazione di partenza resta punto fermo per tutti: la riforma e la rivisitazione del sistema formativo e degli Its viene affrontata in un momento in cui ci sono tutte le condizioni per dare impulso a un cambiamento importante. L primo cambiamento: non è più possibile immaginare un sistema formativo che non dialoga con il tessuto produttivo, e viceversa.

La riforma: qual è la leva dell’innovazione

Vediamo allora i dettagli della riforma, fin qui approvata. Una proposta di legge (il testo integrale è allegato a questo articolo), quindi, per la ridefinizione della missione e dell’organizzazione del Sistema di Istruzione e formazione tecnica superiore il cui testo nasce da sei distinte proposte parlamentari. Il relatore alla Camera era Gabriele Toccafondi. Che aveva spiegato così in parte filosofia e limiti del provvedimento all’inizio della discussione. «La proposta non rivoluziona il sistema, ma ha l’intenzione di migliorare il percorso. Il provvedimento in esame eleva a livello legislativo questa normativa, in parte riprendendola, in parte modificandola.
Le principali novità sono l’introduzione di un sistema di accreditamento iniziale e periodico degli Its, quale condizione per l’accesso al finanziamento pubblico, la revisione delle aree tecnologiche nelle quali operano gli Its, la ridefinizione della governance degli istituti, la definizione dei requisiti dei docenti, il rafforzamento della spendibilità del titolo di studio, un percorso di orientamento strutturato e capillare e l’istituzione di un organismo preposto al coordinamento nazionale delle azioni per lo sviluppo del sistema di istruzione e formazione tecnica superiore, il tutto con l’intesa delle regioni». Ma entriamo nelle novità della riforma.

 

Tutte le novità della riforma: nascono gli «Its Academy»

Gli Its cambieranno nome e si chiameranno «ITS Smart Academy», in quanto considerate delle vere e proprie accademie. Ma sul nome c’è già qualche perplessità sollevata soprattutto dai docenti: l’acronimo Its, dicono, deve restare nel nome, rischio perdere di vista una tradizione per la formazione che ha funzionato. E bene.
Le denominazioni faranno riferimento ad un determinato settore tecnologico. L’aggiornamento del corpo docente e l’analisi puntuale dei risultati saranno alla base del funzionamento dei singoli Its.

I finanziamenti

La continuità operativa e di risultato è garantita dai fondi del Pnrr: 1,5 miliardi di euro in 5 anni. L’assegnazione dei fondi avverrà attraverso criteri meritocratici: questi saranno riferiti al numero degli allievi dei corsi che nell’anno precedente hanno conseguito un giudizio positivo da parte del sistema di monitoraggio e valutazione curato da Indire.

Transizione ecologica e nuove tecnologie

Transizione ecologica e nuove tecnologie made in Italy, tecnologia nel campo dell’informazione, comunicazione e dei dati saranno le principali tematiche che abbracceranno gli Its. Fra le altre novità sulla governance (articolo 3 della legge) emerge l’importante sinergia fra Stato e Regioni nel monitoraggio della corrispondenza tra i fabbisogni formativi e produttivi delle imprese di industria 4.0. Questo permetterà di identificare “I principali nodi di sviluppo di gruppi produttivi, con forti tratti di innovazione tecnologica di industria 4.0” ma anche la possibilità di “offrire alle imprese di industria 4.0 le opportunità di costruire i nuovi profili professionali” coerenti con i loro bisogni.

Orientamento e Stem

Spazio anche alla necessità di far conoscere in maniera capillare l’offerta formativa degli Its Smart Academy. A questo fine la riforma Its prevede modalità definite e risorse dedicate per percorsi di comunicazione e di orientamento: in particolare tra gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado e dei centri di istruzione e formazione professionale regionali finalizzati alla conoscenza delle filiere professionalizzanti. L’altra platea da sensibilizzare per favorire l’innovazione è rappresentata dalle ragazze (articolo 6): ancora poche scelgono percorsi di studio relativi alla scienza, tecnologia, ingegneria e matematica. Obiettivo, quindi, promuovere la diffusione presso le studentesse di queste discipline: per fare questo il Coordinamento nazionale predisporrà azioni di formazione mirate.

Un voto che va a rilento

L’esame al Senato va molto a rilento. Nel frattempo arrivano una serie di proposte di modifica. Le più importanti sono state messe a punto dall’Associazione Rete Fondazioni Its Italia. «La ripartenza del Paese oggi ha bisogno di vincere la sfida delle competenze, e l’investimento del PNRR sugli Its - ha spiegato il presidente di Its Italia, Alessandro Mele - è una variabile strategica per raggiungere questo obiettivo e consolidare e far crescere il sistema Its, nata finalmente in Italia dopo 60 anni di fallimenti. È urgente intervenire e non perdere questa storica occasione».

 

Diversi i punti fermi dell’Associazione. A cominciare dal prendere consapevolezza che “per moltiplicare il numero degli allievi occorre aumentare i corsi ma non le fondazioni”. «Il sistema ITS, infatti, ha dimostrato la sua efficacia di sistema integrato con le imprese, flessibile, capace di innovazione didattica e orientato alla qualità – spiega Mele -, mediante la valutazione dei risultati e il sistema premiale a questa collegato». Ma sui punti fermi Its Italia ha stilato un vero e proprio documento, i cui punti, dagli investimenti infrastutturali, all’adeguamento delle sedi fino a regole precise sulla governance degli istituti, sono questi:

  • Denominazione, se si cambia il nome mantenere acronimo ITS.
  • Natura giuridica, flessibilità e libertà di azione privatistica sono una necessità: fattore di successo e di significativo contenimento dei costi rispetto a Scuola e Università.
  • Governance Sistema, con una autonomia istituzionale compiuta. Una Direzione Generale ITS presso il ministero, un Diploma ITS ministeriale firmato direttamente dalla Fondazione. Più corsi, non più fondazioni.
  • Governance Fondazioni, superare la riserva in giunta di scuola e ente locale, rendere facoltativa la partecipazione dell’ente pubblico per la costituzione.
  • Finalità degli ITS, come hub della formazione anche Life Long Learning. Una identità 4.0, la non sovrapposizione degli IFTS con gli ITS.
  • Requisiti organizzativi minimi: accreditamento e LEP.
  • Sostenibilità, superamento del bando, meccanismi economici per la sostenibilità: apprendistato, incentivi alle imprese, autofinanziamento, compartecipazione alla spesa, etc. Fiscalità parificata a quella degli enti del Terzo settore.
  • Mercato del lavoro, equiparazione a scuola e università per l’intermediazione.
  • Riconoscimento titolo, riscatto pensionistico, accesso ai concorsi. Mantenere piena libertà di azione su V e VI livello europeo come già accade
  • Crediti universitari, una eccezione e non una regola in quanto non rilevanti per un sistema finalizzato all’occupazione.
  • Monitoraggio, sì alla premialità e alla qualità, con una necessaria manutenzione del sistema di monitoraggio rodato.

Dall’associazione Its Italia alle osservazioni emerse nello studio dell’Univesità di Padova. Anche in questo caso il confronto con quanto stanno facendo gli altri paesi è stato un po’ il punto di partenza per mettere a fuoco i nove punti, in collaborazione con la Fondazione per la Scuola e la Fondazione San Paolo. Le proposte, infatti, dettagliano percorsi per una valutazione e il rilancio di un sistema in cui il nostro paese si è fortemente ispirato alla Germania, ma è rimasto ancora molto lontano nei numeri.

Ecco quindi i punti della proposta: necessario un nuovo accordo fra Stato, Regioni, Province autonome per operare insieme e con lo stesso spirito di costruzione di un nuovo sistema formativo. In questo verrebbe data una dimensione nazionale in tutte le Regioni. E su questo fronte sembra proprio che, grazie alla spinta dei fondi del Pnrr, qualcosa si stia decisamente muovendo.
Segue la personalizzazione dei percorsi formativi con il superamento del gruppo di classe, autonomia e flessibilità nella definizione degli insegnamenti con un respiro almeno triennale.

 

Terzo passaggio il superamento di un sistema formativo e di istruzione a canne d’organo e reimpostazione secondo il concetto di filiera formativa: poter scegliere un ente di formazione professionale piuttosto che andare a scuola garantirebbe a molti giovani la possibilità di accedere al mercato del lavoro sulla base delle loro abilità manuali: questo i tedeschi lo hanno capito prima di noi.

Ma noi continuiamo anche a fare peggio: abbiamo il tasso di disoccupazione under 25 cinque volte più altro di quello della Germania, ma nel Pnrr gli investimenti rivolti a supportare politiche attive del lavoro verso questa fascia di giovani è inferiore a quella della Germania, il nostro 7,28% contro il loro 9,5%. Ma spendiamo meno anche della Spagna (11,7%) con una disoccupazione che sfiora il 40%.
Seguono gli altri sei punti della proposta: la previsione a livello curriculare dello sviluppo delle soft skill, l’inquadramento nel sistema duale dell’impresa formativa e delle Academy, un quadro metodologico unitario per il finanziamento dell’offerta dell’istruzione e formazione professionale (Iefp), la predisposizione di un’offerta formativa organica e completa della filiera professionalizzante, la semplificazione dello strumento dell’apprendistato duale per renderlo più appetibile sia ai giovani sia alle imprese, il potenziamento della rete degli operatori.
Suggerimenti tutti sul tavolo della commissione Lavoro del Senato. Ma che restano in attesa di essere presi in considerazione e discussi. Ricordano che l’Europa, sui termini e scadenze del Pnrr, non fa alcuno sconto di tempo.

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