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Fidelizzare le persone in azienda? Il welfare è la chiave del successo

Articolo. Secondo alcune statistiche il 56% dei lavoratori ha infatti intenzione di cercare un nuovo lavoro entro l’anno: alcuni si accingono all’età pensionabile, i giovani cercano nuovi driver motivazionali e, non da ultimo, il mercato del lavoro dopo il Covid ha acquisito maggiore dinamicità nel passaggio delle persone da un’occupazione all’altra.

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L’obiettivo è fermare l’emorragia

Fermare l’emorragia. Questa potrebbe essere, parafrasando termini medici, la parola d’ordine sull’urgenza per le aziende di trovare modi per trattenere i propri dipendenti. Secondo alcune statistiche il 56% dei lavoratori ha infatti intenzione di cercare un nuovo lavoro entro l’anno: alcuni si avvicinano all’età pensionabile, i giovani cercano nuovi driver motivazionali e, non da ultimo, il mercato del lavoro dopo il Covid ha acquisito maggiore dinamicità nel passaggio delle persone da un’occupazione all’altra.

In tutto ciò la retribuzione non sembra più essere la leva primaria per attrarre e trattenere i migliori talenti. Tra i nuovi elementi che fanno la differenza troviamo i servizi volti a garantire l’equilibrio vita-lavoro e la cura del benessere collettivo e individuale. In due parole: welfare aziendale.

Si tratta di un chiaro segnale di come le persone non cerchino più un lavoro per un mero sostentamento economico ma anche per realizzarsi e per esprimere al meglio la propria personalità, dentro e fuori l’azienda. Ed è per questo che tante organizzazioni stanno facendo leva su questo innovativo strumento molto vantaggioso anche dal punto di vista economico-fiscale.

Cresce il livello di welfare

Secondo l’ultimo report Rapporto Welfare Index Pmi (2022), il 68,4% delle piccole medie imprese ha raggiunto nel 2022 un buon livello di utilizzo del welfare aziendale e il 24,7% è arrivato a un livello di utilizzo elevato (nel 2016, il primo anno della ricerca, le aziende con un livello elevato erano appena il 10,3%).

Tra le aree di riferimento principali ci sono la previdenza, la salute e l’assistenza, la conciliazione vita-lavoro, lo sviluppo del capitale umano ma anche il sostegno alle famiglie per educazione e cultura. Una serie di tutele che non guardano solamente alla dimensione retributiva ma alla tutela della persona nel suo complesso.

Anche in una recente ricerca della Fim-Cisl Lombardia e Bibliolavoro viene messo in evidenza come appena sotto la remunerazione (al 60% delle preferenze) tra i driver motivazionali principali ci sono anche l’ambiente aziendale (58,9%) e un adeguato equilibrio vita-lavoro (52,3%). Due elementi che hanno al centro il benessere individuale e collettivo dell’organizzazione.

Emerge poi come la non adeguata conciliazione tra lavoro e vita privata incida sulla valutazione di lasciare l’azienda per il 23,5% dei partecipanti all’indagine. Numeri che mettono bene in evidenza l’aut-aut che possono rappresentare questi aspetti nella gestione del personale e nell’organizzazione della propria azienda.

Vien da sé che il miglior modo per trattenere le persone in azienda non sia quindi quello di “metterle in catena” ma di metterle nelle migliori condizioni per cui possano trovare all’interno della azienda stessa una fonte di realizzazione professionale e personale e di benessere individuale e collettivo. La partita è aperta.

 

Salute mentale e lavoro: il tabù (quasi) sfatato

Parlare di salute mentale e lavoro non è (quasi) più un tabù. Anzi, le aziende più sveglie hanno capito che prendersi cura del proprio personale non è soltanto eticamente e moralmente corretto ma ha anche degli effetti positivi sul trattenimento e la produttività dei lavoratori.

Per farla breve: chi si sente supportato ha prestazioni migliori. Secondo una recente indagine di Ipsos e Axa su un campione di 30 mila persone in 16 Paesi, tra cui l’Italia, emerge chiaramente la correlazione tra salute mentale dei dipendenti e performance e soddisfazione nel proprio lavoro.

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Silvia Caneve

ricercatrice Adapt sui temi della salute e del benessere dei lavoratori

«Prestare attenzione al benessere mentale è vantaggioso sia per il personale che per le aziende – sottolinea Silvia Caneve, ricercatrice Adapt sui temi della salute e del benessere dei lavoratori -. Le persone con un maggior livello di benessere sono più produttive e meno propense ad abbandonare il proprio posto di lavoro».

Secondo il campione della ricerca, i fattori che contribuiscono al miglioramento del benessere dei lavoratori e che hanno un impatto positivo in termini di retention sono il supporto psicologico, la corrispondenza tra la mansione e le competenze, un certo livello di autonomia e la chiarezza in merito alle opportunità di avanzamento di carriera. Tutti aspetti che influenzano fortemente l’esperienza lavorativa di una persona e quindi la percezione della propria azienda e le relazioni con i propri colleghi e capi.

Questione di benessere e appagamento

Si tratta di un’ulteriore conferma rispetto al fatto che la scelta di rimanere o abbandonare la nave non è più una questione soltanto economica, ma anche di benessere e appagamento nello svolgere il proprio mestiere.

«Un elemento determinante rispetto al livello di soddisfazione percepita dai lavoratori – aggiunge Silvia Caneve - è la possibilità di avere voce in capitolo sulla determinazione dei carichi di lavoro. Dalle indagini si osserva che coloro che ritengono di avere un controllo sufficiente sul proprio carico di lavoro hanno una probabilità quasi quattro volte superiore di essere soddisfatti rispetto a coloro che dicono di non averne».

Coinvolgimento attivo e supporto hanno quindi un effetto benefico non soltanto sulla persona ma anche sull’azienda, che può contare su una risorsa intenta a garantire il massimo impegno verso un’organizzazione che si prende cura di lei.

Salute mentale e lavoro

Le persone che hanno problemi di salute mentale hanno meno probabilità di essere occupate e, se occupate, hanno più probabilità di lavorare al di sotto delle aspettative. Se queste persone venissero curate in modo da avere lo stesso tasso di occupazione del resto della popolazione, l’occupazione totale sarebbe del 4% più alta, incrementando di molti miliardi la produzione nazionale (fonte Iza).

Secondo Deloitte quasi la metà (46%) della generazione Z, nati tra il 1996 e il 2010, e un’importante quota (39%) di millennial, nati tra il 1980 e il 1995, dicono di sentirsi stressati o ansiosi al lavoro per tutto il tempo o per la maggior parte del tempo. Ma le risorse messe in atto dalle aziende per il supporto psicologico sono ancora al di sotto delle aspettative.

Oltre la metà della generazione Z (54%) e dei millennial (59%) ritiene che il lavoro ibrido sia positivo per la propria salute mentale. È quindi importante incentivare questo tipo di organizzazione del lavoro basata sulla flessibilità e il lavoro per obiettivi che permettono una più autonoma gestione del tempo e lo sviluppo di rapporti di fiducia.

La parola all’esperto

L'intervista a Emmanuele Massagli. Intervista di Tommaso Galeotto

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Emmanuele Massagli

presidente AIWA

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Di cosa parliamo quando parliamo di welfare aziendale?

Il welfare aziendale rappresenta l’insieme delle misure che un’azienda mette in atto per il benessere dei propri dipendenti. Somme, beni, prestazioni, opere e servizi, ossia qualcosa che l’azienda dà al dipendente, che non sia monetario, concesse all’interno del rapporto di lavoro e aventi finalità sociale e che non generano reddito da lavoro. Lo Stato avvantaggia questa azione non caricando questi beni e servizi del cuneo fiscale.

In che modo può aiutare le imprese a trattenere i talenti in azienda?

Sta cambiando la natura del rapporto di lavoro. Sempre più sui luoghi di lavoro si dialoga e sono luoghi di partecipazione. Per un lavoratore di oggi la retribuzione è ancora molto importante ma non è più l’unica richiesta che si fa all’impresa. All’azienda ora si chiede tempo libero e servizi che rispondo a bisogni di natura sociale: la cura dei minori e degli anziani, attività sportive, ecc. il welfare aziendale è una risposta a questi nuovi bisogni. Sia sotto l’aspetto della conciliazione, sia sotto l’aspetto di ciò che sono beni e servizi non di natura economica.

Su cosa si stanno orientando le imprese?

Dal 2016 al 2021 i piani di welfare sono cresciuti del 487%. Nessuno istituto delle relazioni industriali o della gestione delle risorse umane ha avuto questo tasso di crescita. Le ragioni del successo non sono normative ma in ragione del cambiamento della natura del rapporto di lavoro che dicevamo. Cambiano le relazioni di lavoro, cambiando anche gli strumenti. Non è un fenomeno arrestabile, ha ormai a che fare con la realtà del mondo del lavoro.

Il welfare in sintesi

Il welfare aziendale, ossia l’insieme di azioni volte a promuovere il benessere dei dipendenti, è stato fortemente incentivato a partire dal 2016 e ha favorito negli ultimi anni la diffusione di una cultura della responsabilità delle imprese nei confronti dei propri dipendenti anche con l’obiettivo di attrarre e trattenere talenti. Vediamone alcuni aspetti su cui si basa

Buoni pasto: sono uno strumento che può essere fornito dal datore di lavoro ai collaboratori per fruire di servizi sostitutivi della mensa. Si tratta di uno dei servizi di welfare aziendale più offerti (e più apprezzati) che rappresenta un buon esempio rispetto alle agevolazioni a cui il personale può usufruire grazie all’azienda.

Assistenza sanitaria: rappresenta una opportunità per le aziende che desiderano supportare la salute e il benessere del proprio personale, beneficiando dei vantaggi fiscali previsti dalla normativa e offrendo un servizio sempre più importante ai propri collaboratori.

Formazione per i dipendenti: il welfare aziendale può incentivare anche attività di formazione continua dei dipendenti al fine favorire l’acquisizione di nuove competenze per lo sviluppo professionale e personale. Si tratta di opportunità che hanno un forte impatto sul trattenimento e sulla attrattività di una azienda nei confronti delle persone.

Educazione dei figli: alcuni programmi e misure di welfare aziendale possono prevedere il sostegno ai dipendenti attraverso un contributo per le spese riguardanti l’educazione e l’istruzione dei figli. Tra le possibilità possono rientrare il sostegno alle rette scolastiche, asili o centri estivi, o per l’acquisto di libri di testo.

Conciliazione vita-lavoro: la conciliazione vita-lavoro riguarda tutte quelle misure che hanno l’obiettivo di favorire l’equilibrio tra vita professionale e vita privata. Possono riguardare misure di congedo a supporto della genitorialità, per l’assistenza di familiari e disabili o anche il part-time, il lavoro agile e un’agevolazione nei trasferimenti da una sede all’altra.

Welfare, gli strumenti più utilizzati

Il 69,9% è rappresentato dai buoni pasto. Un dato che mette in evidenza come le imprese, nella stragrande maggioranza dei casi, tendano ad associare il welfare unicamente o quasi al buono pasto, uno strumento che ha il vantaggio di essere pratico e conveniente sia per l’utilizzatore sia per l’impresa che lo offre.

Il 68,9% propone buoni acquisto per benzina, shopping, e-commerce. Subito sotto in graduatoria ci sono anche altri tipi si strumenti di acquisto relativi ad alcuni beni e servizi che riguardano il trasporto e attività di svago. Anche in questo caso la logica è del supporto economico indiretto.

Il 21,1% offre prestazioni sanitarie (check up, visite specialistiche, ecc.). È un tema che inevitabilmente sta prendendo sempre più piede grazie anche alle molte campagne di sensibilizzazione e all’importanza che ha acquisito la dimensione sanitaria a seguito del Covid-19.

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