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«BergamoBrescia Cultura d’impresa», al Sestini cento fotografie sulla storia imprenditoriale della città

Articolo. Il primo aprile, nel Museo della Fotografia di Città Alta verrà inaugurata la mostra sulla «cultura d’impresa» bergamasca. Un progetto corale voluto da SIAD Fondazione Sestini e Museo delle Storie di Bergamo. Nella stessa data, aprirà anche la mostra “gemella” a Brescia

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Studio Da Re, «Rumi Fonderie Officine. Fusione in acciaieria», 1961 (©Museo delle storie di Bergamo, Archivio fotografico Sestini)

«Occorre superare le divisioni fra produzione e cultura» diceva quel visionario di Adriano Olivetti. È proprio questa idea il cuore pulsante delle due mostre «BergamoBrescia Cultura d’impresa. Storie di innovazione in fotografia», che saranno inaugurate il primo aprile a Bergamo (presso il Museo della Fotografia Sestini, nel Convento di San Francesco) e a Brescia (presso lo Spazio Fondazione Negri). Un progetto collettivo, che ha visto la luce grazie a SIAD Fondazione Sestini e al Museo delle Storie di Bergamo, in nome di quella cultura d’impresa che significa, prima di tutto, saper raccontare la propria storia imprenditoriale, ponendo sempre al centro, ovviamente, la cura per le persone e per il territorio.

«La mostra bergamasca è figlia di un progetto profondamente corale – afferma Roberta Frigeni, direttore scientifico del Museo delle Storie di Bergamo – poiché la cornice di Bergamo Brescia 2023 è una cornice non certo retorica o d’occasione, se così si può dire, ma motivo di sinergia autentica. La collaborazione fra il nostro museo e vari enti bergamaschi e bresciani è stata infatti serrata: simbolo di questa intesa è proprio l’apertura delle due esposizioni in perfetta sincronia».

Dal Novecento al 4.0: due mostre, un catalogo

Due mostre (nate anche per merito di Fondazione Dalmine, Fondazione Legler per la storia economica e sociale di Bergamo, Fondazione Negri, Fondazione Musil e Cooperativa Coclea) che, attraverso duecento foto (cento ciascuna), daranno forma a una narrazione visiva della storia produttiva declinata nelle sue specificità locali, dagli albori del XX secolo fino alle grandi innovazioni contemporanea introdotte con il 4.0. I visitatori troveranno, nei rispettivi bookshop, un catalogo che sarà anch’esso uno strumento di condivisione.

«La realizzazione di due mostre comprese in un unico catalogo – spiega Frigeni – permetterà di tradurre lo slogan “Due città, una capitale”, identificativo di Bergamo Brescia 2023, con l’espressione “Due mostre, un catalogo”, capace di suggerire lo sforzo dei due capoluoghi all’insegna di un intento comune. In un solo catalogo (che raccoglie più di duecento fotografie per un totale di 260 pagine), saranno restituiti i contenuti di entrambe le esposizioni, caratterizzate da un solo comitato scientifico che, per più di un anno, ha lavorato in maniera armonica con tutti i vari enti. Un gioco di squadra in cui Bergamo ha saputo sicuramente dare un importantissimo calcio d’inizio, dato che SIAD Fondazione Sestini ha creduto, sin da subito, in questo progetto e, sin da subito, lo ha sostenuto. Abbiamo poi proposto ai colleghi bresciani di entrare in partenariato con noi e, da lì, è successivamente partita la ricerca in due grandissimi archivi fotografici: per quanto riguarda Bergamo, l’Archivio fotografico Sestini presso il Museo delle Storie; per quanto concerne Brescia, quello della Fondazione Negri».

L’eterogeneità degli archivi, un punto di forza

Due archivi alquanto diversi. «All’interno delle nostre mostre, la cultura d’impresa viene narrata in modi plurimi – racconta Frigeni – sia a causa delle diversità che, per motivi contingenti, definiscono le singole aziende, sia perché le fotografie provengono da due archivi piuttosto diversi. Come già detto, l’archivio di riferimento per Bergamo è quello della Fondazione Sestini: più di un milione di immagini, ricchissimo da un punto di vista quantitativo ma anche molto eterogeneo. Contiene infatti 17 famiglie di documenti, figlie di scatti eseguiti da un gran numero di fotografi. Si pensi, per esempio, a quelli effettuati da Fausto Asperti (fotoreporter de L’Eco di Bergamo), che avevano una finalità specifica, ma anche a quelli della famiglia Da Re, che poteva vantare commesse direttamente dalle aziende e che, quindi, si preoccupava anche della cura artistica delle proprie creazioni. L’eterogeneità è dunque un tratto peculiare della mostra bergamasca e direi anche un punto di forza».

«Di tutt’altra fattura – continua – la mostra bresciana e il bacino dal quale si sono attinte le foto, ovvero la Fondazione Negri. È l’archivio di una famiglia di fotografi, attiva a Brescia sin dalla fine dell’Ottocento che, ancora oggi, possiede uno studio fotografico operativo. Questo studio fotografico ha sempre intrattenuto un rapporto molto stretto con le industrie del territorio ed è proprio per questo, quindi, che la mostra bresciana rivela un’organicità non presente a Bergamo, data dal fatto che il suo archivio di riferimento ha una spiccata vocazione industriale. Ad ogni modo, entrambe le esposizioni meritano una visita in quanto estremamente godibili e uniche nel loro genere, in grado di mostrare quanto l’attività umana, il legame tra fabbrica e persone e la dimensione sociale del lavoro costituiscano chiavi di lettura privilegiate per il secolo e come parole come ingegno, rispetto, tenacia rappresentino quel sistema di competenze determinanti per lo sviluppo della cultura d’impresa».

Al centro, la persona e la cura per il territorio

Entrambe le mostre saranno articolate in sei sezioni. La prima sezione sarà dedicata alle «persone» e all’evoluzione delle relazioni umane e industriali lungo il Novecento. Le tre sezioni centrali metteranno invece al centro della narrazione il «fare» (inteso come processo produttivo caratterizzato dalla crescita di alcuni settori a discapito di altri, dallo strutturarsi di distretti produttivi e dall’introduzione di processi innovativi nel passaggio dalla catena di montaggio a soluzioni integrate e automatizzate), il suo risultato, ovvero i «prodotti» (contraddistinti dall’introduzione di nuovi materiali) e il «raccontarsi» (strategie comunicative, evoluzione delle campagne pubblicitarie e cura per l’immagine aziendale). La sezione «paesaggi» presenterà le trasformazioni che hanno segnato in maniera decisiva il territorio nel corso del secolo scorso, dalle tracce lasciate dal processo di industrializzazione fino ai nuovi assetti territoriali, determinati da nuove strategie produttive e dalla necessità di far fronte alle tematiche ambientali.

Infine, la storia della cultura d’impresa dialogherà con la contemporaneità: al termine del percorso sarà possibile ammirare le innovazioni introdotte al giorno d’oggi dalle imprese 4.0, tramite digitalizzazione, automazione, connessioni digitali e nuove filiere produttive. Un focus specifico, inoltre, illustrerà l’esito del progetto «La fabbrica intelligente», masterclass di fotografia industriale condotta, nel 2022, dal fotografo Luca Campigotto e realizzata in collaborazione con il Consorzio Intellimech.

Le due mostre saranno aperte al pubblico fino a domenica 9 luglio al prezzo di 7 euro. Ma non è tutto. Il 14 aprile, aprirà anche l’esposizione della Fondazione Dalmine: numerose immagini storiche del paesaggio industriale a opera del fotografo Giovanni Hänninen. «Il numero delle aziende mappate, sia bergamasche che bresciane, è elevato – afferma Frigeni – Si va da storie aziendali che si sono chiuse come, per esempio, la Rumi (che ha avuto un’epopea bellissima) a imprese che hanno traguardato il Novecento arrivando ai giorni nostri, come, per esempio, la Dalmine o l’ABB Sace. Ogni realtà è stata mappata cercando di seguire il filo rosso dell’innovazione».

L’impresa come cultura

Ma la cultura d’impresa può davvero fare ed essere cultura? «L’impresa può essere e può fare cultura in molti modi – dice convinta Frigeni – L’allestimento di queste due mostre, del resto, lo dimostra, essendo stata un’azienda come SIAD ad averlo reso possibile. Ed è sempre grazie al fondamentale contributo di SIAD che, nel 2018, si è inaugurato a Bergamo il primo museo della fotografia. L’apertura di quel museo ha permesso di far comprendere al pubblico bergamasco (e non solo) quanto sia inestimabile il valore di quel patrimonio documentale e fotografico e, soprattutto, di renderlo fruibile e di metterlo in condivisione. Questo è un esempio di come un’impresa possa essere e fare cultura: attraverso il racconto della propria storia, essa narra e conserva quella del territorio in cui si colloca e quella delle persone che quel territorio abitano, affinché una comunità e una città, guardando al futuro, possano conservare memoria del proprio passato e delle proprie radici».

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