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#(di)versi: brucia fino alla terra, la poesia di Luca Barachetti

Articolo. Ha iniziato a scrivere a circa 13 anni, ma ha pubblicato un libro vero e proprio a 35 anni, quando ha “incontrato” Eraclito. Il terzo appuntamento di questa rubrica è dedicato a Luca Barachetti, poeta, giornalista e voce critica del panorama culturale bergamasco

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Luca Barachetti (Emanuele Biava)

«Poesia Vita Mia» è un concorso dedicato a opere inedite indetto dagli Amici della Biblioteca di Nembro. Ad aggiudicarsi il primo premio è stato Luca Barachetti con «Cantico», poesia che sarà uno dei testi del nuovo disco della band emiliano-romagnola FermoImmagine, di prossima uscita.

Sguardo critico e studioso appassionato, seriatese classe 1983, Barachetti è giornalista e un tempo ufficio stampa. Ha scritto e detto testi di canzoni per alcuni progetti musicali fra cui la formazione avant-blues Bancale, il duo arty-pop Barachetti / Ruggeri e il gruppo di rock cameristico Il Costato della Materia. Nell’ottobre 2017 ha pubblicato su Poetarum Silva alcune poesie che hanno anticipato la sua prima raccolta, «Fuoco prendi tutto», una serie di componimenti scritti dialogando con i frammenti di Eraclito.

Il libro d’esordio del poeta, edito nell’ottobre 2018 per Edizioni Ensemble, è un’opera di venticinque poesie che incontrano e si scontrano con i frammenti del filosofo greco. Diviso in tre parti («Fuoco prendi tutto», «Costato della materia», «Contraccambio»), il volume di Barachetti attraversa una delle esplorazioni filosofiche più illuminanti e radicalmente poetiche di tutto il pensiero occidentale, affrontando temi quali il mutamento, il dolore, il senso e la morte, ma anche l’amore e il cosmo quale origine della vita e delle cose. Scomposti e al tempo stesso penetranti, i versi restituiscono attraverso la parola una visione del mondo materiale e inevitabile.

«Fuoco prendi tutto» è un libro breve, di poesie dal taglio a volte quasi aforismatico, dove Eraclito viene rispettato e non rispettato, mentre i versi hanno un incedere volutamente claudicante e oscuro – come del resto oscuro fu Eraclito e «claudicante il nostro stare al mondo», come recita la presentazione del libro. Che è stato presentato – oltre che con una serie di classici incontri a due in gran parte d’Italia – in forma di reading-concerto insieme al chitarrista Alessandro Adelio Rossi, a cui si è aggiunto in alcune occasioni Osvaldo Arioldi delle Officine Schwartz.

Il volume si apre con la prefazione di Michele Gazich, songwriter e violinista italiano, che è necessario citare: «Ubriaco d’amore sincero per l’umanità, come ogni poeta degno di questo nome, Barachetti vuole scrivere una nuova legge: quella del contraccambio, la legge dell’entropia del dolore del mondo, che potrebbe renderlo sopportabile, perché avviene per contraccambio, per qualche provvidenziale buona ragione. Ma il mondo presocratico da cui Luca Barachetti muove non concepisce misericordia e contraccambio: il duetto tra provvidenza costruttiva e mutamento distruttivo può essere solo mortale».

CD: Raccontaci del tuo avvicinamento alla poesia: quando hai iniziato a scrivere in versi?

LB: Ho iniziato a 13-14 anni, ho continuato per tutto il liceo e l’università. Ma sono arrivato a pubblicare un libro vero e proprio a 35 anni. Quindi 21 anni di “gavetta”, interrotta solo dalle cose che ho scritto per i progetti musicali Bancale e Barachetti / Ruggeri. Mi ha fatto bene, perché ho cassato tantissime cose e idee di pubblicazione, convinto che del mio libro non ci fosse proprio bisogno. Poi è arrivata la “chiamata” di Eraclito e in 4-5 anni ho scritto «Fuoco prendi tutto».

CD: La “chiamata”?

LB: Sì, un giorno mi è venuto in mente che dovevo scrivere qualcosa usando i frammenti di Eraclito, che non conoscevo se non per i ridotti studi su di lui al liceo e per una canzone di Battiato «Di passaggio», che inizia con un frammento di Eraclito, uno dei più belli: «È la stessa cosa, che è viva e morta, che è desta e dormiente, che è giovane e vecchia. Queste cose, infatti, ricadono nel mutamento in quelle, e quelle viceversa in queste». Mi ha in qualche modo trafitto, ma è stata una trafittura andata avanti negli anni, dato che il disco di Battiato («L’imboscata») è uscito nel 1996.

CD: Battiato ti ha ispirato e sono varie le citazioni presenti nei tuoi versi, a partire da Eraclito, passando per i testi post-rock dei Madrigali Magri, fino alla «Terra desolata» e guasta di T.S. Eliot: quali autori ispirano la tua poesia e in che modo?

LB: Edoardo Sanguineti per come usa la parola, il verso, la punteggiatura e per la seria giocosità libera della sua poesia. Fernando Pessoa perché è un grande poeta metafisico, forse il più grande. Paul Celan per la densità di ogni sua singola parola e per l’essenzialità del verso, che con gli anni è andata via via asciugandosi. Poi tanti altri, come il misterico Bartolo Cattafi, T.S. Eliot sicuramente, tanta musica, ma anche arte figurativa come Alberto Burri e Lucio Fontana.

CD: Il riferimento a Sanguineti è immediato, leggendoti. Una scrittura libera e “spaccata”, la tua, dove la punteggiatura funziona talvolta come un obiettivo macro in grado di fornire un’immagine via via sempre più vicina e nitida. Che tipo di ricerca c’è dietro allo stile? Come hai lavorato alla stesura?

LB: Ho lavorato alla stesura in due direzioni. Dopo aver letto bene i frammenti di Eraclito e alcuni saggi critici, ho lavorato o completando un frammento di Eraclito con le mie parole, o usando un frammento di Eraclito per completare un mio testo. Ovviamente nel significato dei testi a volte l’ho tradito, ma è stato come un dialogo tra due persone: non è che ci si dà sempre ragione a vicenda, sennò che barba. I due punti, oltre a essere un omaggio / richiamo a Sanguineti, rappresentano quasi sempre un segno di apertura di un verso nell’altro, come se un verso sgorgasse nell’altro. In tutto questo l’obiettivo però non era “dire qualcosa”, ma “suonare qualcosa”, cioè se ogni testo dovesse prima di tutto suonare, poi il significato sarebbe arrivato da solo. Non so se tutti i testi suonano bene, comunque io ci ho provato.

CD: Il dubbio atavico e l’intenzione si dichiarano anche nel finale, con i versi: «giriamo in tondo nella notte e veniamo consumati dal fuoco», la traduzione del palindromo latino che chiude il libro e rappresenta un circolo dal quale non si esce.

LB: Sì, esatto. Quel verso lì sigilla tutto. Ed è vero che non si esce: nasci, vivi, muori. E quando muori, se ti fai seppellire come cenere o come corpo sotto un albero, rinasci (lo dice anche una poesia del libro), vivi, muori, ovviamente non come uomo ma come albero, polvere, sasso. Non è buddismo, è materialismo. Siamo materia, la chimica ci dice che in noi ci sono in parte gli stessi composti di una stella, o di una pianta. Veniamo dal Big Bang, tutti e tutto, che era un’enorme esplosione di materia. Ma non è un circolo né virtuoso né vizioso. È semplicemente così e a me sembra straordinariamente tragico e intenso.

CD: Corpi umani come materia, in un universo che appare proliferante di vita e distrutto dallo stesso esistere: lo sguardo ambisce ad una ricerca di tregua o un adattamento alla realtà?

LB: Lo sguardo ambisce a una ricerca di consapevolezza. Che è sia tregua (dall’assurdo) che adattamento (all’assurdo). Tertulliano diceva «Credo quia absurdum» e si riferiva a Dio. Io credo nella materia.

CD: Da Gualtieri a Williams, da Eraclito e Eliot, la lista è lunga, il fuoco è archetipo scelto spesso dai poeti: che ruolo ha nella tua lirica?

LB: È l’entità che trasforma, come in Eraclito. Ma, come in Eraclito, non è da intendere come il fuoco fisico. Il fuoco è una delle cose più evocative che ci siano, per questo penso torni spesso nella poesia. È affascinante, inquieto, eternamente cangiante. E poi è una buona immagine per definire un artista (non io di certo, ma quei pochi che ho conosciuto nei tanti lavori che ho fatto, nella musica soprattutto, ma non solo): il fuoco, come il vero artista, scalda e brucia.

CD: In passato hai presentato il libro accompagnato da musicisti, più uno spettacolo che un incontro, avete in programma appuntamenti futuri?

LB: Quando uscì il libro facemmo un po’ di date qua e là, poi con il nuovo lavoro, che è quello che ho ora, cioè Eppen, ci siamo fermati. In più da un anno abbondante sono disabile, con problemi motori che vanno migliorando per fortuna. Avrei voglia di fare qualche altra data a questo punto, ma nelle mie condizioni ora è faticoso. Vedremo, perché era molto divertente e sono riuscito a portare la poesia in posti che non diresti mai, tipo un pub a Firenze a orario aperitivo, dove si sono zittiti tutti quando abbiamo iniziato lo spettacolo. E non era una slam-poetry.

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