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“L’animale morente”, quando l’eros si vendica della morte

Articolo. Il romanzo di Philip Roth sabato 28 settembre a Castel Rozzone per Fiato ai libri con la voce di Maximilian Nisi. La nostra intervista.

Lettura 4 min.
Philip Roth (Douglas Healey, AP Photo)

“Consumami il cuore; malato di desiderio / E avvinto a un animale morente / Che non sa cos’è”: sono tre versi di William Butler Yeats che a pagina settantacinque puntellano “L’animale morente” di Philip Roth al suo significato più incisivo. Quello malinconico nel profondo eppure disperatamente vitale rappresentato da David Kepesh. “Il professore di desiderio” protagonista di una trilogia che racchiude quest’ultimo titolo (1977), “Il seno” (1972) e appunto “L’animale morente”, uscito nel 2001 come opera fra le più riuscite dell’ultima parte del percorso letterario dello scrittore americano.

Un libro breve, denso, a volte ironico, sovente doloroso, scritto in forma di monologo con quell’incisività propria di Roth e pochi altri. Una narrazione che ha nell’abusato binomio eros e thanatos un movimento sfuggente a qualsiasi prevedibilità.
Sabato 28 settembre a Castel RozzoneFiato ai libri darà voce all’opera attraverso l’interpretazione di Maximilian Nisi e alle musiche di Stefano De Meo. A poco più di un anno dalla scomparsa sarà il tributo della rassegna a quello che il critico americano Harold Bloom ha definito il maggiore narratore americano dopo Faulkner (cortile del Palazzo Comunale, Piazza Castello 2, ingresso libero fino ad esaurimento posti).

David Kepesh è un professore universitario sessantaduenne attratto dalle donne giovani, solitamente ex allieve del suo corso di laurea. Un giorno incontra Consuela Castillo, splendida studentessa ventiquattrenne cubana con cui instaura un’intensa relazione erotica. Il rapporto fra i due da un lato sconfina quasi subito in un’estrema devozione dell’uomo al corpo di lei. Dall’altro in una controllata partecipazione della ragazza, alle prime germoglianti esperienze d’amore.
Kepesh preferisce mantenere la storia su un piano fisico. Tuttavia la paura di invecchiare e la gelosia verso possibili amanti molto più giovani lo portano ad allontanarsi dalla donna. Da lì scaturisce un’ossessione per quel corpo femminile, in cui il seno è al centro delle fantasie sessuali dell’uomo e l’avvicinarsi della morte è uno scuro sottotesto che aleggia nell’aria. Ma le vicende della vita riservano spesso delle sorprese e Consuela tornerà da lui per un finale di forte commozione.

La vendetta sulla morte

È stato un piacere parlare di tutto questo con Maximilian Nisi, che si è letteralmente immerso nel libro e ne ha tratto spunti parecchio interessanti. Un lavoro come “L’animale morente” non lascia indifferente neanche chi vecchio non è, e ognuno a lettura ultimata si porta dietro i propri sentori: “A me ha lasciato la sensazione di una ferita rimarginata – spiega Nisi – In alcuni punti ha scavato in fondo, ha mosso remore, dubbi, ricordi. In altri ha fatto vibrare la vitalità dell’anima, quella che si nutre di corpo e di sentimenti, mi ha trascinato nel vortice dell’entropia che solo la passione sa creare”.

“Il sesso è anche la vendetta sulla morte” fa dire Roth a Kepesh ed è un passaggio in cui forse si intravede il tema, tutto contemporaneo, dell’abolizione della morte come prospettiva. O forse no: “Dubito che questa citazione richiami il tema di una lotta contro la morte vista come tentativo di abolire la vecchiaia. L’amore, anche nella sua componente passionale ed erotica, non è un mezzo per sconfiggere la vecchiaia, è un nucleo incandescente che è dentro ogni uomo e che muta con il mutare dell’età, assumendo caratteristiche via via diverse. Non deve sconfiggere la vecchiaia, perché nella vecchiaia assume una forma diversa ed egualmente affascinante. L’amore, in un certo senso, ha bisogno della vecchiaia per essere completo, altrimenti sarebbe solo amore giovanile, ossia la metà di quello che è”.

L’occhio

La vecchiaia, ovvero “maturità, elaborazione, conoscenza. E mai assenza di amore”. Anzi: “C’è un amore ancora più intenso, più consapevole e c’è un desiderio acceso non solo dai sensi ma dall’anima, un desiderio sofferente, a volte, frustrato dall’impossibilità di viverlo fino in fondo, ma non meno intenso”. E c’è anche fragilità: “David vive la sua passione per Consuela con desiderio, trasgressione, erotismo. Però in lui esiste pure una fragilità che si trasforma in forza”.

“Come è possibile che io non sia più mio?” scrisse Michelangelo innamorandosi, “Credo sia la stessa domanda che si pone Roth e che si pongono tutte le persone innamorate. David non è più uno; è due anche quando è solo, perché Consuela è dentro di lui. Attraverso l’amore e l’eros sono cambiati, sono diversi, si appartengono e questo a prescindere dalla distanza, dal tempo, dall’età, e persino dalla morte”.

Il finale de “L’animale morente” è tragico e inaspettato. Consuela a quel punto è una persona trafitta e trasformata dalla malattia, il suo tempo non è più quello (apparentemente) eterno della giovinezza. La narrazione si concentra sull’occhio, attraverso la fotografia: “L’ingresso dell’occhio è dirompente. Non che sia assente nel resto del racconto, ma nel finale diventa protagonista assoluto e prepotente. Quello che all’inizio è stato un alleato dell’amore, accendendo la passione, ora diventa un suo sostituto”.
La morte arriva nel corpo magico della donna: “Di fronte alla fine imminente, non resta altro che l’occhio, la fotografia che immortala lo sguardo posato su un corpo che sta per svanire. La carnalità del ricordo, ma anche l’idea che lo sguardo è ciò che ha dato inizio a tutto e nello sguardo quel tutto deve tornare”.

La volgarità

Roth dà a Kepesh un linguaggio esplicito, “ma si capisce che è legato al sesso come forza dirompente, in grado di sconvolgere l’ordine delle cose perché in sé è pura entropia”. In questo senso “L’animale morente” è la dimostrazione che solo i grandi scrittori riescono a rendere necessaria la volgarità: “Roth ci spiega che la ‘volgarità’ è uno dei tanti schemi in cui ordiniamo l’esistenza, mentre in amore non esiste la volgarità, esistono cose, nomi, gesti, sensazioni, comunque ci venga di chiamarli. L’erotismo, il piacere sconvolgono qualunque schema”.

Come rendere dunque il monumento Roth sul palco? “Ho voluto focalizzare l’attenzione sul rapporto tra David e Consuela, sull’evoluzione del loro sentimento, della loro passione, della loro prorompente fisicità di coppia; e sulla vecchiaia, che è un tema mai scontato e sempre affascinante. Se ci pensiamo tutti noi invecchiamo, giorno dopo giorno.
In altre parole sarà soprattutto la vecchiaia al centro della scena: “Kepesh ha un rapporto conflittuale con la propria vecchiaia, ma è anche molto più libero di ‘sentire’. Lui, che ha sempre pensato fosse ridicolo rinunciare volontariamente alla propria libertà, in vecchiaia anela a questo, a non essere più libero. La vecchiaia denuda i fatti riferiti alle paure che proviamo da giovani”.

Infine, la musica: “Ho chiesto al maestro De Meo di accompagnarmi in questo viaggio. Stefano è un pianista eccellente, oltre ad essere un caro amico. Adoro lavorare con lui. Inoltre David Kepesh suona il pianoforte e nel testo di Roth per ben due volte si parla di Schubert: mi sembrava che la sua anima, la sua professionalità e la sua sensibilità fossero le più giuste per condividere con me quest’esperienza”.

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