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#giovanifuturi: la biologa Antonia Bruno e il meraviglioso mondo del microbioma

Intervista. Condividiamo il nostro mondo con moltissimi microrganismi che influenzano ogni aspetto della nostra vita. Per questo i campi di applicazione della ricerca sono moltissimi: dal cibo ai cosmetici, dal vino ai farmaci

Lettura 4 min.
Antonia Bruno

« W e are living in a bacterial world – esordisce Antonia Bruno – e proprio perché i microrganismi sono ovunque, hanno a che vedere con tantissimi aspetti della nostra vita». Bergamasca classe 1984, biologa, lavora presso il Dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze dell’Università di Milano-Bicocca.

La sua è una ricerca molto multidisciplinare, una rarità in un mondo universitario che tende a premiare l’estrema settorialità: «Ma in campo biologico essere troppo settoriali è un controsenso. Ho la fortuna di essere in un gruppo di ricerca, lo ZooPlantLab, che mi ha dato la possibilità di affrontare i problemi biologici nella loro complessità». Tutto parte da lì e dalle nuove tecniche molecolari che permettono di sequenziare il DNA in modo massivo e parallelo ed ottenere una grossa mole di dati, come mai visto prima. Una vera e propria rivoluzione.

I microrganismi dell’acqua

«Con il mio dottorato ho iniziato a occuparmi dell’ecosistema dell’acqua di falda, quella che poi viene potabilizzata. Per studiare un ambiente estremo come questo – al buio, con pochi nutrimenti – i metodi classici della microbiologia, come la coltura in laboratorio, non sempre funzionano: si può però sfruttare l’informazione del DNA. E le nuove tecnologie di sequenziamento del DNA consentono di esaminare campioni composti da tante specie diverse».

Rientrano tra le cosiddette scienze omiche, che studiano sistemi biologici nella loro totalità: «Sarebbe stupido studiare un ecosistema ricco di biodiversità focalizzandosi solo su un gruppo specifico: non si avrebbe il quadro di insieme. Così, invece, riusciamo a ottenere un’immagine completa anche se non precisissima, come un quadro impressionista. Così ho cominciato ad appassionarmi ai microbiomi, che sono l’insieme dei microrganismi che occupano un determinato ecosistema».

Creme per la pelle

Ci sono i microbiomi associati al corpo umano. «Allo ZooPlantlab, con il Biome Research Team, abbiamo diverse linee di ricerca attive che riguardano il microbioma della pelle umana». Il progetto Skiome si occupa di studiare cosa porta a squilibri nel microbioma della pelle: «In questo momento storico siamo di fronte a tanti casi di disequilibrio della pelle dovuti a una non corretta interazione fra il nostro sistema immunitario e i microrganismi che vivono sulla nostra pelle, problemi non necessariamente patologici ma che possono diventarlo: infiammazioni, elevata sensibilità ad agenti esterni, arrossamenti, fino a psoriasi e dermatite atopiche».

Questo di solito accade perché c’è una prevalenza di qualche microrganismo su un altro: «In realtà il punto della questione non è tanto la tipologia di microrganismo ma la funzione che svolge: it’s the song not the singer. In generale, è un po’ come un equilibrio fra Stati: è importante che nessuno possa prevalere rispetto agli altri».

Gli ambiti di applicazione sono vastissimi: «dal testare cosmetici che siano gentili verso il nostro microbioma ad applicazioni cliniche, come ripristinare il microbioma per curare vere e proprie patologie».

Come scovare il gambero rosso di Mazara

Tra i progetti di Antonia Bruno, SeaTraceOmics, che si occupa di sfruttare le informazioni del DNA per risalire alla provenienza geografica di organismi appartenenti alla stessa specie, ma pescati in località diverse. Esempio classico è quello del gambero rosso di Mazara del Vallo, la cui specie è distribuita in modo molto esteso non solo nel Mediterraneo ma anche nell’oceano.

«Gamberi pescati in luoghi diversi hanno valori commerciali molto diversi, ma le tecniche classiche per identificarli, ed evitare frodi commerciali, non sono efficaci perché la sequenza di DNA usata per discriminarli è identica. Quindi, due sono le possibilità: analizzare l’intero genoma del gambero alla ricerca di piccole variazioni oppure leggere il microbioma associato al gambero, cioè la firma dell’ambiente data dai microrganismi. Io ed il mio collega Davide Maggioni del Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra stiamo seguendo entrambe le strade».

Cannonau e insetti

La stessa tecnica può essere applicata anche in altri contesti, come il vino. La medesima vite produce vino con caratteristiche diverse, la differenza la fa il territorio, che comprende tutto: dalla terra dove cresce la pianta alla cantina dove è imbottigliato. «Concentrarsi sui microrganismi che contribuiscono al processo di vinificazione – da quelli che si trovano sulla buccia dell’acino d’uva a quelli che intervengono nella fermentazione accanto ai lieviti – permette di distinguere i vari vini».

«Ad esempio, abbiamo pubblicato un paper dove abbiamo preso in considerazione la stessa cultivar di vite, quella del Cannonau, coltivata in aree diverse della Sardegna, che danno origine a vini diversi. Processando i dati del microbioma con tecniche di bioinformatica e biostatistica siamo riusciti a risalire alla cantina».

Lo stesso si può fare con i novel food, cioè i nuovi cibi, tra cui quelli a base di insetti: «Si usano le informazioni del microbioma associato agli insetti per la tracciabilità alimentare», spiega Bruno.

Pane, birra e altri fermentati

Come ci racconta l’esperta, uno dei primi lavori sul microbioma applicato agli ambienti venne fatto campionando le superfici di un birrificio e vedendo quale fosse il contributo di ogni spazio rispetto al prodotto finale: la birra. Anche la fermentazione del pane è affascinante: «Si possono ottenere pani diversi che partono dagli stessi ingredienti e dalla stessa ricetta, ma sono realizzati in posti diversi e da mani diverse. Tra le varie impronte da tenere presente c’è anche il microbioma del panettiere».

La rivincita dell’artigianalità e delle tradizioni più antiche, contro l’industrializzazione? «Gli antichi egizi scoprirono la birra, in maniera probabilmente fortuita, e la usavano moltissimo per idratarsi perché il processo di fermentazione impedisce la crescita di patogeni, cosa che accade se si conserva a lungo l’acqua del fiume, per esempio. Così anche il latte fermentato, che diventa ricotta o formaggio, si conserva meglio e ha un potere nutrizionale elevato».

Questo rinnovato interesse per il microbioma nativo si scontra con il processo industriale che uniforma i prodotti, perdendo la peculiarità di un posto o di un microbioma: «La nuova frontiera sarà trovare un punto di congiunzione, con comunità di batteri messi insieme apposta, in un processo controllato».

Passione, curiositĂ  e spirito bergamasco

I campi di applicazione di questo tipo di studi sono sterminati: «It’s long way to the top, come dicono gli AC/DC. Ho capito che volevo fare ricerca già durante la tesi, perché non è un lavoro come gli altri che fai per conto di qualcuno ma, in definitiva, un modo per soddisfare la propria curiosità. Senza questa molla è impossibile andare avanti, perché di certo non lo si fa per soldi. Anzi: la ricerca è anche ricerca di finanziamenti».

Per questo Antonella, come la chiamano gli amici, è anche fra gli organizzatori di due scuole sul Grant writing, cioè su come si scrivono progetti per ottenere finanziamenti. Un’iniziativa essa stessa multidisciplinare perché portata avanti da giovani ricercatori di Dipartimenti diversi di Bicocca (medici, economisti, psicologi…). A breve si terrà la summer school sul lago di Como supportata dalla Lake Como School of Advanced Studies .

Appassionata di classic rock, Antonia Bruno si è diplomata al liceo socio psico-pedagogico Paolina Secco Suardo di Bergamo, ma non ha mai avuto la vocazione dell’insegnante, semmai quella della divulgatrice, che si rivela negli incontri tenuti in occasioni di kermesse culturali come il Darwin Day .

«Sembra un luogo comune, ma mi vengono riconosciute qualità tipicamente bergamasche, come una forte etica del lavoro e il senso del dovere. Devo ammettere che fra i miei hobby rientra proprio quello che faccio per lavoro, leggo articoli scientifici anche nel tempo libero, ma perché per me è pura passione».

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