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Se Erode, Pilato, Caifa si sentono in colpa

Intervista. “La Passione secondo i nemici”, sabato 31 a Bergamo per deSidera e fra le iniziative di Sant’Alessandro

Lettura 4 min.
Hieronymus Bosch, “Cristo porta la croce”

Hanno mancato un incontro importante, quello con Gesù. Non avevano capito subito chi avevano di fronte e il significato di quello sguardo nella loro esistenza.
Erode, Pilato, Caifa: tre personaggi del Nuovo Testamento, tre “nemici” di Gesù, che l’hanno mandato a morte, ma anche tre solitudini, tre rimpianti, tre fallimenti.
La riflessione su queste tre figure è ad opera dello scrittore Luca Doninelli che ha creato i tre monologhi de “La Passione secondo i nemici”. La lettura scenica, alla terza replica, con impegnati Mario Cei, Antonio Rosti e Andrea Soffiantini – rispettivamente nei panni di Erode, Pilato e Caifa – andrà in scena sabato 31 agosto alle 21 a Bergamo, nella Basilica di Sant’Alessandro in Colonna. Data del festival deSidera inserita anche tra le iniziative per la festa del patrono cittadino.

Doninelli ha immaginato l’incontro con Gesù dei protagonisti negativi della passione. Ognuno di loro ha incrociato gli occhi di Cristo. Sono stati trafitti dal suo sguardo, capace di mostrare la verità, ma in quel momento non sono stati in grado di comprendere che quell’incontro avrebbe cambiato la loro vita.
Tutti sono colpevoli di averlo mandato a morte. Erode, dopo che i suoi occhi hanno incontrato quelli di Gesù, scorge infatti nitidamente la decadenza che si nasconde dietro alla lussuria sfrenata della sua corte. Quel breve momento di verità resterà la sua ossessione, nella speranza di rivedere il figlio di Dio che ha contribuito a sacrificare.
Pilato nasconde con un ossessivo senso del dovere la certezza dell’errore imperdonabile: aver condannato un uomo innocente. Caifa deve fare i conti con i fantasmi delle proprie colpe: la sua condotta spregiudicata non lo salva dai rimorsi che lo divorano e la verità che ha rimosso, negato e combattuto è sempre più chiara in lui.
A curare la regia è Paolo Bignamini (assistente alla regia Gianmarco Bizzarri), che ha montato il testo aprendolo anche ad una parte agita e mescolandolo con musiche contemporanee (William Basinski) e pop (Led Zeppelin) ne abbiamo parlato con lui.

Erode, Pilato e Caifa, tre nemici di Gesù, che però condividono qualcosa con tutti.

Nel testo abbiamo cercato qualcosa che parlasse di noi. I tre personaggi sono i nemici che portano Gesù ad un punto di non ritorno, ma nonostante questo nel racconto c’è un ribaltamento del loro punto di vista: hanno mancato un incontro. Quindi le loro vite sono poste sotto una nuova luce. Doninelli riesce a ribaltare l’idea che abbiamo di loro, ma anche un po’ l’idea che noi abbiamo di noi stessi rispetto a questi personaggi. Un grande testo è, secondo me, quello che riesce attraverso la storia che racconta e i personaggi che descrive, a raccontare anche qualcosa di noi, che stiamo leggendo, vedendo, rappresentando quel testo e questo accade nella “Passione secondo i nemici”.

“Trovare qualcosa che parli di noi”.

È un approccio che vale un po’ per tutto, che ciascuno di noi ha nei confronti di qualsiasi contenuto culturale. In questo caso, il privilegio di proporre allo spettatore un punto di vista è l’occasione di mettere in scena il testo. Il punto di vista è partito dallo scoprire che i tre personaggi sono coloro che attraverso un proprio rapporto con Gesù lo conducono ad un punto di non ritorno, al sacrificio estremo, alla morte. Nonostante questo, in ciascuno di loro c’è un ribaltamento del loro punto di vista, cioè nella loro sconfitta, nel loro fallimento. Nel rendersi conto ad un centro punto che quell’incontro che hanno avuto è stato un incontro mancato, perché nessuno di loro aveva capito con chi avevano avuto a che fare. In quel rendersi conto di aver mancato, c’è la grandezza del fallimento.

Ci dica di più.

È un fallimento così grande che non può far altro che gettare una nuova luce su quello che non è stato. Ossia: se io mi rendo conto, ad un certo punto, che la cosa che ho mancato è stata la cosa più grossa e importante della mia vita, vuol dire che tutta la mia vita assume retrospettivamente una nuova luce e Doninelli scrive per ciascuno di loro di quel grandissimo rimpianto, di quello che non è stato quell’incontro.

Ad esempio?

Erode, che è raccontato come una sorta di re edonista pop molto contemporaneo, onnivoro di qualsiasi consumismo, si rende conto che tutto ciò che lo circonda, così sfavillante, è nulla al confronto di quello che ha perso. Lo stesso vale per Pilato che nel suo punto di vista secondo ragion di stato, nel suo sguardo di burocrate, ingranaggio di un sistema che era la macchina dell’impero Romano, non ha avuto il coraggio di andare fino in fondo per salvare Gesù. E Caifa, che invece ha voluto condannare Gesù perché aveva paura della rivoluzione che la sua parola avrebbe scatenato nella folla e quindi di perdere una sorta di controllo politico nei confronti del popolo, si è reso conto di aver commesso l’errore più grande della sua vita. Approfondendo il lavoro per la messa in scena e accostando i monologhi uno all’altro, si nota come ciascun personaggio abbia una luce in relazione alla luce degli altri e riflette un riverbero sugli altri.

Come sarà la messa in scena?

Il testo non sarà proposto tutto a leggio, ma ci sarà anche una parte agita, a memoria. Erano tre monologhi distinti, stilisticamente differenti, ma a livello drammaturgico ho intersecato in fase di montaggio. La parte agita sarà all’inizio e alla fine, quella letta al centro. Siamo alla terza replica e la messa in scena è nata in dialogo con gli spazi.

La scenografia?

È firmata da Andrea Colombo, con il quale ho lavorato per la prima volta insieme. È molto essenziale. Siamo partiti da qualcosa che sorreggesse la parola, quindi dai leggii che poi diventeranno qualcosa di diverso, un piccolo colpo di scena, un’evoluzione.
Ci saranno tre stazioni, una per ogni personaggio, che ad un certo momento cambieranno e si trasformeranno in qualcosa d’altro, proprio per indicare il mutamento dei tre.

L’utilizzo della musica che intreccia più influenze è una sua caratteristica.

Mi piace mischiare riferimenti colti e pop. È un punto di continuità. In questo spettacolo ho inserito William Basinski, autore contemporaneo di musica elettronica e ho cercato d’inserire delle rotture che fossero più pop. In questo caso si tratta un brano famosissimo dei Led Zeppelin: “Stairway to Heaven”, perché mi sembrava coerente per sottolineare il momento di svolta dello spettacolo.

Al di là di storia, personaggi e scrittura, il testo rivela anche altro. A lei cosa ha colpito?

A livello personale, mi ha colpito l’idea che ci sia qualcosa al di là della nostra vita, di quello che nella nostra vita riusciamo a controllare, decidere, scegliere consapevolmente. L’idea di qualcosa di incontrollabile, che ad un certo punto eccede la nostra voglia e capacità di controllare le cose, mi è sembrato il punto più interessante e lo sento come un elemento interessante anche per la mia ricerca personale. Anche perché è stimolante che dietro ciò che noi sappiamo c’è qualcosa che ci sfugge, di destabilizzant o da trovare e da cercare. Qui scaturisce l’idea di una continua ricerca.

Teatro Desidera