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Sta calando il sipario sul positivismo dei tecno guru?

Articolo. I social network sembrano luoghi sempre meno piacevoli e i grandi milionari che accentrano il potere su di sé non sembrano più tanto simpatici, fra uscite imbarazzanti, condizioni di lavoro a dir poco opinabili e licenziamenti. E intanto noi, da questa parte dello schermo, forse ci siamo stancati di credere in un’utopia che con il tempo ha avuto sempre più un vago sapore distopico

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Elon Musk (illustrazione Ariyanto)

Può sembrare strano dirlo quando ancora ci sono milioni di persone che usano queste piattaforme, ma potremmo essere di fronte al momento in cui la grande onda dei social network si abbatte sulla riva per poi ritirarsi, lasciando soltanto un segno sulla battigia della storia che sparisce lentamente.

Se non altro, forse stiamo lentamente uscendo da una sorta di allucinazione collettiva che ci ha spinto ha idolatrare quelli che il New York Time ha chiamato «tecno feudatari». Mark Zuckerberg, Jeff Bezos, Elon Musk, personaggi che di fatto hanno annullato la concorrenza e una florida economia competitiva per accentrare un grandissimo potere economico e mediatico nelle mani di pochi. Uomini che possono comprare per capriccio un intero social network e trasformarlo in una sorta di giocattolo personale con cui mantenere l’attenzione su di sé, col beneplacito di una massa di persone adoranti che ancora li vede come idoli, gente che ce l’ha fatta da sola e la cui spietatezza è da imitare.

Eppure, tutti e tre non se la passano benissimo. Zuckerberg, dopo aver tentato di guardare al futuro con Meta è stato chiamato a vedere il bluff, ha licenziato 11mila persone, perdendo il 40% del suo presunto valore, mandando in fumo circa 9 miliardi di dollari. E tutto questo senza contare l’uso sconsiderato fatto per anni dei nostri dati personali e di un algoritmo che ci ha trasformato da persone desiderose di connessioni con gli amici in macchine incattivite per veicolare contenuti delle aziende e fake news.

Musk, forse quello che col suo comportamento trascina con sé tutta la categoria, non passa giorno che faccia uscite imbarazzanti. Prima licenziando in massa, poi facendo la voce grossa con quelli rimasti, poi cercando di richiamarli per far funzionare Twitter, poi la spunta blu a pagamento che ha portato milioni di finti account verificati a trasformare il sito in qualcosa di illeggibile. E mentre lui gongola dicendo che sta tornando un sacco di gente su Twitter gli inserzionisti se ne vanno e i debiti pregressi cadranno sulle sue spalle. Senza dubbio è un uomo brillante, ma sta emergendo il suo lato peggiore: una intelligenza priva di empatia, bambinesca, quella di un bambino che si diverte col formicaio, pronta a crollare sotto il peso di un ego maschile ipertrofico.

Bezos in questa situazione è quello che forse sta messo meglio, se escludiamo le periodiche notizie sulle condizioni di lavoro di Amazon (che tutti ignoriamo quando c’è il Black Friday, me compreso) al momento ha “solo” deciso di tagliare 10.000 posti di lavoro , cercando però di controbilanciare la brutta notizia dichiarando che donerà gran parte della sua immensa fortuna per opere benefiche.

In parte questi licenziamenti sono legati a ristrutturazioni pesanti o al post pandemia, essendo finito il momento in cui il consumo di qualsiasi cosa fosse su internet è aumentato drammaticamente (e infatti anche altre aziende legate al digitale hanno registrato cali significativi), in parte però è palesemente in atto un cambio generazionale. Sta crescendo il pubblico che da una parte non vede più in questi personaggi idolatrati dalla stampa come i grandi salvatori dell’umanità e dall’altra non vuole più utilizzare i social network come lo hanno fatto i loro genitori, i fratelli maggiori e parte dei loro amici.

Dopo anni di sbornia da condivisione stiamo rivalutando spazi più piccoli, più personali, luoghi virtuali e reali dove parlare e confrontarsi senza algoritmi che decidono per noi c’è che è rilevante, pubblicità invasive e soprattutto troll. Certo, da una parte si potrebbe obiettare che così facendo finiamo per chiuderci in bolle ancora più piccole e non renderci conto di ciò che è fuori, ma va detto che tutto questo grande valore aggiunto la condivisione, in questi anni, non sembra averlo dato, perché gli spazi pubblici sono dominati da chi sa urlare più forte, da chi raccoglie più like, da chi la spara più grossa e trascina con sé il consenso reale o di bot.

Ne avevo già parlato a settembre di questo progressivo abbandono dei social e le cause sono tutte là: non vogliamo più essere cattivi, non vogliamo più essere stressati, non vogliamo più essere merce. Oggi questo processo sembra persino accelerato e il cosiddetto «Web 2.0» sembra ormai sul viale del tramonto. Difficile dire cosa arriverà dopo, perché pare esserci molta più diffidenza rispetto al passato. La fanfara del metaverso sembra stonare, la blockchain e gli NFT crollano di valore e sembrano sempre più ciò che erano già all’inizio: speculazioni per ricchi.

Forse a questo clima di cambiamento contribuisce anche una attenzione sempre maggiore dei governi nei confronti di questi tenocrati transnazionali, che però un po’ hanno goduto di accordi politici favorevoli e della cronica lentezza delle leggi nell’adattarsi alle novità tecnologiche. Tuttavia, oggi, vuoi per una maggiore consapevolezza, vuoi perché gli elettori chiedono più controlli, questo legame sembra meno forte. Forse ci siamo anche stancati di questa narrazione plastificata del successo che “arriva dal niente” che niente non è, perché dietro c’è sempre una famiglia ricca, una posizione benestante da cui spiccare il balzo, la possibilità di accedere ad amicizie e risorse che in molti non hanno.

E se la povertà generale ci ha reso più cattivi, ci ha anche reso più acuti, per alcuni sarà «odio sociale», per altri semplicemente c’è la stanchezza di sentirci dire che se smetti di dormire ce la fai a far tutto, che se non hai successo «è solo colpa tua», in una perversa deviazione dei valori del sacrificio che sono gli unici in grado di darci un eventuale posizione lavorativa.

Ma se un cambiamento sembra possibile, la sua effettiva messa in pratica sembra più lontana. Musk, Bezos, Zuckerber potranno perdere la loro corona, ma qualcun altro può tranquillamente prendere il loro posto, l’istinto di utilizzare i social network è ormai profondamente radicato in milioni di persone e se non sarà Instagram magari sarà altro, qualcosa che oggi neanche possiamo immaginare. Per quanto possa sembrare sbagliata l’idea di connetterci attraverso un dispositivo e avere costantemente qualcosa da dire ormai abbiamo riprogrammato i nostri cervelli e in fondo, ammettiamolo, ci piace.

Forse sarà un po’ come smettere di fumare, bisogna vedere se smetteremo del tutto o passeremo all’equivalente social di una sigaretta elettronica.

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