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Metti un padre e una figlia lungo un cammino portoghese che insegue l’oceano

Racconto. 100 km a piedi sulla costa centro-meridionale, tra raffiche di vento, dune di sabbia, nidi di cicogna e cene… bergamasche. Vi racconto (a modo mio) il Trilho dos Pescadores

Lettura 5 min.
Con papà, due puntini sulla spiaggia (Davide Pensiero)

Non l’hanno scritto sul muro dell’ufficio, ma poco ci mancava. Credo di aver stressato talmente i miei colleghi con frasi del tipo «vado a camminare in Portogallo!» che il 18 aprile qualcuno si è svegliato all’alba insieme a me solo per augurarmi buon viaggio.

Il Sentiero dei Pescatori, più conosciuto come Fishermen’s Trail o Trilho dos Pescadores (in onore di chi lo percorreva alla ricerca di porticcioli o dei luoghi migliori dove pescare) è un itinerario escursionistico che si snoda lungo la costa portoghese e completa, insieme al Camino Historico (che invece attraversa per lo più l’entroterra), la Rota Vicentina. Si tratta di 220 km circa dalla città di Sines fino a Lagos, da dividere (così almeno suggerisce la guida di Terre di Mezzo Editore, l’unica in lingua italiana), in 13 tappe.

Vi rimando ai libri e ai siti ufficiali per ulteriori informazioni. Questo mio pezzo non vuole essere un manuale per aspiranti hikers – anche perché, per quanto abituata, ogni domenica, a scalare le nostre belle cime orobiche, non ritengo di essere partita per il Portogallo attrezzata nel migliore dei modi. Questo è il racconto di un padre e una figlia in cammino. Di due mantelle per il vento decisamente inadeguate, di tracce verdi e azzurre e cene bergamasche. Perché con tutta la gente che potevamo incontrare a centinaia di chilometri da casa… proprio con un gruppo di Dalmine dovevamo ritrovarci a tavola?

La partenza

Faccio le dovute premesse. Mio papà è andato in pensione nel 2019. Non ha mai amato camminare, preferisce la bicicletta, ma un moto improvviso d’amore paterno l’ha convinto, tre anni fa, ad affrontare con me gli ultimi 200 km del Cammino Francese verso Santiago di Compostela. Avremmo dovuto ripetere l’esperienza nel 2020, questa volta lungo il Trilho Dos Pescadores, ma la pandemia ci ha costretto a rimandare il viaggio.

Eccoci quindi a preparare lo zaino, che porta ancora appesa all’esterno la concha, la conchiglia simbolo del Caminho de Santiago. Dopo una rapidissima consultazione delle previsioni meteo, ci inseriamo sostanzialmente le stesse cose che avevamo con noi nel 2019: magliette termiche, k-way, pantaloni, calze, cappellini. L’esperienza a Santiago, e prima ancora un lungo tratto a piedi di Via Francigena, mi hanno insegnato che ciò che non è strettamente necessario non serve (e soprattutto pesa).

L’unico grande errore che facciamo è quello di dimenticare le giacche antivento. Ce ne accorgiamo sorvolando Lisbona. Forti raffiche d’aria danno filo da torcere al pilota e ai passeggeri, che si rifiutano persino di applaudire all’atterraggio.

Non abbiamo molti giorni a disposizione per cui decidiamo di affrontare solo quattro delle tappe del Sentiero. Il nostro viaggio parte da Porto Covo, un paesino dalle basse case bianche punteggiate di blu e dai traballanti tavolini da caffè, dopo una prima notte in ostello e una cena a base di polvo a lagareiro , il baccalà portoghese.

Non fosse stato per le tracce gpx di Sofia, una ragazza di Lonato del Garda con cui abbiamo fatto subito amicizia, ci saremmo persi già durante il primo giorno. I cammini che portano a Santiago sono segnalati da frecce gialle che indicano molto bene la direzione da seguire e da colonnine di pietra a bordo della strada che mostrano i chilometri mancanti all’arrivo. Il Trilho Dos Pescadores, invece, è meno segnalato. Le tracce ci sono – strisce verdi e blu – ma sono incise nelle rocce, su paletti di legno talvolta crollati a terra. Bisogna aguzzare la vista, cosa non sempre facile quando, come me, si ha per natura poco senso dell’orientamento.

Il cammino

Porto Covo, Vilanova De Milfontes, Almograve. Seguiamo il profilo della costa, tenendoci alti sulle scogliere. Il sole splende per tutti i primi tre giorni, anche se dimentichiamo di metterci la crema protettiva e quando ce ne accorgiamo il danno ormai è fatto. Il vento è talmente forte che non sentiamo il profumo del mare. È una cosa che ci sorprende fin da subito, perché da noi il profumo del mare lo senti da chilometri e qua invece ci cammini praticamente sopra e non lo senti neanche a sforzarti. Lo annoto subito nel mio quaderno di viaggio (ho dimenticato la giacca, ma carta e penna no – non sia mai), insieme alla meraviglia nel percorrere una ventina di chilometri senza incontrare un centro abitato. Anche i trekkers sono incredibilmente pochi: camminiamo da soli per ore, senza vedere nessuno.

Mentre la combo vento più dune di sabbia (ma quanto è faticoso camminare sul fondo sabbioso?) ci mette a dura prova, ci fermiamo a fotografare tappeti di fiori selvatici, falesie e calette inaccessibili. La mano dell’uomo c’è, nelle tracce verdi e blu che ci indicano la strada, ma è una mano quasi impercettibile. La vegetazione è rigogliosa, e la natura così selvaggia da commuovere.

Lungo il percorso, che a parte brevi deviazioni all’interno di boschetti di acacie e di canneti costeggia sempre il mare, avvistiamo tre nidi di cicogna bianca, con tanto di mamme cicogna nell’atto di covare. I primi due nidi li scorgiamo da lontano, mentre camminiamo verso un paesino che si chiama Zambujeira. Il terzo, invece, ci viene segnalato dalla guida, datata ottobre 2021. Saranno nidi di almeno due metri di diametro, a picco sul mare su speroni di roccia. «Non c’è vento che possa abbattere l’amore di una madre» è il commento di mia mamma via WhatsApp. Io che sono un po’ meno poetica preferisco cercare risposte su Internet: perché nidificare in posti così impervi? E come fanno questi nidi a resistere al vento e alla pioggia?

Scopro così che la cicogna è un uccello molto territoriale, e se non sopraggiungono impedimenti esterni ritorna nello stesso nido per parecchi anni di seguito. In passato, svernava in Africa, nel Sahara, e poi si dirigeva verso l’Europa per passarvi l’estate e nidificare. In tempi recenti, sembra invece aver modificato le sue abitudini, e come molti altri uccelli ha smesso di migrare fermandosi in Spagna e Portogallo. L’ennesimo effetto del riscaldamento globale. Mi rimangio quello che ho scritto poco sopra: la mano dell’uomo c’è anche dove non si vede.

La meta

Zambujiera do Mar – Odeceixe. Quasi venti chilometri di nuvoloni neri e ridicole mantelle che con la pioggerellina londinese funzionano benissimo, con il temporale un po’ meno. Mentre gli scarponi si riempiono di acqua e gli occhiali si appannano costringendomi a camminare a testa bassa, appuro tutta la veridicità di quel proverbio tanto caro alla gente di montagna: «non esiste buono o cattivo tempo, ma buono o cattivo equipaggiamento».

Certo, quello di “buon equipaggiamento” è un concetto molto soggettivo. Abbiamo incontrato più volte, spostandoci da un paesino all’altro, una coppia di amici con un fornelletto da campeggio e una moka. Solo una sera a cena abbiamo scoperto che vengono da Cologno al Serio. Con loro, altri amici di Dalmine, e pure alcune conoscenze in comune.

Qua mi fermo, perché finora ho parlato di natura, e della quiete che si prova camminando lungo il mare, stando un po’ da soli con sé stessi. In realtà, la cosa più bella del cammino che ho percorso è aver avuto la possibilità di condividerlo. Non sono stata a Santiago, tre anni fa, per motivi religiosi. L’ho percorso cercando un altro tipo di spiritualità, per vivere il rapporto con mio padre diversamente da quanto facciamo a casa – qualche parola a malapena, al massimo una passeggiata col cane il sabato pomeriggio. Ho scoperto che quello che amo di più dei cammini è incontrare pellegrini, raccontare la mia storia, ascoltare la loro.

E poi, c’è la vera meta del viaggio: chi ti aspetta alla fine. Dopo aver concluso il Trilho Dos Pescadores, abbiamo ripreso il bus per trascorrere due giorni a Lisbona. Ad attenderci in stazione, Lucia, Santiago ed Emidio, tre amici lisbonesi conosciuti nel 2019 a Santiago de Compostela. Ci hanno accolto con un bicchiere di ginja, il classico liquore lusitano e l’invito a pensare a un nuovo cammino – questa volta tutti insieme.

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